600 euro al mese assicurati
dallo Stato a tutti coloro che ne hanno bisogno, senza limiti di tempo, senza obbligo di cercare lavoro.
Una proposta che la rete di San Precario – Milano ha lanciato calcolandone
sostenibilità, costi e finanziamenti. La proposta è quella di introdurre nel
nostro Paese un «reddito di base incondizionato», in modo da assicurare un
reddito a tutti i residenti al di sotto della soglia di povertà.
Questa misura sostituirebbe tutte le altre forme di welfare attualmente
esistenti in Italia – disoccupazione, cassa integrazione, mobilità – molto
costose ma incapaci di raggiungere tutte le persone bisognose di sostegno.
Quanto costerebbe alle casse
dello Stato una simile manovra?
Il costo da sostenere per garantire un reddito
mensile di 600 euro non si discosterebbe di molto da quanto il Paese già spende
ora per i vari ammortizzatori sociali. Secondo la Commissione d’indagine
sull’esclusione sociale – Cies, il numero dei poveri
relativi è pari a 7.810.000 (il 13,1% della popolazione). I poveri assoluti
(sotto i 385 euro al mese) sono 3 milioni.
Tendendo conto della diversa distribuzione di
reddito (v. grafici) la somma lorda necessaria per arrivare sul territorio
nazionale a garantire a tutti un reddito di base di euro 7.200 all’anno è di
poco inferiore ai 21 miliardi di euro all’anno…
…Per il reperimento dei fondi, è
necessario procedere ad una riforma
del sistema fiscale, per renderlo adeguato alle nuove forme di produzione. I due
criteri fondamentali sono la forteprogressività delle
aliquote e la tassazione omogenea di tutti i redditi.
Nel nostro studio, abbiamo considerato anche
un valore del Rbi maggiore del 20% della soglia di povertà relativa. In
ogni caso, il livello del “reddito di base” è oggetto di contrattazione, con
l’unica condizione che sia sempre espresso in termini relativi. Ciò infatti
consente che ad ogni anno la soglia di reddito sia adeguata al costo della
vita.
Gli ammortizzatori sociali in Italia sono oggi
una giungla distorta, iniqua e fonte di discriminazione. Noi proponiamo di eliminare tutte queste forme per introdurre il
Rbi.
Questa proposta non incontra il favore di
imprenditori e sindacati. I primi perché per loro la cassa integrazione è una
valvola di flessibilità e in questo modo i costi ricadono
sull’Inps o sullo Stato.
Per i sindacati la gestione della cassa integrazione è
rimasto l’unico compito che permette loro di mantenere una rappresentanza politica, in
una pura ottica di gestione passiva dei processi di ristrutturazione, di
smantellamento e/o di delocalizzazione.
All’indomani delle elezioni, il tema del reddito
di cittadinanza è balzato agli onori delle cronache, ma non è stata ancora
formulata una proposta seria al riguardo. E’ ora di mettersi al
lavoro, seriamente.
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