domenica 3 dicembre 2017

Poche storie, all’Italia servono più migranti - Marco Sarti


No, non ci stanno invadendo: l’Italia resta una delle destinazioni meno ambite. Non ci rubano ricchezza: con la differenza tra contributi versati e percepiti si pagano le pensioni di 600mila italiani. E siccome siamo un Paese sempre più anziano, per salvare il nostro welfare ne servirebbero di più

«Sono un rifugiato, ma non l’ho scelto io. Preferirei stare nel mio Paese». Aweis è nato in Somalia, da qualche anno vive a Roma. In Africa era una giovane promessa del calcio, aveva una vita da privilegiato. «Stavo bene, con la mia famiglia e i miei amici. Giocavo a pallone ed ero proprietario di alcuni negozi di musica. Un’esistenza migliore di quella che ho oggi in Italia». Poi è dovuto fuggire. Un giorno in Somalia è arrivato Al Shabaab, un gruppo terroristico di matrice islamica. «Sono come l’Isis», racconta Aweis. «Hanno vietato il calcio e non hanno più permesso di ascoltare musica. Volevano che lavorassi con loro, ma mi sono rifiutato. E così hanno deciso di uccidermi». Una mattina un commando di una decina di persone si presenta casa sua, lo cercano. Per fortuna Aweis è fuori. Si limitano devastare il suo appartamento. «Mi madre mi ha chiamato e mi ha detto: “figlio mio, non tornare più a casa”». La lunga odissea del ragazzo inizia in questo momento. Prima si nasconde in un villaggio somalo, poi prova a rifugiarsi in Kenya. Qui rimane tre mesi, ma senza lavoro né documenti è costretto a scappare ancora. Prova in Uganda, poi in Sudan, ovunque gli stessi problemi. Alla fine, per disperazione, cerca la strada dell’Europa. La rotta verso nord lo porta in Libia, dove il suo dramma si trasforma in un incubo. «Sono quasi morto, non basterebbe un giorno per raccontare quello che ho vissuto». Dopo alcuni mesi trattenuto dai libici, il viaggio nel Mediterraneo diventa l’unica salvezza. I soldi per salire sul gommone, le incognite della traversata. «C’erano uomini, donne, anche un bambino. Eravamo tutti pronti a rischiare la vita. Non avevamo scelta: attraversando il mare in quelle condizioni sapevamo che probabilmente non ce l’avremmo fatta, ma rimanendo in Libia avevamo la certezza di morire». L’arrivo in Europa, la fuga in Olanda. Arrestato come clandestino Aweis viene riportato a Roma. «Oggi ho trovato un lavoro - racconta - dormo a casa mia, pago l’affitto. Ho degli amici, sto bene, ma vorrei riabbracciare la mia famiglia». Il giovane somalo parla piano, scandisce le parole. «Lo so che siamo ospiti nel vostro Paese - continua - A volte diamo fastidio, l'Italia ha già i suoi problemi. Ma sono qui solo perché sono obbligato, se dipendesse da me sarei già tornato in Patria».
È una storia sorprendente, lontana mille miglia da troppi stereotipi. Aweis è stato chiamato a raccontare la sua vicenda anche per questo. Un incontro organizzato a Roma da alcune associazioni per riflettere sul fenomeno migratorio da una diversa prospettiva. C’è la fondazione Italianieuropei e l’associazione romana di studi e solidarietà. Si ragiona sui problemi, ma anche sui vantaggi economici e sociali portati all’Italia dai migranti. La serata ha un titolo paradossale: “E se davvero tornassero tutti a casa loro?”. «È una provocazione ed è un bene che rimanga tale» sorride Padre Giovanni La Manna, alla guida dell’associazione Elpis e già presidente del centro Astalli. «Sulle migrazioni vale la pena riflettere, conoscere a fondo di cosa si sta parlando». La percezione degli italiani è spesso sbagliata, quasi sempre c’è poca consapevolezza dell’argomento. La realtà rischia di essere molto diversa da come viene rappresentata. «Forse perché in Italia si parla tanto dei migranti - spiega Leonardo Becchetti, docente di Economia politica all'università di Roma Tor Vergata - ma non parlano mai i migranti». Questioni economiche e sociali lasciano spazio a una verità sorprendente: «In Italia avremmo bisogno di molti più