mercoledì 6 marzo 2013

Mettete del reddito nelle tasche dei cittadini - Fibonacci


Vent’anni fa l’Italia si trovava in grave crisi economica; come ora, la corruzione minava la credibilità della vita politica. A marzo del 1994, Berlusconi vinse con il 21 per cento dei voti le elezioni politiche; anche allora i risultati non furono anticipati dai sondaggi. La borsa, credendo che la vittoria di Berlusconi innescasse una robusta fase di sviluppo, virò verso l’alto in modo euforico; anche il valore dei titoli stato, ancora denominati in lire, aumentò; la fase positiva dei mercati durò qualche settimana. Quando diventò manifesta la litigiosità tra le forze politiche che appoggiavano l’esecutivo e divenne evidente che molti dei suoi provvedimenti avevano il precipuo scopo di favorire il Presidente del consiglio, i corsi delle azioni mutarono direzione e i tassi sui titoli di stato schizzarono verso l’alto. Il maggior costo per il tesoro dello stato, e quindi per la collettività, fu di qualche decina di migliaia di miliardi di lire.
L’anno seguente ci furono nuove elezioni e Forza Italia passò in minoranza. Ciò nondimeno le elezioni del 1994 furono uno spartiacque nella vita politica ed economica del nostro Paese; da quel momento sono state avviate una serie di politiche neoliberiste prese in assenza di efficaci prospettive macroeconomiche che si sono innestate in un processo di imbarbarimento delle relazioni economiche e sociali. L’esito è quello sotto gli occhi di tutti. Nel ventennio 1994-2013 la performance economica del nostro Paese è stata la peggiore di tutto il globo terrestre, ad eccezione di quelle dei paesi in guerra; mentre il reddito procapite di oltre un miliardo di cinesi è aumentato di quasi dieci volte e quello di centinaia di milioni di indiani, brasiliani, indonesiani e di molti altri paesi è salito a ritmi appena inferiori, in Italia il reddito medio è rimasto sostanzialmente inalterato. Dalla discesa in campo di Berlusconi, l’importanza e il ruolo dell’Italia nello scenario politico ed economico mondiale sono scivolati inesorabilmente verso il basso; salvo qualche lodevole eccezione, la reputazione internazionale della nostra classe dirigente è scadente.
Il disastro è evidente anche su altri piani. Alcuni esempi. Nel paese in cui, per millenni, è stata accumulata la maggior parte dei tesori artistici dell’intera umanità, la cultura è lasciata senza guida e risorse. L’improprio uso del territorio e la sua progressiva cementificazione vanno deturpando bellezze non commensurabili. Il calo delle nascite, malgrado il positivo contributo delle famiglie di immigrati, ha reso l’Italia un paese di persone anziane; ciò nondimeno i giovani trovano lavoro con sempre maggiore difficoltà e sempre più spesso sono costretti ad emigrare. Il giorno seguente alle elezioni politiche Eurostat, l’istituto europeo di statistica, ha reso noto che nel nostro Paese un giovane su tre è a rischio povertà.
Se i sondaggisti avessero tenuto conto di queste evidenze, forse avrebbero potuto prevedere che il 40 per cento dei giovani sotto venticinque anni ha votato per il movimento cinque stelle e il 60 per cento in Sicilia. L’esito elettorale ha reso evidente che un cambiamento rispetto alle politiche economiche e sociali dell’ultimo ventennio è ineludibile e urgente, a partire dall’uso della cosa pubblica e delle relative istituzioni per il bene della collettività. Quando un giovane su tre è a rischio povertà, i costi e gli sprechi della politica diventano ancor meno tollerabili e la politica deve essere intesa come servizio e non come opportunità di facile guadagno.
Dopo le elezioni è facile comprendere come le tre semplici parole d’ordine - onestà, competenza, trasparenza - dette nel comizio di piazza San Giovanni, condivisibili perché riassumono le qualità di base che si richiedono alla nuova classe dirigente, abbiano avuto una così grande presa. Esse dicono che la convenienza personale non può risiedere nella casa pubblica; Dario Fo a Milano ha parlato di una situazione di rinascita, come nel 1945.
Al centro del dibattito ci sono dunque le proposte del movimento Cinque stelle, a disposizione sul sito di Beppe Grillo, che, visti i risultati, sono ora studiate da non poche persone. L’esposizione è efficace per la sua semplicità; alcune indicazioni sono piuttosto radicali; in generale sono largamente condivisibili; esse non si discostano molto da quelle, più articolate, sviluppate sul sito Sbilanciamoci! e in particolare nel recente dibattito sulla rotta d’Italia.
Nell’attuale fase di sviluppo delle forze produttive, la politica economica è essenzialmente la declinazione dell’attività redistributiva di reddito. L’aumento delle attività finanziarie, principale concausa dell’attuale instabilità dei mercati, si è accompagnata alla crescente disuguaglianza distributiva che, riducendo la domanda, ha compresso l’attività produttiva e il lavoro. La ripresa della domanda non può esserci se non aumentano i redditi dei cittadini, a partire di quelli a rischio di povertà e se non crescono i posti di lavoro; l’ordinato funzionamento dei mercati non può essere garantito nel medio e lungo termine se non è assicurata un’equa ripartizione del reddito, della ricchezza e delle ore lavorate.
Il reddito di cittadinanza, se declinato tecnicamente e operativamente in modo equilibrato ed efficace, può essere uno strumento potenzialmente valido per ripristinare un clima di fiducia di cittadini e imprese e riavviare un percorso di crescita lungo sentieri di sviluppo sostenibili e senza creare voragini nelle casse dello stato. L’esperienza dell’ultimo governo Monti ha reso evidente che senza sviluppo economico non ci può essere risanamento delle finanze pubbliche. Con la ripresa e i conti in ordine, l’isteria mostrata dai mercati durante lo spoglio dei voti scomparirebbe e i tassi sul debito pubblico potrebbero muoversi nella direzione opposta a quella del 1994. Tornare sui livelli prevalenti in Europa sarebbe un successo enorme; la riduzione del costo medio del servizio del debito pubblico di un punto percentuale conterebbe sul bilancio dello stato quanto il reddito di 10.000 euro, di 2 milioni di persone.
Dal punto di vista economico, la priorità numero uno del nuovo governo non può che essere quella di invertire la spirare recessiva verso un circuito virtuoso di crescita. Con ottimismo e rapidità.

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