La mia casa è racchiusa in
una valigia, la porto sempre con me ovunque vada. Ha pareti che cambiano, che
si dilatano, si restringono. La mia casa ha lo stesso nome in molte lingue. Ma
non in tutte. Il nome è lo stesso in tutti i luoghi che ho abitato. E questo è
un conforto. La mia casa a volte è piena, a volte vuota. Piena delle memorie e
dei giorni, vuota del tempo che resta e di tutte le assenze. La mia casa ho
spazzato di tutti i rimpianti e a volte anche delle speranze. La mia casa è
sola o vicina alle altre. Così strette che si fanno compagnia. A volte è troppo
grande, a volte troppo piccola. La mia casa mi riflette, mi assomiglia. Porta
tracce di voci e di corpi. Ha sempre porte e finestre mai chiuse, pronte
all’attesa, all’incontro. Ha pareti di libri e di storie, una bocca per
raccontarle. Ha lacrime appese al soffitto come gocce di cristallo. Brillano e
non si muovono. Ha risa che battono contro i vetri delle finestre. Risa e
lacrime non solo mie. La mia casa ha il gusto del mare, di onde, di sale.
I sette colori delle montagne, di pietra e rocce, di cime mai scalate. Ha il
sapore del mirto e della papaya, di vino buono e acajù. Sa di pioggia e di
vento, di raggi di sole. Certe volte non ha voglia di viaggiare e vorrebbe
restarsene lì ben piantata sulla terra. Ma non faccio fatica a convincerla e
piano piano, prima mestamente, riprende il suo posto in valigia. E forse ci
pensa su, perché dopo un po’ la sento ridere e la guardo dormire sognando nuovi
confini.
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