La piccola Joud Mustafa sta giocando sotto il
sole a “Subway surfer” sull’ipad del papà. A 3 anni un viaggio così scomodo sul
ponte affollato e sporco di un peschereccio è una noia senza fine. Poi anche
Joud si addormenta stremata, nelle braccia della mamma. Da due giorni non hanno
da mangiare. Non c’è più acqua da bere. Ma un mormorio tra i 480-500 passeggeri
finalmente diffonde una buona notizia. La centrale operativa della Guardia costiera in Italia ha risposto alla
richiesta di soccorso lanciata con un telefono satellitare da un medico a
bordo. Molti ringraziano Dio e gli italiani. Sono le 12.26 di venerdì 11
ottobre. Comincia così un conto alla rovescia di protocolli e burocrazia che
nel giro di cinque ore ucciderà Joud e la sua mamma. E con loro, tra i sessanta e i
cento bambini, le loro famiglie e decine di ragazze e ragazzi siriani che
credevano di salvarsi in Europa. Una roulette agghiacciante di numeri: almeno
268 annegati, solo 26 corpi recuperati, 212 sopravvissuti. E il finale
inaccettabile nella sua assurdità: per tutto il pomeriggio la nave Libra della Marina militare italiana è
vicinissima ai profughi, appena dietro l’orizzonte. Tra le 27 e le 10 miglia,
un’ora, mezz’ora di navigazione o poco più. Ma né l’Italia né Malta chiedono
per ore il suo intervento.
La Libra ha un ponte grande, l’elicottero a bordo
e marinai esperti che potrebbero dare aiuto a tutti i naufraghi. La comandante,
il giovane tenente di vascello Catia Pellegrino, è un’icona della Marina. Da
quella breve distanza il peschereccio che sta affondando è sicuramente visibile
sul loro schermo radar. Ma nessuno dà ordini,
nessuno prende decisioni che potrebbero ancora salvare 268 persone. La
Libra viene autorizzata a raggiungere il punto soltanto alle 17.14. A quell’ora
la nave dei bambini si è rovesciata da sette minuti e il mare è una distesa di
persone vive e morte. I ritardi riducono drasticamente anche il tempo di luce a
disposizione per le ricerche. Calato il buio, chi è in acqua rischia di non
essere avvistato dai soccorritori e di andare alla deriva verso una fine di
stenti, freddo e fame. Forse è per questo che qualcuno tra i siriani giura di
aver notato bambini e adulti aggrappati a pezzi di legno del peschereccio, ma
di non averli poi ritrovati tra i superstiti riportati a terra…
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