migranti di quelli che già ci sono». L’immagine distorta del fenomeno viene corretta da alcuni dati. Gli immigrati ci tolgono ricchezza? Non è proprio così. Anche perché con i 5 miliardi di differenza tra i contributi versati e percepiti dai migranti regolari, l’Inps paga le pensioni di 600mila italiani. E allora perché vengono tutti nel nostro Paese? Ecco un’altra inesattezza. Il fenomeno migratorio è molto ridotto rispetto alla percezione che abbiamo. Secondo l’Unhcr, dal 2008 al 2015 sono arrivati in Europa, via mare, 875mila migranti. Sono lo 0,17 per cento della popolazione europea. Senza considerare, racconta Becchetti, che l’Italia è una delle ultime mete scelte da chi scappa. Per i profughi siriani, ad esempio, rappresenta solo la quindicesima destinazione. Nessuna invasione, insomma. Del resto tra i dieci paesi con più profughi, l’unica realtà europea è Malta. Ai primi posti ci sono Libano, Giordania e diversi paesi africani.
Soprattutto, non c’è alcuna catastrofe demografica in vista. Il nostro è un Paese in declino. Nel 2015 il saldo negativo tra nati e morti ha portato alla scomparsa di 140mila italiani. Eppure questo dato non è stato neppure lontanamente riequilibrato dall’arrivo di immigrati (nonostante il 2015 sia stato uno degli anni in cui si sono registrati più sbarchi sulle nostre coste). Il professor Alessandro Rosina è docente di Demografia all’Università Cattolica di Milano. Dati alla mano, anche lui inquadra alcune verità poco conosciute sulle migrazioni. Anzitutto è necessario avere un’idea globale del fenomeno. Negli ultimi anni il trend sta rallentando, eppure la popolazione mondiale continua a crescere. Su questo pianeta non siamo mai stati così numerosi. Eravamo 1,6 miliardi di persone all’inizio del secolo scorso, agli inizi del 2000 siamo arrivati a 6,1 miliardi. A metà del nostro secolo arriveremo a 9,5 miliardi. Intanto la popolazione invecchia. Nel mondo non ci sono mai stati così tanti anziani. Né si è mai registrato un numero così alto di stranieri: ormai 250 milioni di persone vivono in un’area diversa dal proprio paese d’origine. Eppure, ecco la sorpresa, non è l’Africa il continente con maggiore mobilità internazionale, ma l’Asia. Del resto i flussi migratori, contrariamente a quanto si crede, nella maggior parte dei casi non partono dai paesi più poveri, ma da quelli con un certo grado di sviluppo economico e sociale. Senza considerare che spesso si consumano all’interno degli stessi territori.
All'interno del quadro globale di trasformazioni c’è l’Italia. Uno dei paesi più anziani del mondo, dove la denatalità sta raggiungendo livelli sempre più preoccupanti. «Siamo in una fase di riduzione demografica - spiega Rosina - Un declino, nonostante l’afflusso dell’immigrazione». Le prospettive a breve termine sono inquietanti. Mentre continua ad aumentare la popolazione anziana inattiva, da qui al 2031 perderemo 1,4 milioni di giovani under35. Ma anche 4,2 milioni di persone tra i 25 e i 54 anni. Forza lavoro che scompare, rendendo sempre più insostenibile il nostro welfare: dalle pensioni alla sanità pubblica. «Ormai - insiste Rosina - siamo davanti a squilibri demografici che faremo fatica a gestire e metteranno in crisi la capacità di crescere del nostro Paese». E allora, che fare? Ancora una volta diventa necessario affrontare il fenomeno con realismo. Chiudere le frontiere non è una soluzione praticabile, porterebbe a un sicuro declino economico e demografico. Ma anche accogliere tutti i migranti che chiedono di entrare in Italia è impossibile. Le disuguaglianze e le tensioni sociali derivate sarebbero insostenibili, portando a un’uguale situazione di declino. Ecco allora una terza strada. «Capire e gestire il fenomeno» spiega Rosina. L’accoglienza è necessaria, ma deve avere un limite nella capacità di integrazione. «Se vogliamo continuare a crescere, l’unica soluzione è questa».

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