sabato 19 giugno 2021

pare che al peggio non ci sia limite

 

Una dichiarazione di guerra - Marco Bersani

Mentre si aspetta l’arrivo, il prossimo 22 giugno, della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che dovrà benedire il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentato dal governo italiano, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha attivato una nuova struttura “tecnica” per la gestione dei fondi che dovranno arrivare.

Si chiamerà “Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica” e, per i cultori della leggenda di un Draghi neo-keynesiano, ansioso di riscoprire gli insegnamenti adolescenziali del compianto Federico Caffé, l’impatto non sarà senza conseguenze.

I “fab five” che parteciperanno alla struttura sono Carlo Cambini, Francesco Filippucci, Marco Percoco, Riccardo Puglisi e Carlo Stagnaro, economisti della più stretta cerchia liberista, per i quali varrebbe da subito la domanda: “Perché assegnare la valutazione sugli investimenti pubblici a persone che pensano che lo Stato non dovrebbe esercitare alcun ruolo nell’economia, se non quello di facilitarne l’apertura ai mercati?”

Fra questi – tutti maschi, of course– la figura su cui vorremmo concentrarci è quella di Carlo Stagnaro, fondatore e ora direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni.

Cosa sia questo istituto lo dice chiaramente la sotto-denominazione dello stesso “Idee per il libero mercato” e la definizione della mission: “dare il contributo alla cultura politica italiana, affinché siano meglio compresi il ruolo della libertà e dell’iniziativa privata, fondamentali per una società davvero prospera e aperta”.

Se qualcuno vuole meglio comprendere di che si tratta, proviamo a spaziare fra alcune delle loro analisi.

Ecco per esempio, come sintetizzano la straordinaria vittoria referendaria sull’acqua: “(..) In questi dieci anni non c’è stato spazio per una operazione verità sul reale contenuto dei quesiti e sull’ingannevolezza della retorica che li ha circondati e animati e che fatto letteralmente deragliare il dibattito pubblico. Sarebbe sbagliato dire che il populismo è nato in quelle giornate di giugno, ma i referendum sull’acqua ne hanno rappresentato una poderosa prova di forza”[1].

Dall’acqua alla crisi climatica, ed ecco l’Istituto Bruno Leoni dileggiare  a più riprese Greta Thunberg e i movimenti ecologisti come Fridays For Future (“priva di ogni modestia intellettuale, la liceale Thunberg ha già deciso che esiste un riscaldamento globale di origine antropica”[2]);  ospitare e sostenere analisi di negazionisti climatici (”Le basi scientifiche del global warming sono ancora controverse e gli effetti dell’attività umana sul clima sono motivo di accesi dibattiti. L’organismo preposto a informare e consigliare i governi sulle politiche climatiche (l’IPCC) si è dimostrato parziale e tendenzioso“[3]); fino ad aderire alla Cooler Heads Coalition[4], una coalizione conservatrice internazionale, dedita esclusivamente ad affermare il negazionismo climatico.

E che dire di un ricco pamphlet pubblicato dallo stesso Carlo Stagnaro nel 2003 intitolato “Una società armata è una società libera”[5] sul diritto di possedere armi (naturalmente contro il monopolio dello Stato), con tanto di citazione di Adolf Hitler in apertura?

Se Stagnaro è la figura più impresentabile, anche il quartetto degli altri nominati condivide l’impostazione di fondo, che, di fatto, rappresenta la cifra culturale dello stesso Draghi: il mercato è il fulcro della società, sono i profitti delle imprese a determinare il benessere sociale, è il privato a garantire efficienza e solidità.

Con questo team di economisti, Draghi si prefigge l’obiettivo di chiudere definitivamente tutte le faglie aperte dalla pandemia nella narrazione liberista e di dare il via ad una nuova stagione di espropriazione sociale guidata dai grandi capitali della finanza, dell’impresa e della rendita.

E’ una dichiarazione di guerra a tutte e tutti coloro che in questo anno e mezzo hanno detto chiaramente come la pandemia non fosse un’incidente di percorso, bensì un eccezionale evidenziatore di tutte le insuperabili contraddizioni del modello capitalistico e come fosse necessario mettere in campo la sfida per un’alternativa di società, che opponesse il “noi” all’”io”, la cura alla competizione, l’interdipendenza alla predazione, l’uguaglianza al dominio.

Forse è giunto il momento di dire a chiare lettere tanto al Governo, quanto ad un Parlamento unanimemente allineato, che non siamo stati chiusi un anno e mezzo per farci riportare a una normalità che abbiamo da subito considerato il problema e non la soluzione.

