giovedì 14 luglio 2016

Ho paura torero - Pedro Lemebel

quando prendi un libro in mano speri che meriti di essere letto.
una storia di omosessuali, di generali e mogli di generali, di sarte, di guerriglieri, di Carlos e di Fata.
ambientato a Santiago e in Cile nel 1986, quando Pinochet era al potere ormai da 13 anni, è un romanzo che non ti stanchi di leggere.
è l'unico romanzo di Pedro Lemebel, e ti fa respirare l'aria di quei giorni, quando i guerriglieri del Fronte Patriottico Manuel Rodríguez, il 7 settembre 1986, hanno provato, senza successo, ad ammazzare il tiranno.
ma è anche una storia d'amore, di tenerezza, di solidarietà e di attese, una storia politica, una storia alla quale ti affezioni, e vorrai bene a Fata e Carlos.
vuoiti bene, leggi questo libro - franz






Inizia così:
Come scorrere una garza sul passato, una tenda bruciacchiata che sventola alla finestra aperta di quella casa nella primavera dell’86. Un anno marchiato a fuoco dai copertoni fumanti per le strade di Santiago, schiacciata dal pattugliamento. Una Santiago che si svegliava al suono delle pentole sbattute nei cortei, ai lampi dei black out, per i cavi elettrici scoperti, esposti alle catene, alle scintille. Poi il buio pesto, le luci di un camion blindato, i fermo lì stronzo, gli spari e le corse a perdifiato, come nacchere di metallo che frantumavano le notti di feltro. Quelle notti funeree, trafitte dalle grida, dall’incessante “Cadrà”, e da tanti, tanti comunicati dell’ultimo minuto, sussurrati dall’onda sonora del “Diario de Cooperativa”. 
Poi c’era la casetta macilenta, un angolo di tre piani con una scala vertebrale che portava in soffitta. Da lì si poteva vedere la città in penombra, coronata da un velo torbido di polvere. Era una piccionaia, una ringhiera per stendere le lenzuola, le tovaglie e le mutande inalberate dalle mani marimbe della Fata dell’angolo. Nelle sue mattine di finestre spalancate, cantava “Ho paura torero, ho paura che stasera il tuo sorriso svanisca”. 
Tutto il quartiere sapeva che il nuovo vicino era così, una novellina dell’isolato un po’ troppo fissata con quella costruzione in rovina. Una mammoletta dalle sopracciglia increspate che venne a chiedere se per caso affittavano quel rudere terremotato all’angolo…




Ho paura torero fa ricorso al sarcasmo, alla comicità, al donchisciottismo straccione e picaresco, alla sfrenata e provocatoria alchimia dei colori ­ sete e tele e fiori si accampano a coprire il “corpo del reato” dei
cospiratori nella povera casa della Fata ­ a creare un esplosivo corto circuito, laddove il realismo si accende svaporando verso uno sfondo fantastico e tuttavia laconico, affermativo, verticale. Di fatto, nel racconto di questa vicenda nella quale si intrecciano amore, travestitismo, emulazione da set hollywoodiano, canto e discanto popolare e, non da ultimo, vocazione sovversiva, il lettore non perde nulla in quanto ad allucinata crudezza. Il camp, in altri termini, incontra qui l’attivismo rivoluzionario…

Ho paura torero, un romanzo dal titolo così strano (che verrà svelato nel corso della narrazione), è un libro che mi porterò nel cuore di lettrice. La scrittura di Pedro Lemebel è spesso un connubio riuscitissimo a tratti raffinata e a tratti più forte, senza mai cadere nel volgare. L’assenza di segni di punteggiatura nei dialoghi non rende incomprensibile il testo, anzi, sembra essere un espediente per far leggere al lettore le parole tutte d’un fiato, una di fila all’altra, come tante piccole perle.
La Fata dell’angolo, personaggio spesso triste e discriminato ci insegna che l’affetto e l’amore può andare oltre le differenze e soprattutto le difficoltà. Per renderla felice, Carlos è disposto anche a piccole pazzie, perché in cuor suo sa di volerle bene più di un pochino. Il ritratto che Lemebel fa di Pinochet e della moglie Lucia è tragicomico, la satira pungente di chi – finalmente – può scrivere la sua a proposito del dittatore che ha tenuto in scacco il Cile per troppo tempo…

Iniziamo subito con il dire che Ho paura torero è un libro stupendo. Lo dico nel caso, con la mia recensione, non riesca a farlo capire in modo convincente. 
E' difficile recensire un libro così. E' difficile raccontare con parole che non siano quelle dell'autore, questo Pedro Lemebel che, prima di trovare per puro caso questo libro nascosto da una pila di altri libri in un mercatino dell'usato, nemmeno conoscevo. 
Mai avrei pensato che quelle tre parole in copertina, semplici e, a prima vista, anche abbastanza incomprensibili, potessero significare e trasmettere tanto. 
Ho paura torero, tre parole che possono essere cantate, urlate o sussurrate. Tre parole che significano amore, passione, e anche un po' di erotismo. Ma che significano pure ribellione, sofferenza, paura, rivoluzione…

