lunedì 19 dicembre 2016

Jakob Augstein, giornalista


…Jakob Augstein, 45enne firma  dello Spiegel online e figlio riconosciuto del fondatore, nono nella lista nera compilata  dal “Simon Wiesenthal Center”. Ma i partiti si schierano a sua difesa
«Chiunque critichi Israele deve aspettarsi di essere insultato come antisemita». Parole quasi profetiche, quelle che a fine novembre (2013) anticipavano un commento del giornalista Jakob Augstein sul sito del settimanale Der Spiegel: poco più di un mese dopo il rinomato Simon Wiesenthal Center ha inserito Augstein al nono posto nella lista dei dieci peggiori antisemiti del mondo. Provocando un ampio dibattito in Germania, dove s’è formata un’insolita coalizione che va dal quotidiano conservatore Faz alla sinistra radicale della Linke, passando per la Cdu e il Consiglio centrale degli ebrei: tutti uniti nel difendere questo quarantacinquenne editorialista di Spiegel online, editore del settimanale liberale di sinistra Der Freitag, figlio riconosciuto del fondatore dello Spiegel Rudolf Augstein (il suo padre biologico, in realtà, è lo scrittore Martin Walser) e ospite fisso dei talk show tedeschi.
Cos’ha fatto Augstein per finire nello stesso elenco insieme ai Fratelli musulmani e all’Iran? Ha scritto ad esempio su Spiegel online che “Gaza è una prigione”, “ein Lager” in cui “Israele cova i suoi stessi nemici” o che “gli ebrei hanno i loro fondamentalisti”, che “sono fatti della stessa pasta dei loro nemici islamisti”…

E se i veri clown d'Europa fossero i nostri leader politici? – Jakob Augstein (2013)
Un voto svizzero contro l'avidità e un voto di protesta in Italia: l'Europa è stanca di questo capitalismo. Solo i tedeschi non l'hanno ancora capito. Steinbrück sicuramente no.

In Svizzera i cittadini hanno votato contro l'arricchimento illimitato dei manager. In Italia un governo di tecnocrati è stato bocciato dagli elettori. C'è un populismo della ragione che si chiama democrazia. La gente è stanca del capitalismo che distrugge la società. L'indignazione è cresciuta, e monta la rabbia. Prima di tutto contro i tedeschi. Ma questi continauno a preoccuparsi solo dei loro soldi e offendono.

La storia del clown ci mostra: ancora una volta il candidato cancelliere della SPD non capisce che cosa sta succedendo in Europa. La Germania è diventata un problema europeo - e Peer Steinbruck non è la soluzione.

Fortunata la Svizzera! A volte bisogna invidiare il paese e la sua democrazia. In un referendum popolare gli svizzeri lo scorso fine settimana hanno fermato la follia crescente dei bonus, delle buone uscite e degli stipendi: in futuro saranno gli azionisti a decidere, e non piu' i manager. Saranno vietat iI bonus all'ingresso e le buonauscite milionarie. Hanno avuto il coraggio di fare qualcosa, gli svizzeri.

L'austerità di Merkel è un inferno

Lo mostrano anche le reazioni alle elezioni italiane. Le "condizioni non sono chiare", è stata la prima risposta dei mercati. Sono i veri sovrani e si comportano come tali. Moody's ha minacciato un declassamento del merito di credito. E anche il mercato obbligazionario ha reagito: "l'Italia in cambio del caos elettorale ha ricevuto una fattura con interessi piu' alti da pagare", ha riferito la Deutsche Presseagentur. Perché per molti giornalisti è normale che siano "i mercati" a rilasciare una ricevuta alla politica.

Una domanda: perché allora non sono i mercati finanziari a eleggere direttamente i governi? In verità succede già da molto tempo. Il professore di economia Mario Monti in Italia e il banchiere centrale Loukas Papademos in Grecia erano tecnocrati insediati dai mercati - e da Angela Merkel.

