giovedì 7 marzo 2013

ricordo di Hugo Chavez (un grande presidente)

…Chavez è stato il primo a occuparsi dei poveri (il 49% della popolazione nel 1999, quando arrivò al potere, e il 27% oggi, senza contare che nel frattempo la mortalità infantile si è dimezzata). Ha sicuramente commesso tanti errori di gestione economica: la produzione petrolifera è calata fortemente perché non si è investito nei giacimenti. I capitali stranieri sono stati messi in fuga dalle nazionalizzazioni. Anche l’industria manifatturiera ha perso peso e il Venezuela è diventato sempre più dipendente (troppo) dalle importazioni. Ma almeno Chavez ha guardato in faccia il problema principale del Paese, quei «barrios». Oggi il 43% del bilancio dello Stato è consacrato alle politiche sociali. Bene o male, li ha aiutati. Ha cercato di superare una ghettizzazione colpevole.
In quel primo viaggio, ritornai all’aeroporto per la stessa strada, costellata di bidonville. Perfino dalla scaletta dell’aereo si scorgevano i barrios, sulle colline adiacenti, a poche centinaia di metri. Ma possibile che i ricchi del paese non li avessero mai visti in precedenza? Che non si fossero mai chiesti per anni e anni, andando a prendere un aereo per fare shopping a Miami o per studiare in un’università americana, come vivesse  quella popolazione lasciata ai margini del miracolo economico del «Venezuela saudita»?
Perché si scandalizzavano così tanto del fenomeno Chavez? Perché non si erano svegliati prima? Io che non sono guevarista, né un ribelle e che credo nel libero mercato ripensai d’un botto a tutti gli stupidi discorsi ascoltati nei giorni precedenti. A quell’indifferenza ostentata. Al disprezzo per la miseria. E pensai che quel pazzo di Chavez i ricchi del Venezuela se l’erano meritato. Non uno, ma due, tre, quattro, centomila di Chavez dovevano rimanere per un po’ sul loro gobbone.
da qui (Articolo di Leonardo Martinelli)


Hugo Chávez non è stato un dirigente come tanti nella storia della sinistra. È stato uno di quei dirigenti politici che segnano un’intera epoca storica per il suo paese, il Venezuela, e per la patria grande latinoamericana. Soprattutto, però, ha incarnato l’ora del riscatto per la sinistra dopo decenni di sconfitte, l’ora delle ragioni della causa popolare dopo la lunga notte neoliberale.
L’America nella quale il giovane Hugo iniziò la sua opera era solo apparentemente pacificata dalla cosiddetta “fine della storia”. Questa, in America latina, non era stata il trionfo della libertà come nell’Europa dove cadeva il muro di Berlino. Era stata invece imposta nelle camere di tortura, con i desaparecidos del Piano Condor e con la carestia indotta dal Fondo Monetario Internazionale. Il migliore dei mondi possibili lasciava all’America latina un ruolo subalterno e ai latinoamericani la negazione di diritti umani e civili essenziali. Carlos Andrés Pérez, da vicepresidente dell’Internazionale socialista in carica, massacrava nell’89 migliaia di cittadini inermi di Caracas per ottemperare ai voleri dell’FMI. L’America che oggi lascia Hugo Chávez, ad appena 58 anni, è un continente completamente diverso. È un continente in corso di affrancamento da molte delle sue dipendenze storiche e rinfrancato da una crescita costante che, per la prima volta, è stata sistematicamente diretta a ridurre disuguaglianze e garantire diritti.
Non voglio tediare il lettore e citerò solo un paio di dati indispensabili. Nella Venezuela “saudita”, quella considerata una gran democrazia e un modello per l’FMI, ma dove i proventi del petrolio restavano nelle tasche di pochi, i poveri e gli indigenti erano il 70% (49 e 21%) della popolazione. Nel Venezuela bolivariano del “dittatore populista” Chávez ne restano meno della metà (27 e 7%). A questo dato affianco la moltiplicazione del 2.300% degli investimenti in ricerca scientifica e il ricordo che, con l’aiuto decisivo di oltre 20.000 medici cubani, è stato costruito da zero un sistema sanitario pubblico in grado di dare risposte ai bisogni di tutti.
Oggi che il demonio Chávez è morto, è sotto gli occhi di chiunque abbia l’onestà intellettuale di ammetterlo cosa hanno rappresentato tre lustri di chavismo: pane, tetto e diritti. Gli osservatori onesti, a partire dall’ex-presidente statunitense Jimmy Carter, che gli ha rivolto un toccante messaggio di addio, riconoscono in Chávez il sincero democratico e il militante che si è dedicato fino all’ultimo istante «all’impegno per il miglioramento della vita dei suoi compatrioti». No, Jimmy Carter non è… chavista. Semplicemente è intellettualmente onesto ed è andato a vedere. Tutto il resto, la demonizzazione, la calunnia sfacciata, la rappresentazione caricaturale, è solo squallida disinformazione.
Chávez entra oggi nella storia ed è già leggenda perché ha mantenuto i patti e fatto quello che è l’essenza dell’idea di sinistra: lottare con ogni mezzo per la giustizia sociale, dare voce a chi non ha voce, diritti a chi non ha diritti, raggiungendo straordinari risultati concreti. In questi anni ha cento volte errato perché cento volte ha fatto in un paese terribilmente difficile come il Venezuela. Ha chiamato il suo cammino “socialismo”, proprio per sfidare il pensiero unico che quel termine demonizzava. Chávez diventa così leggenda perché, in pace e democrazia, ha realizzato quello che è il dovere di qualunque dirigente socialista: prendere la ricchezza dov’è, nel caso del Venezuela nel petrolio, e investirla in beneficio delle classi popolari. Lo ha fatto al di là della retorica rivoluzionaria, propria di anni caldissimi di lotta politica, da formichina riformista. Utilizzo il termine “riformista” sapendo che a molti, sia apologeti che critici, non piace pensare che Chávez non sia stato altro che un riformista, ma radicale, in grado di raggiungere risultati considerati impossibili sulla base di defaticanti trattative e su politiche basate sulla ricerca del consenso e sulla partecipazione. Chávez è già leggenda perché ha piegato al gioco democratico un’opposizione indotta, in particolare da George Bush e José María Aznar (molto meno da Obama), all’eversione, esplicitatasi nel fallito golpe dell’11 aprile 2002 quando un popolo intero lo riportò a Miraflores e nella susseguente serrata golpista di PDVSA, la compagnia petrolifera nazionalizzata. È il controllo di quest’ultima ad aver garantito la cassaforte di politiche sociali generose…
da qui (articolo di Gennaro Carotenuto)


un interessante documentario argentino su Chavez, sottotitolato in francese:

2 commenti:

  1. Bellissimo! Grazie! Perché a sinistra della Storia c'è sempre una grande passione e l'America Latina riesce a renderla in modo fantastico. Purtroppo, in questo caso, l'umanità è mortale!

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  2. è stato davvero un esempio per molti, e non credo sarà dimenticato.
    la storia, poi, gli darà la parte che merita, di un Davide contro Golia.
    da noi non ha mai avuto successo, non era un fighetto elegante da comprare, per nostra fortuna.

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