Situazione rovente, in questi giorni, a Casale San Nicola,
borgata residenziale di Roma dove vi sono stati scontri tra polizia,
militanti di gruppi di destra e residenti ostili all’apertura di un centro per
rifugiati. Si legge anche di gruppi
politici che pateticamente si vantano per aver “impedito la distribuzione del cibo ai
clandestini chiedendo
che venisse consegnato agli italiani in difficoltà” (sic!). Mi domando perché
anziché vedere il nemico in chi è affamato – italiano o no che sia -, non lo si
veda in chi affama,
in chi riduce i popoli nella miseria, in chi tramite l’usura e lo sfruttamento
genera miseria per i più e ricchezza illimitata per pochi. Svegliamoci. Il
nemico non è chi ha fame ma chi affama; chi getta nella disperazione i popoli e
non chi è disperato; chi costringe gli esseri umani a fuggire, non chi fugge; chi
provoca l’immigrazione, non chi la subisce. È il capolavoro del potere quando
si pensa che il nemico sia chi sta più in basso di noi e non chi sta sopra di
noi!
Il pensiero unico mondialista ultracapitalista mira a
legittimare e a produrre il nuovo modello antropologico del migrante come
valore in sé positivo: e lo fa per giustificare l’esistente, giacché gli stessi
giovani europei sono sempre più ridotti a migranti che devono abbandonare il
loro paese per andare a fare – magari da laureati – i lavapiatti a New York o a
Sidney. La competizione globale dell’odierno fanatismo economico si regge sulla
volatilizzazione dei capitali e sulla delocalizzazione del lavoro: dunque anche
sulla migrazione coatta
degli esseri umani, elogiata dal politicamente corretto mediante la
patetica retorica dell’esotismo dei viaggi low
cost e della bellezza
della migrazione in cerca di fortuna.
Su questo fronte, le due varianti del pensiero unico sono
la “pappa del cuore” dell’incondizionato elogio a priori
dell’immigrazione e l’idiotismo della lotta
xenofoba contro gli immigrati. In accordo con le politiche
dell’ospitalità delineate da Derrida, i singoli migranti debbono certo essere
soccorsi, in quanto esseri umani e, per di più, parti dell’umanità sofferente.
E, tuttavia, l’immigrazione deve essere combattuta e non favorita, giacché essa
è prodotta dalle stesse logiche deterritorializzanti del fanatismo mondialista
dell’economia. Nella sua logica generale, l’immigrazione è oggi promossa strutturalmente dal
capitale e difesa
sovrastrutturalmente dalla “retorica del migrante” propria del pensiero unico.
L’odierno regno animale dello spirito necessita dell’
“esercito industriale di riserva” (Marx) dei migranti per poter distruggere i
diritti sociali ancora sussistenti, annientare la residua forza organizzativa
dei lavoratori e abbassare drasticamente i costi del lavoro. Il capitale non
mira a integrare i migranti: aspira, invece, a disintegrare,
tramite i migranti, i non-migranti, riducendo anche questi ultimi al rango dei
primi. Di più, l’esaltazione
acritica dei migranti, in stile lacrimevole e compassionevole e non
più rivendicativo e insurrezionale, serve a legittimare la
deterritorializzazione, ossia – ancora una volta – la rimozione di ogni limite
al dominio assoluto del capitale.
L’inconfessabile obiettivo del monoteismo del mercato – occorre insistervi – non consiste
nel portare i migranti al rango dei cittadini, ma nell’abbassare al livello dei
migranti i cittadini degli Stati nazionali, privi dei diritti, della coscienza
oppositiva e di una lingua con cui articolare le loro richieste di integrazione
e riconoscimento. Figura pienamente inscrivibile nel registro dell’egemonia
padronale, l’immigrazione si pone, pertanto, come uno strumento dei dominanti
nella lotta di classe.
Alimentando traffici di esseri umani ridotti a merci e biechi interessi
padronali, l’esercito industriale di riserva dei migranti rappresenta un
immenso bacino di manodopera a buon mercato, peraltro estranea alla tradizione
della lotta di classe: permette di esercitare una radicale pressione al
ribasso sui salari dei
lavoratori, spezza l’unità – ove essa ancora sussista – nel movimento operaio
e, ancora, consente ai padroni di sottrarsi ai crescenti obblighi di diritto al
lavoro.
In forza della situazione di miseria e disperazione in
cui versano, gli immigrati sono costretti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro:
ciò determina che, in seconda battuta, lo stesso sia necessariamente accettato
anche da chi, in altre condizioni, mai l’avrebbe fatto.
Per questo, chi oggi critica il capitale e, insieme,
elogia il fenomeno dell’immigrazione (che del capitale segna il trionfo) si
rivela del tutto incoerente, proprio come chi critica l’immigrazione e,
insieme, accetta supinamente il capitale.
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