La cancelliera tedesca ha incatenato alla sua disastrosa ideologia del risparmio l'intero continente. "Austerità", suona bene e sembra ragionevole. Ma in verità è l'inferno. Le misure di austerità fanno crollare l'economia. In questo modo si aumenta il peso del debito. E non si crea fiducia. Il denaro pero' è una questione di fiducia. Il saggio Wolfgang Münchau qualche giorno fa sempre su Der Spiegel ha scritto: "viene chiamata anche trappola del debito. Non se ne esce senza l'aiuto esterno. E piu' ci si dimena, piu' si scivola in profondità".

Non è solo il "nostro Euro"

Gli europei sono sempre piu' stanchi di Merkel e dei mercati. "Il sogno tedesco è l'incubo europeo", ha scritto il quotidano "Le Monde". Appena 25 anni dopo aver riconquistato la piena sovranità, la Germania in Europa si ritrova sulla via dell'isolamento politico.

Questa è l'eredità politica di questa cancelliera. Merkel non ha capito che l'Europa è un progetto politico. Non un progetto contabile. Non ha saputo spiegare ai tedeschi che cosa l'integrazione significhi: non solo gli altri dovranno integrarsi. Anche noi. "Schock dopo le elezioni italiane. Distruggeranno il nostro Euro?", scriveva l'edizione online della Bild-Zeitung. E qui c'è proprio un malinteso. Non è solo il "nostro" Euro.

Probabilmente il quotidiano popolare riesce a intercettare lo stato d'animo dei cittadini. E' come se i tedeschi non capissero che cosa c'è attualmente in gioco. Assistono all'indebolimento morale del loro sistema sociale con una strana indifferenza. Il movimento Occupy, che due anni fa ha avuto un forte successo, si è spento rapidamente, e nessuno sente la loro mancanza. La tassa sulle transazioni finanziarie, di forte importanza simbolica, viene frenata dal piccolo partito della FDP.

Ma anche lo sfidante di Merkel, Peer Steinbrück, non è certo colui che spiegherà ai tedeschi l'importanza dell'Europa. Non riesce nemmeno a comprendere che cosa sta succedendo intorno a lui. Steinbrück ha offeso il vincitore delle elezioni Grillo chiamandolo "Clown", ma non ha nessuna idea delle condizioni italiane.

Dove dominano la corruzione, la criminalità e la cleptocrazia il clown probabilmente è la sola alternativa ragionevole. Ma Grillo non è un clown. E' un moralista. Nella politica italiana non si è abituati - e nemmeno in quella tedesca. Le sue richieste - limite al numero di mandati, riduzione dei parlamentari, legge contro il conflitto di interesse dei politici - sono tutt'altro che clownesche. E i "grillini" che stanno per entrare in Parlamento, non sono tecnocrati o lobbysti, piuttosto eletti nel senso migliore del termine. 

Se Steinbrück fosse un socialdemocratico, avrebbe almeno un po' di simpatia per questi uomini e donne e augurerebbe loro un po' di fortuna per il difficile cammino che li attende.

Il sociologo Oskar Negt ha scritto: "Il presente soffre di una cronica malnutrizione dell'immaginazione produttiva". Per la Germania è una frase perfetta. Ma per fortuna non per tutta l'Europa.


Jakob Augstein sul capodanno a Colonia, nel 2016

Qualche giornalista tedesco sta minimizzando o razionalizzando la crescente violenza sessuale contro le donne e i minori. Secondo Jakob Augstein, un autorevole editorialista della rivista Der Spiegel, i tedeschi preoccupati per i crimini dei migranti sono mossi dal razzismo.
Poco dopo le aggressioni di Capodanno a Colonia, Augstein ha ridicolizzato l’idea che i migranti musulmani si siano accaniti contro le donne tedesche. Sulla sua pagina Facebook, egli ha scritto:
“Siamo così razzisti. Ognuno ha voluto immediatamente credere che 1.000 nordafricani avevano scatenato l’inferno. Mille. Si tratta di una cifra immaginaria. Proprio come i tre capelli d’oro del diavolo. I sette nani o la tredicesima fata. Un migliaio di tunisini ha attaccato le ‘nostre’ donne. Questo è proprio quello che ci serviva. Lo straniero e la sua sessualità minacciosa – questo è il più antico pregiudizio del razzismo”.

