Vent’anni fa l’Italia si
trovava in grave crisi economica; come ora, la corruzione minava la credibilità
della vita politica. A marzo del 1994, Berlusconi vinse con il 21 per cento dei
voti le elezioni politiche; anche allora i risultati non furono anticipati dai
sondaggi. La borsa, credendo che la vittoria di Berlusconi innescasse una
robusta fase di sviluppo, virò verso l’alto in modo euforico; anche il valore
dei titoli stato, ancora denominati in lire, aumentò; la fase positiva dei
mercati durò qualche settimana. Quando diventò manifesta la litigiosità tra le
forze politiche che appoggiavano l’esecutivo e divenne evidente che molti dei
suoi provvedimenti avevano il precipuo scopo di favorire il Presidente del
consiglio, i corsi delle azioni mutarono direzione e i tassi sui titoli di
stato schizzarono verso l’alto. Il maggior costo per il tesoro dello stato, e
quindi per la collettività, fu di qualche decina di migliaia di miliardi di
lire.
L’anno seguente ci furono
nuove elezioni e Forza Italia passò in minoranza. Ciò nondimeno le elezioni del
1994 furono uno spartiacque nella vita politica ed economica del nostro Paese;
da quel momento sono state avviate una serie di politiche neoliberiste prese in
assenza di efficaci prospettive macroeconomiche che si sono innestate in un
processo di imbarbarimento delle relazioni economiche e sociali. L’esito è
quello sotto gli occhi di tutti. Nel ventennio 1994-2013 la performance
economica del nostro Paese è stata la peggiore di tutto il globo terrestre, ad
eccezione di quelle dei paesi in guerra; mentre il reddito procapite di oltre
un miliardo di cinesi è aumentato di quasi dieci volte e quello di centinaia di
milioni di indiani, brasiliani, indonesiani e di molti altri paesi è salito a
ritmi appena inferiori, in Italia il reddito medio è rimasto sostanzialmente
inalterato. Dalla discesa in campo di Berlusconi, l’importanza e il ruolo
dell’Italia nello scenario politico ed economico mondiale sono scivolati
inesorabilmente verso il basso; salvo qualche lodevole eccezione, la
reputazione internazionale della nostra classe dirigente è scadente.
Il disastro è evidente anche
su altri piani. Alcuni esempi. Nel paese in cui, per millenni, è stata
accumulata la maggior parte dei tesori artistici dell’intera umanità, la
cultura è lasciata senza guida e risorse. L’improprio uso del territorio e la
sua progressiva cementificazione vanno deturpando bellezze non commensurabili.
Il calo delle nascite, malgrado il positivo contributo delle famiglie di
immigrati, ha reso l’Italia un paese di persone anziane; ciò nondimeno i
giovani trovano lavoro con sempre maggiore difficoltà e sempre più spesso sono
costretti ad emigrare. Il giorno seguente alle elezioni politiche Eurostat,
l’istituto europeo di statistica, ha reso noto che nel nostro Paese un giovane
su tre è a rischio povertà.
Se i sondaggisti avessero
tenuto conto di queste evidenze, forse avrebbero potuto prevedere che il 40 per
cento dei giovani sotto venticinque anni ha votato per il movimento cinque
stelle e il 60 per cento in Sicilia. L’esito elettorale ha reso evidente che un
cambiamento rispetto alle politiche economiche e sociali dell’ultimo ventennio
è ineludibile e urgente, a partire dall’uso della cosa pubblica e delle
relative istituzioni per il bene della collettività. Quando un giovane su tre è
a rischio povertà, i costi e gli sprechi della politica diventano ancor meno
tollerabili e la politica deve essere intesa come servizio e non come
opportunità di facile guadagno.
Dopo le elezioni è facile
comprendere come le tre semplici parole d’ordine - onestà, competenza,
trasparenza - dette nel comizio di piazza San Giovanni, condivisibili perché
riassumono le qualità di base che si richiedono alla nuova classe dirigente,
abbiano avuto una così grande presa. Esse dicono che la convenienza personale
non può risiedere nella casa pubblica; Dario Fo a Milano ha parlato di una
situazione di rinascita, come nel 1945.
Al centro del dibattito ci
sono dunque le proposte del movimento Cinque stelle, a disposizione sul sito di
Beppe Grillo, che, visti i risultati, sono ora studiate da non poche persone.
L’esposizione è efficace per la sua semplicità; alcune indicazioni sono
piuttosto radicali; in generale sono largamente condivisibili; esse non si
discostano molto da quelle, più articolate, sviluppate sul sito Sbilanciamoci!
e in particolare nel recente dibattito sulla rotta d’Italia.
Nell’attuale fase di sviluppo
delle forze produttive, la politica economica è essenzialmente la declinazione
dell’attività redistributiva di reddito. L’aumento delle attività finanziarie,
principale concausa dell’attuale instabilità dei mercati, si è accompagnata
alla crescente disuguaglianza distributiva che, riducendo la domanda, ha
compresso l’attività produttiva e il lavoro. La ripresa della domanda non può
esserci se non aumentano i redditi dei cittadini, a partire di quelli a rischio
di povertà e se non crescono i posti di lavoro; l’ordinato funzionamento dei mercati
non può essere garantito nel medio e lungo termine se non è assicurata un’equa
ripartizione del reddito, della ricchezza e delle ore lavorate.
Il reddito di cittadinanza, se
declinato tecnicamente e operativamente in modo equilibrato ed efficace, può essere
uno strumento potenzialmente valido per ripristinare un clima di fiducia di
cittadini e imprese e riavviare un percorso di crescita lungo sentieri di
sviluppo sostenibili e senza creare voragini nelle casse dello stato.
L’esperienza dell’ultimo governo Monti ha reso evidente che senza sviluppo
economico non ci può essere risanamento delle finanze pubbliche. Con la ripresa
e i conti in ordine, l’isteria mostrata dai mercati durante lo spoglio dei voti
scomparirebbe e i tassi sul debito pubblico potrebbero muoversi nella direzione
opposta a quella del 1994. Tornare sui livelli prevalenti in Europa sarebbe un
successo enorme; la riduzione del costo medio del servizio del debito pubblico
di un punto percentuale conterebbe sul bilancio dello stato quanto il reddito
di 10.000 euro, di 2 milioni di persone.
Dal punto di vista economico,
la priorità numero uno del nuovo governo non può che essere quella di invertire
la spirare recessiva verso un circuito virtuoso di crescita. Con ottimismo e
rapidità.
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