Ho
visitato l’Iraq nel 1999. All’epoca non c’erano i cosiddetti ‘jihadisti’ che
aderivano ai principi del ‘jihadismo’, qualunque possa esserne
l’interpretazione. Alla periferia di Baghdad, c’era un campo di addestramento
militare, non per ‘al-Qaida’, ma per il ‘Mojahedin-e-Khalq’, un gruppo iraniano
militante in esilio che operava, con finanziamenti e armi straniere, per
rovesciare la Repubblica iraniana.
All’epoca, il defunto presidente iracheno, Saddam Hussein
usava quella organizzazione che era stata esiliata, per saldare i conti
con i suoi rivali a Teheran, dato che anche loro abbracciavano le milizie
governative anti-irachene per ottenere esattamente lo stesso scopo.
L’Iraq non era certo in pace allora, ma la maggior parte
delle bombe che esplodevano in quel paese, erano americane. Infatti, quando gli
iracheni parlavano di ‘terrorismo’, si riferivano soltanto ‘Al-Irhab al-Amriki’
– il terrorismo americano.
Gli attacchi suicidi erano difficilmente un evento
quotidiano, anzi non erano mai un evento, in nessuna parte dell’Iraq. Non
appena gli Stati Uniti invasero l’Afghanistan nel 2001 e poi l’Iraq nel 2003,
si scatenò l’inferno.
Nei 25 anni precedenti al 2008 si era assistito a 1.840
attacchi suicidi, secondo i dati raccolti dagli esperti del governo americano e
citati sul Washington Post. Di tutti questi attacchi, l’86% si
erano verificati dopo le invasioni statunitensi dell’Afghanistan e dell’Iraq.
Invece, tra il 2001 e la pubblicazione dei dati nel 2008, ci sono stati 920
attentati suicidi in Iraq e 260 in Afghanistan.
Un quadro più completo emerse nel 2010, con la
pubblicazione di una ricerca più imponente e dettagliata, condotta per il
Progetto sulla Sicurezza e il terrorismo, dell’Università di Chicago.
Era emerso che “più del 95% di tutti gli attacchi suicidi
sono in reazione all’occupazione straniera.”
“Quando gli Stati Uniti hanno occupato l’ Afghanistan e
l’Iraq…il totale degli attacchi suicidi in tutto il mondo è aumentato
sensibilmente – da 300 tra il 1980 e il 2003, a 1.800 tra il 2004 e il 2009,”
ha scritto Robert Pape sula rivista Foreign
Policy.
Si è anche concluso, fatto significativo, che “oltre il 90%
degli attacchi suicidi in tutto il mondo sono ora anti-americani. La vasta
maggioranza dei terroristi che si suicidano provengono dalla locale regione
minacciata dalle truppe straniere, e questo è il motivo per cui il 90% di
coloro che compiono un attacco suicida in Afghanistan, sono Afgani.”
Quando visitai l’Iraq nel 1999, ‘al-Qaida’ era semplicemente
un nome che si sentiva sui notiziari televisivi iracheni in riferimento a un
gruppo di militanti che operavano per lo più in Afghanistan. Era stato dapprima
istituito per unire i combattenti arabi contro la presenza sovietica in
quel paese e all’epoca fu in gran parte non considerato una minaccia alla
sicurezza globale.
E’ stato anni dopo che i sovietici lasciarono
l’Afghanistan, nel 1988, che ‘al-Qaida’ divenne un fenomeno globale. Dopo gli
attacchi dell’11 settembre 2001, le reazioni sbagliate degli Stati Uniti –
invadere e distruggere dei paesi – crearono proprio quel ricettacolo che oggi
ha accettato la militanza e il terrore di oggi.
In men che non si dica, in seguito all’invasione americana
dell’Iraq, ‘al-Qaida’ estese le sue ombre scure su un paese che era già
sopraffatto da un numero di morti che superò le centinaia di migliaia.
Non è certo difficile seguire il filo della formazione
dell’ISIS, il più letale di tutti questi gruppi che hanno avuto origine
soprattutto da ‘al-Qaida’in Iraq, esso stesso causato dall’invasione
statunitense.
E’ nato nell’ottobre 2006 dall’unione di vari gruppi
militanti, quando ‘al-Qaida’ in Mesopotamia si è aggregato alle fila del
‘Consiglio della Shura dei Mujahidin in Iraq, dello ‘Jund al-Sahhaba’
(Soldati del cielo) e dello Stato Islamico dell’Iraq’(ISI).
L’ISIS, o ‘Daesh’, è esistita da allora, sotto varie forme
e con varie abilità, ma è diventata famosa come organizzazione orrendamente
violenta con ambizioni territoriali, quando un’insurrezione in Siria si trasformò
in una piattaforma mortale di rivalità regionali. Quello che esisteva come
‘stato’ a livello virtuale, cerebrale, si era di fatto trasformato in uno
‘stato’ con una reale regione, giacimenti petroliferi e di legge
marziale.
E’ facile, forse comodo, dimenticare tutto questo.
Collegare i proverbiali puntini può essere costoso per alcuni, perché svelerà
una traiettoria di violenza radicata nell’intervento straniero. Secondo molti
commentatori e politici occidentali è molto più facile – certamente più sicuro
– discutere dell’ISIS in contesti improbabili, per esempio l’Islam, piuttosto
che assumersi una responsabilità morale.
Compatisco quei ricercatori che hanno passato anni a
esaminare la tesi dell’ISIS come teologia religiosa oppure l’ISIS e
l’apocalisse. Si guardano i dettagli ma non tutto il quadro completo. Che cosa
vi ha portato di buono, comunque?