Ora, Augstein asserisce che le aggressioni sessuali perpetrate dai migranti sono una forma di ribellione sociale.
Scrivendo sulla sua pagina Facebook il 23 febbraio, Augstein ha argomentato che le vere vittime in tutto questo sono i migranti perché occupano un gradino basso nella gerarchia sociale della Germania. Egli ha scritto: “Le vittime di Colonia erano inferiori ai loro perpetratori solo al momento delle aggressioni. Quelle donne erano impotenti e indifese quando sono state aggredite e derubate. Ma prima e dopo le aggressioni esse erano e sono superiori ai loro aggressori. Per le vittime di Clausnitz [dove il 18 febbraio, una folla anti-migranti ha cercato di bloccare l’arrivo in città di 20 richiedenti asilo] è diverso: essi erano inferiori agli aggressori prima dell’accaduto, durante e dopo gli incidenti. Sono sempre inferiori. La violazione della legge a Colonia ha causato una breve rottura della gerarchia stabilita, un’inversione del reale equilibrio di potenza. Il motivo è che in questo momento il rapporto tra la vittima e l’autore del reato è stato ridotto alla forza fisica. Per il resto, le vittime di Colonia sono superiori ai loro perpetratori: lingua, nazionalità, istruzione, status sociale, benessere, sicurezza giuridica, fiducia in se stesse. …A Clausnitz, il forte ha soggiogato il debole. Questo rende l’attacco di Clausnitz così ripugnante. E – se si vuole realmente fare raffronti – questo conferisce all’aggressione di Clausnitz una qualità morale diversa dalle aggressioni di Colonia”.


Elezioni USA: l’elezione di Donald Trump è la fine dell’Occidente - Jakob Augstein (2016)
Traduzione di Josè F. Padova

