…La prima novità è il successo
del M5S, che ha molte radici. La più forte è la spinta demolitrice di un
sistema politico delegittimato. Accanto a questa, il rifiuto delle politiche di
austerità seguite nell'ultimo anno e mezzo, con i loro effetti devastanti su
lavoro e redditi. Infine, l’onda lunga di un paese che declina da vent’anni, in
cui “nove su dieci” stanno peggio di prima, crescono povertà e frustrazioni,
riparte l’emigrazione.
Tuttavia, questa confusa
spinta al cambiamento convive – ed è il secondo fatto da spiegare – con un 29%
dell’elettorato che resta fedele a Berlusconi e alla Lega, immobile nella
difesa dei propri interessi, indifferente a scandali e condanne della magistratura,
che in Lombardia riesce a mantenere maggioranza e controllo della Regione, e in
Sicilia al Senato ottiene tre volte i seggi del centro sinistra. Si tratta di
uno zoccolo duro ancorato a destra, alimentato dal potere mediatico di
Berlusconi, che ha come bandiera la cultura dell’individualismo, l’uso privato
della politica, la tutela dei privilegi. Un blocco che non è stato insidiato
nemmeno dall’apparire sulla scena del progetto liberista “classico” di Mario
Monti, fermo all’11%.
Il terzo fatto è l’insuccesso
del centro sinistra – e in particolare del Pd – sceso al 30% dei voti.
Appesantito dall’appoggio al governo Monti, insidiato dallo scandalo Monte
Paschi, Bersani non ha offerto alcuna proposta concreta di cambiamento: come redistribuire
reddito, come creare lavoro, come riformare la politica. Il Pd ha inseguito la
campagna di Berlusconi e ha occupato le pagine dei giornali a discutere della
possibilità di collaborare o meno con Monti dopo il voto. Si è mostrato così parte
del vecchio sistema, incapace di recepire le esigenze di cambiamento, ha
provocato l’emorragia di voti verso Beppe Grillo: un voto su tre ricevuto dal
M5S è di ex elettori del centro sinistra.
Il quarto fenomeno, più
profondo, riguarda le modalità con cui il disagio e i conflitti sociali
“emergono” nel voto. Non sono stati i movimenti attivi in questi anni – per i
diritti del lavoro, contro le spese militari, per l’acqua pubblica e la
riconversione ecologica, contro le mafie, etc. – a diventare i veicoli
dell’espressione politica della protesta. Le mobilitazioni dal basso non hanno
trovato ascolto e rappresentanza nei soggetti politici tradizionali e sono
state incapaci di trasformarsi in protagonisti della politica; la ricostruzione
dell’esperienza di “Cambiare si può” di Guido Viale sul manifesto del 27 febbraio è significativa di
questa difficoltà. Così, alle elezioni il disagio sociale ha preso la strada
del M5S, mescolando sfiducia generica nel sistema e alcune proposte specifiche.
I temi di cui i movimenti sono portatori hanno trovato ospitalità in un M5S in
genere assente nelle mobilitazioni dal basso. Quanti esponenti del M5S hanno
partecipato ai sit in e alle manifestazioni contro gli F35?
Eppure nella Val Susa della Tav, nella Taranto dell’Ilva e nelle aree di crisi
occupazionale più grave il M5S ha ottenuto consensi straordinari. In questo
senso, come argomenta l’intervista a Wu Ming sul manifestodel 1 marzo, il
successo del M5S è il risultato del fallimento dei movimenti.
Tre cose sono urgenti a questo
punto. La prima è affrontare fino in fondo questi quattro fenomeni, tutti
insieme. Serve un viaggio collettivo – dei giornali, delle radio, delle
organizzazioni sociali, della politica “buona” – alla riscoperta di un paese
ferito e disorientato. Si potrebbero convocare cento assemblee, una in ogni
provincia, in cui un’alleanza di associazioni, movimenti, media e sindacato dia
voce al disagio, lanci inchieste dal basso, si impegni a capire che cosa è
successo al voto, che cosa può ricostruire le possibilità di cambiamento.
La seconda urgenza è sui
contenuti. Ci sono ormai convergenze importanti sulla riforma della politica e
sul rifiuto dell’austerità. Drastico taglio dei costi della politica, riduzione
a 500 parlamentari, abolizione del finanziamento pubblico (sostituito dal
meccanismo del 5 per mille, come per le onlus, evitando la strada americana di
partiti finanziati da grandi imprese e ricchi), democratizzazione del sistema
politico (e questo riguarda anche la vita interna del M5S) sono alcuni punti da
cui partire. Quanto all’economia, le proposte di Sbilanciamoci! per i primi 100 giorni di governo
sono un utile promemoria: meno armi e più scuole; dai soldi sporchi, lavori
verdi; un fisco contro le disuguaglianze; il lavoro da tutelare, cancellando le
“riforme” Berlusconi-Monti; cittadinanza per chi nasce da noi (www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/Le-cose-da-fare-nei-primi-cento-giorni-16334).
E poi il reddito di cittadinanza, un piano per creare posti di lavoro stabili,
allentare i vincoli europei alle politiche economiche, cambiare la qualità
dello sviluppo, avviare mille “piccole opere” e la riconversione ecologica.
Perché i parlamentari di Pd, Sel e M5S non dovrebbero trovare un accordo su
queste proposte?
La terza urgenza,
fondamentale, è quella sul governo. Non ci sono alternative a un accordo di
sostanza – le forme parlamentari adeguate si potranno trovare – tra centro
sinistra e M5S che porti a un governo radicalmente nuovo, con personalità
credibili, fuori dalla vecchia politica, un governo capace di realizzare queste
misure di emergenza in un contesto istituzionale complicato e in un quadro
economico disastroso. E serve un nuovo Presidente della Repubblica che sia il
simbolo di una politica che torni a essere vicina ai cittadini.
Senza questo esito, c’è solo
un paese che sprofonda nella crisi. La “grande coalizione” Pd-Pdl, una
riedizione del governo Monti, o il boicottaggio da parte del M5S delle
possibilità di formare un governo avrebbero tutti l’effetto di aggravare la
sfiducia nella politica, frammentare la società, allontanare i cittadini. La
recessione del 2013 è già con noi, le imprese chiudono, la disoccupazione è senza
precedenti, i salari sono a terra, la sofferenza sociale dilaga, la
speculazione della finanza potrebbe travolgere l’economia del paese. Per
trovare la via d’uscita serve la politica. Una politica che non abbia paura di
cambiare.
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