Pedro Lemebel rappresenta un caso del tutto anomalo nel panorama letterario cileno e latinoamericano di fine Novecento. Personaggio molto noto negli ambienti teatrali della Santiago degli anni ottanta, attivista del movimento gay e portatore fiero dell'estetica en travesti in piena dittatura militare, fondatore del Colectivo de Arte Las Yeguas del Apocalipsis, attore, fotografo, cineasta, Lemebel scopre le sue carte di scrittore dotato di un irresistibile stile trasgressivo negli anni novanta, quando insieme a pochi altri non si rassegna ad accettare passivamente le strettoie di una democrazia davvero molto più formale che reale. In quel contesto culturale e letterario irrigidito, quasi paralizzato dalla mediocrità imperante, la scrittura di Lemebel irrompe come un fermento sorprendentemente vivo fatto di cultura plebea urbana e alta tradizione barocca ispanoamericana che si dava per morto e sepolto dopo decenni di predominio di un realismo più o meno magico, e comunque ormai mummificato. Con gli anni la sua prosa dissacrante e divertente, che sovente si tramuta in antica e umile sacralità, si è dispiegata in innumerevoli pubblicazioni: articoli, testi teatrali, romanzi, cronache di vita urbana, saggi di critica culturale, reportage incentrati su questioni di grande urgenza come la lotta contro l'Aids.
Il/la protagonista del romanzo Ho paura torero in realtà pensa e parla un linguaggio la cui cifra principale è il coraggio, la " valentía ", essendo la sua paura nient'altro che il riconoscimento della pericolosità del nemico. A ragione, perché innamorandosi di un giovane incontrato per caso nelle strade del quartiere comincerà presto a sospettare di essere immerso fino al collo in una congiura clandestina, in realtà destinata, a sua insaputa, a uccidere il dittatore Pinochet. La sua povera casa, "dove volteggiano utopie elettriche nella notte purpurea", che con l'arrivo della bella stagione diventa "un palazzo orientale, con tende di seta crespa appese al soffitto e vecchi manichini rinati angeli dell'apocalisse o centurioni custodi della sua fantasia da femminella tulipano", sarà infatti il luogo scelto dal gruppo di temerari per pianificare i dettagli dell'attentato e immagazzinare grandi quantità di strane casse molto pesanti. Lui/lei, la Fata, continua imperterrita a lavorare e a portare ogni giorno i suoi preziosi e delicati lavori di ricamo alle signore dei quartieri alti, comprese le donne dei generali e la logorroica insopportabile moglie dello stesso Pinochet, mentre Carlos, l'amato, arriva puntualmente ogni notte con i simpatici amici che vogliono far tremare il mondo, ma non si accorge neanche un po' dei tremori della sua anima. La sera in cui le voci sull'attentato a Pinochet sui pendii della cordigliera raggiungono la sbalordita città ancor prima che la radio annunci che il dittatore l'ha scampata per un pelo e che lui stesso proclami di essere stato salvato dalla Madonna ("l'unica cosa carina che ha detto in quindici anni"), la Fata prepara un nuovo incontro con Carlos nel clima di consapevolezza e di crescente paura che invade il paese. Ma non c'è da aver paura, Principe, lo rassicurerà, finalmente ottimista, io ti proteggerò per sempre.
Lo scenario è la Santiago cupa e isolata della dittatura, dove, sotto l'apparente rassegnazione resisteva una corrente continua di miracolosa vitalità, concentrata in quei castigati quartieri popolari che sfidavano senza sosta, un'altra intifada di pietre e lacrimogeni, le postazioni del potere. A differenza dei molti narratori cileni che cercheranno inutilmente di descrivere con poveri tratti realisti questo mondo demograficamente sterminato e socialmente emarginato, la cui centralità peraltro nessuno di loro osa negare, Lemebel ce ne parla da dentro con una proprietà di linguaggio che può essere spiegata appunto con le categorie di una doppia appartenenza, ai quartieri dove abita la lingua e a una lunga tradizione letteraria con radici persistenti anche nei meandri polverosi della metropoli latinoamericana moderna.
Inevitabile un commento sulla traduzione di questo romanzo, il primo di Lemebel tradotto in italiano. Il compito non era facile, certo, la lingua di Lemebel è straordinariamente ricca e mobile, piena di rimandi a diversi livelli di realtà e di interpretazione (da Juana Inés de la Cruz a Severo Sarduy), dolente e tragica e al contempo allegra e festiva. Ma troppo di tutto ciò impallidisce nella versione italiana, colpa di un appiattimento lessicale che finisce per depositare sul testo un velo incolore, una confusione normalizzante dei registri e delle sfumature messi in gioco dall'autore, punto di forza di una scrittura che si muove sempre sul filo di una pungente polivalenza sessuale, sociale, politica. Forse la responsabilità non è in questo caso esclusivamente dei traduttori, ma anche dello stesso autore, una responsabilità che è un merito, Lemebel si sottrae infatti di netto alle tendenze letterarie che forse con un occhio alle traduzioni agevoli continuano a impoverire la lingua, un tempo così ricca e imprevedibile, della tradizione moderna ispanoamericana.

Difficile parlare di questo romanzo particolarissimo, ma una cosa è certa, di storie come Ho Paura Torero non ne leggerete più. O meglio, non leggerete più storie scritte in questo modo.
Per un attimo ho avuto il timore che lo stile ricco e piumato di Lemebel potesse nuocere alla fluidità della narrazione, invece è incredibile come, nonostante il carico di fronzoli, tutto risulti incredibilmente poetico e travolgente. Ed è stata proprio la sua penna tagliente, grottesca e surreale il punto forte dell'intero libro. Una penna che da una parte si diverte a infiocchettare con passione e nostalgia una storia d'amore impossibile e dall'altra ridicolizza con arguzia e ilarità la classe sociale che detiene il potere politico del Paese…

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