Gli interventi militari e politici americani sono stati
sempre accompagnati dal tentativo di intervenire anche nei curricula scolastici
dei paesi invasi. La guerra all’Afghanistan si è unita anche a una guerra alle
sue ‘madrase’ (la scuole coraniche) e ai suoi ‘ulema’ ribelli (i dotti
musulmani di scienze religiose, n.d.t.). Nulla di questo è stato utile, semmai
ha avuto un effetto boomerang, perché ha messo insieme la sensazione di
minaccia e il senso di persecuzione tra diecine di milioni di musulmani in
tutto il mondo.
ISIS non è che un nome che può essere rinominato senza che
si noti e trasformato in qualcosa di completamente diverso. Anche la sua
tattica può cambiare, in base al tempo e alle circostanze. I suoi seguaci
possono infliggere la violenza usando una cintura esplosiva, una macchina
carica di esplosivo, un coltello o un camion che si muove a grande velocità.
Quello che è realmente importante, è che l’ISIS è diventato
un fenomeno, un’idea che non è neanche limitata a un singolo gruppo e che non
richiede nessuna adesione ufficiale, trasferimento di fondi o di armi.
Non è un fatto comune, ma, con un approccio più sensato, dovrebbe
rappresentare il punto cruciale della lotta contro l’ISIS.
Quando un autista franco-tunisino di camion si è buttato
contro una folla di persone che stavano facendo festa nelle strade di Nizza, la
polizia francese si è data rapidamente da fare per trovare dei collegamenti tra
l’uomo e l’ISIS o un altro gruppo combattente. Nessun indizio è stato rivelato
immediatamente e tuttavia, stranamente, il Presidente François Hollande ha
rapidamente dichiarato le sue intenzioni di reagire militarmente.
Che stupidità e ottusità! Che cosa ha ottenuto di buono
l’avventurismo militare della Francia in anni recenti? La Libia si è
trasformata in un’isola di caos dove ora l’ISIS controlla intere città. L’Iraq
e la Siria rimangono luoghi di violenza assoluta.
Che dire del Mali? Forse i francesi hanno avuto una sorte
migliore in quel paese.
In un articolo per Al-Jazeera, Pape Samba Kane ha descritto la
terribile realtà che il Mali è diventato, in seguito all’intervento francese
del 2003. La loro cosiddetta ‘Operazione Serval’ *si è trasformata nella
‘Operazione Barkhane’**: il Mali non è diventato un posto in pace e i francesi
non hanno lasciato il paese.
I francesi, secondo Kane sono ora Occupanti, non liberatori
e secondo tutti i dati razionali – come quelli sottolineati qui sopra –
sappiamo tutti che cosa fa un’occupazione straniera.
Kane ha scritto: “La domanda che devono farsi i maliani, è:
“Preferiscono dover combattere contro i jihadisti per molto tempo, oppure che
la loro sovranità sia contestata e che il loro territorio venga occupato o
suddiviso da un vecchi stato colonialista allo scopo di soddisfare un gruppo
alleato con una potenza coloniale?”
Tuttavia, i francesi, come gli americani, i britannici ed
altri, continuano a evitare questa ovvia realtà a proprio rischio. Rifiutare di
accettare il fatto che l’ISIS è soltanto una componente di un percorso molto
più ampio e inquietante di violenza che è radicata nell’intervento straniero,
vuol dire permettere che la violenza si perpetui dovunque.
Per sconfiggere l’ISIS è necessario anche che affrontiamo e
sconfiggiamo la teoria che ci ha portato a questa soglia: sconfiggere la logica
dei George W. Bush, dei Tony Blair e dei John Howards che ci sono
in questo mondo.
Non importa come siano violenti i membri dell’ISIS o i loro
sostenitori: è sostanzialmente un gruppo di giovani uomini arrabbiati,
alienati, radicalizzati che
cercano di modificare loro situazione disperata facendo
spregevoli atti di vendetta, anche se questo significa perdere la vita nel
corso dell’azione.
Bombardare i campi dell’ISIS può forse distruggere alcune
delle loro strutture militari, ma non sradicherà proprio l’idea che ha
permesso loro di reclutare migliaia di giovani in tutto il mondo.
Essi sono il risultato del modo di pensare violento che si
è generato non soltanto in Medio Oriente, ma, inizialmente, in varie capitali
occidentali.
L’ISIS si affievolirà e morirà quando i suoi leader
perderanno la loro attrattiva e la capacità di reclutare dei giovani che
cercano risposte e vendetta.
L’opzione della guerra finora si è dimostrata la meno
efficace. L’ISIS resterà e si trasformerà, se sarà necessario, fino a quando la
guerra resterà nei programmi.. Per porre fine all’ISIS dobbiamo porre fine alla
guerra e alle occupazioni straniere.
E’ molto semplice.
**http://www.analisidifesa.it/2015/03/operazione-berkhane-la-guerra-di-parigi-ai-jihadisti-nel-sahel/
Il Dottor Ramzy Baroud scrive da 20 anni di Medio
Oriente. E’ un opinionista che scrive sulla stampa internazionale, consulente
nel campo dei mezzi di informazione, autore di vari libri e fondatore del
sito PalestineChronicle.com. Tra i suoi ci sono: Searching Jenin
[Cercando Jenin] The Second Palestinian Intifada [La seconda Intifada palestinese] e quello più recente: My
Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story(Pluto Press, Londa). [Mio padre era un combattente
per la libertà: la storia di Gaza che non è stata raccontata]. Il suo sito
web è www.ramzybaroud.net
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
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