Der Spiegel, 10 novembre 2016
Elezioni USA: l’elezione di Donald Trump è la fine dell’Occidente
La vittoria di Donald Trump significa la fine dell’Occidente. L’era del liberalismo è tramontata. Al potere arriva un nuovo fascismo. Che lo vogliano o no: i tedeschi dovranno trovare la loro salvezza entro i confini della nazione.
Una rubrica di Jakob Augstein
Anche il giorno dopo le elezioni negli USA il sole è sorto.
Il prossimo cambio di amministrazione alla Casa Bianca non ha riferimenti cosmici.
Ma appena al disotto la decisione americana è una scossa alla nostra realtà. Il nostro vocabolari è diventato fragile: “democrazia”, “elezioni”, “libertà” – e “occidente”. Questo ultimo concetto innanzitutto si squaglia. L’elezione di Donald Trump è la fine dell’Occidente.
Mercoledì Angela Merkel ha elencato i valori cui l’Occidente si riferisce: democrazia, libertà, rispetto per i diritti e la dignità delle persone, indipendentemente da origine, colore della pelle, religione, sesso, orientamento sessuale o posizione politica. “Sulla base di questi valori”, ha detto Merkel, “offro al futuro presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump una stretta collaborazione”. nessun Cancelliere tedesco ha mai parlato così con un Presidente americano. Ma un presidente come Trump non c’era mai stato. Infatti Trmps non è un democratico. È un fascista.
La vittoria di Trump è l’ultima prova che la democrazia liberale si trova in una crisi esistenziale, che minaccia di sconfitta la lotta col capitalismo.
Questo risultati non era stato previsto. Infatti rompe il quadro. E coloro che sono responsabili delle previsioni vivono in questo quadro. Un buon esempio è l’editore di “Zeit”, Josef Joffe. In gennaio scriveva: “Una cosa soltanto si può profetare oggi, senza garanzia: Donald Trump, il front runner dei republbicani, al quale i sondaggi hanno personato tutto, non diventerà il 45° presidente”. Gente come Joffe non poteva immaginarsi che gli elettori agiscono contro quello che generalmente è ritenuto raziocinio. Questa mancanza sia di fantasia, sia anche di memoria storica, è sbalorditiva.
Il linguaggio di Trump, la sua acconciatura, il suo gestire, tutto l’uomo – una figura ridicola
Come può essere che commentatori intelligenti abbiano dimenticato l’oscura forza che si cela nel fascismo? Il linguaggio di Trump, la sua acconciatura, il suo gestire, tutto l’uomo – una figura ridicola. Ma chi guarda le fotografie di Benito Mussolini riterrà anche lui una figura ridicola. Del “Führer” niente da dire. L’arroganza di chi si è affermato è in sé un sintomo. Moltissimi giornalisti e politici hanno dato per certo che le forze del capitalismo negli ultimi trent’anni hanno continuamente eroso la democrazia. Moltissimi hanno preso partito e si sono messi dalla parte del vincitore. Non hanno udito il brontolio crescente dei perdenti.
Il britannico “Economist” ha appena annunciato che un quarto degli americani USA nati dopo il 1980 non crede più che la democrazia sia una forma di Stato valida. Ci si rallegra per la maggioranza del 75 percento che ancora crede nella democrazia – nonostante non la conoscano proprio.
L’America è da tempo uno Stato oligarchico.
Dopo il fallimento della democrazia liberale fiorisce per noi un’epoca autoritaria
Da oltre vent’anni negli Stati occidentali l’ineguaglianza sociale, nonostante libere elezioni, aumenta sempre più adesso esperimentiamo una vera rivoluzione. Chi vi si dedica aspetta risposte, che non ha trovato nei liberali e della quali non crede capace la sinistra. Non ci si dovrebbe aspettare alcuna assunzione di responsabilità da chi è privo di potere se chi il potere ce l’ha si comporta irresponsabilmente. Dopo il fallimento della democrazia liberale fiorisce per noi un’epoca autoritaria. Trump, Putin, Erdogan, Netanyahu, presto Le Pen – tutti costoro si intenderanno bene fra loro.
Ma anch’essi non sono proprio dalla parte dei dipendenti. Bensì dalla parte di quelli che concedono loro il potere. Donald Trump aveva a Wall Street meno sostenitori di Hillary Clinton. Ma oserà mettersi contro all’establishment americano della finanza?
Niente di ciò che finora si sa di quest’uomo permette una simile speranza. Fra i suoi sostenitori non c’erano i superricchi Fratelli Koch. Ma invece il superricco Sheldon Adelson.
Trump ha annunciato che sotto la sua presidenza gli USA si terranno fuori dalle risse del mondo. Questo sarebbe almeno un progresso. Il mondo non è diventato un posto migliore in seguito agli interventi dei suoi predecessori. Nel Vicino Oriente gli USA hanno scatenato un caos. Da tempo sono visibili i limiti del potere americano nei confronti della Cina. Il sarcasmo, col quale a suo tempo Obama ha definito la Russia come “potenza regionale”, potrebbe presto ricadere sugli USA. Questo Paese (USA) non potrà più garantire ordine globale, se mai ce n’è stato.
Quando la Cancelliera ha ricordato al prossimo presidente USA i valori occidentali, in verità ha posto condizioni. Secondo quello che di lui si sa, Trump non può soddisfarle. Da qui la conclusione che gli europei, di fronte alla follia americana, dovrebbero stringersi fra loro più strettamente. Ma questo è ingenuo. L’Europa si prende cura della sua stessa follia. I britannici con la loro decisione per la Brexit hanno anticipato l’elezione di Trump. La sua vittoria procurerà nuova forza ai populisti di destra dell’Austria e della Francia. La crisi del liberalismo ha in pugno l’Europa da tempo. L’Europa non ci salverà – la domanda adesso è quanta Europa potremmo salvare.
In modi che noi oggi non siamo in grado ancora di immaginarci, noi tedeschi saremo presto responsabili di noi stessi. È un paradosso: la corta epoca della globalizzazione sbocca in un ritorno al Vicino, alla Patria, alla Nazione. Che ci resta, se no?


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