La democrazia turca è morta. In realtà stava già morendo da
quando il presidente Recep Tayyib Erdoğan ha assunto il controllo dei mezzi di
informazione, ha cominciato ad arrestare oppositori politici e giornalisti e,
lo scorso autunno, per vincere le elezioni ha perfino ripreso la guerra con i
curdi.
Non è stato un
golpe molto efficiente. In questi casi la prima
regola è arrestare o uccidere la persona che si vuole spodestare. Gli ideatori
del colpo di stato avrebbero potuto facilmente prendere Erdoğan, che era in
vacanza nella località turistica di Marmaris, ma non lo hanno fatto.
Non hanno bloccato internet e i social media, e quindi
Erdoğan ha potuto usare un cellulare per trasmettere su FaceTime il messaggio
in cui invitava i suoi sostenitori a sfidare i soldati nelle strade di Istanbul
e di Ankara.
Non hanno bloccato neanche la televisione di stato, che ha
diramato il messaggio di Erdoğan. Sono passate tre ore prima che occupassero
gli studi della Trt, l’emittente nazionale turca, e sono stati cacciati via
meno di un’ora dopo. Non hanno chiuso nemmeno le reti televisive private, che hanno
un pubblico molto più vasto.
Hanno assunto il controllo dell’aeroporto di Istanbul, ma
anche da lì sono stati cacciati via dai sostenitori di Erdoğan e il presidente
è riuscito a tornare in città.
Forse i colonnelli (i generali erano già nelle mani dei
fedeli a Erdoğan) non avevano abbastanza uomini per assumere il controllo di
tutto quello che serviva per la riuscita del golpe. Può anche darsi che
avessero paura di ordinare un massacro perché l’esercito turco è costituito da
soldati di leva, molti dei quali sono giovani – praticamente civili in uniforme
per un anno – e avrebbero potuto rifiutarsi di uccidere tanti loro
concittadini. Comunque sia, presto sono stati costretti alla ritirata. Ma
questa storia non può avere un lieto fine.
Ovviamente, se i ribelli avessero vinto, la democrazia
sarebbe morta. Alle ultime elezioni, quasi metà della popolazione turca ha
votato per Erdoğan, quindi un regime militare avrebbe dovuto rimanere al potere
per molto tempo perché non avrebbe avuto il coraggio di indire libere elezioni
e rischiare che tornasse al potere. Sarebbe morta anche se il golpe fosse
riuscito in parte e l’esercito si fosse spaccato, perché questo avrebbe
significato la guerra civile. Per fortuna, questa possibilità è stata
scongiurata, ma in Turchia la democrazia è morta anche se il golpe è fallito.
Dopo questo trionfo, Erdoğan coglierà l’occasione per
considerare la possibilità di assumere il controllo di tutte le maggiori
istituzioni statali e dei mezzi di informazione, e di diventare veramente il
“Sultano” della Turchia (come i suoi seguaci spesso già lo chiamano). Questa è
una tragedia, perché cinque o dieci anni fa il paese sembrava sulla buona
strada per diventare una sorta di democrazia, dove l’informazione è libera e
regna la legalità, e dove un golpe simile sarebbe stato inconcepibile.
Quando nel 2002 Erdoğan vinse le elezioni promettendo di
eliminare tutte le limitazioni imposte ai musulmani più religiosi da una
costituzione rigorosamente laica, sembrava un passo avanti nel processo di
democratizzazione. Erdoğan ha mantenuto quelle promesse, ma gradualmente è
andato oltre e ha cercato di islamizzare il paese contro la volontà di metà
della popolazione che preferirebbe uno stato laico.
Per sua fortuna, in quel momento l’economia turca era in
pieno boom, e quindi ha continuato a vincere le elezioni e a concentrare tutto
il potere che poteva sulla sua carica. Ha estromesso tutti i funzionari che non
erano suoi convinti sostenitori, attaccato la libertà di informazione e
impegnato il paese a dare il suo appoggio incondizionato ai ribelli islamisti
della vicina Siria.
Gli ufficiali dell’esercito che si sono ribellati forse
volevano fermare tutto questo, ma hanno commesso un terribile errore per il
quale saranno severamente puniti. Come lo sarà chiunque verrà anche minimamente
sospettato di aver simpatizzato con loro, ed Erdoğan ne uscirà come
l’onnipotente “Sultano” della Turchia post-democratica.
Gli organizzatori del golpe hanno commesso lo stesso errore
che fecero i liberali egiziani quando chiesero all’esercito di rovesciare il regime
del presidente eletto Morsi nel 2013. Il paese aveva un presidente che temeva e
odiava, ma aveva anche una democrazia che forniva mezzi legali e pacifici per
mandarlo via. L’errore dei golpisti è stato quello di non avere la pazienza di
lasciare agire quegli strumenti.
Con il tempo, Erdoğan sarebbe diventato sempre meno
popolare. L’economia turca è stagnante, la sua politica siriana disastrosa, ed
è sempre più difficile ignorare la palese corruzione delle persone che lo
circondano. Prima o poi avrebbe perso le elezioni. Ma come i liberali egiziani,
gli ufficiali turchi non avevano abbastanza fiducia nella democrazia per
aspettare.
(Traduzione di Bruna
Tortorella)
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