[1] https://www.brunoleoni.it/dieci-anni-referendum-acqua-populismo

[2] https://www.brunoleoni.it/ragazzi-per-salvare-il-clima-non-scioperate-ma-studiate

[3] https://www.brunoleoni.it/report-civil-society-report-on-climate-change

[4] http://www.globalwarming.org/2004/06/08/fraser-institute-and-istituto-bruno-leoni-join-cooler-heads-coalition/

[5] https://www2.units.it/etica/2003_2/stagnaro.pdf

da qui




Il grande bluff del G7 - Nicoletta Dentico


I leader del G7 si sono riuniti a Carbis Bay per la prima volta dall’inizio della pandemia, a celebrare il ritorno degli USA nell’arena globale, e forse anche la possibilità di un ritorno alla vita negoziale di prima, nella gestione di differenti punti di vista e dissapori in presenza.

Si sono ritrovati “uniti e determinati a proteggere e promuovere i nostri valori”, ha detto Ursula Von der Leyen il primo giorno del summit, e con l’obiettivo annunciato dal primo ministro britannico Boris Johnson di “vincere la pandemia, ridurre al minimo il rischio di nuovi rigurgiti del contagio, e ricostruire società migliori”, dalle macerie di questa tragedia.

L’impegno di donare un miliardo di vaccini ai Paesi poveri e ai più vulnerabili entro la fine del 2022 ha segnato enfaticamente l’avvio del summit, in discontinuità con il nazionalismo sanitario in cui si sono pervicacemente esercitati i governi del G7, USA e Gran Bretagna in testa.

Questa porzione così esclusiva della comunità internazionale detiene un immenso surplus di vaccini. prima dell’arrivo in Europa per la sua prima visita da presidente degli Stati Uniti, Jo Biden aveva  annunciato la decisione della sua amministrazione di donare 500 milioni di dosi “per salvare vite e porre termine alla pandemia”, la singola più grande donazione della storia,  aveva recitato la nota della Casa Bianca, un po’ per puntiglio contro la politica di donazioni di vaccini della Commissione Europea, forse per evidenziare la volontà di emanciparsi dalla sindrome America First, nella quale Biden ha finora seguito le orme del suo predecessore.

Nella ritrovata unità di intenti, cadono dunque dalla ricca tavola della compagine atlantica le briciole vaccinali per i poveri Paesi, perché “quando vediamo la gente ferita e sofferente in ogni parte del mondo, noi facciamo di tutto per aiutarla”, ha detto Biden alla vigilia del G7. Ma sono davvero convinti che una pandemia come Covid-19 possa essere gestita con il solito vecchio paternalismo verso il sud del Pianeta? 

Perché, appunto, di briciole si tratta. Di un paradigma gerarchico tra chi ha e chi non ha, che si intende confermare. A conclusione del vertice del G7, le nuove dosi reali di vaccini destinate  alle donazioni si contano in ragione di 613 milioni. Il miliardo annunciato comprende infatti anche vecchi impegni di febbraio di singoli Paesi verso l’ iniziativa internazionale votata alla distribuzione   dei vaccini nei paesi a basso reddito, Covax.

Dal canto suo Angela Merkel, per chiudere in bellezza, ha dichiarato che il G7 alla fine distribuirà 2,3 miliardi di vaccini ai Paesi in via di sviluppo entro la fine del prossimo anno.

Insomma, il G7 dà i numeri. E la dichiarazione finale sigilla un generico impegno: “riconoscendo che per la fine della pandemia si richiederà la vaccinazione di almeno il 60% della popolazione, intensificheremo la nostra azione per salvare le vite”.

È molto dura Oxfam nel denunciare un summit “che vivrà della sua infamia”, ma l’esito di questa dirimente conversazione sui vaccini appare davvero molto lontana dalle necessità del Pianeta.

Servirebbero 11 miliardi di dosi entro il 2021 per vaccinare il 60% della popolazione con due dosi a testa, ma al di là della retorica nessun Paese ricco sembra veramente intenzionato a porre fine alla “storia di disuguaglianza vaccinale”, che la rivista Nature ha rappresentato nei mesi scorsi, numeri alla mano.  

Un miliardo di dosi servono a vaccinare 500 milioni di persone nel sud del mondo, e il tutto avverrà con il contagocce.

 

Biden ne donerà 200 milioni nel 2021, 300 nel 2022. Degli altri soci del G7 sappiamo poco, se non che daranno nuovi fondi a Covax. A conclusione del vertice del G7, Covax ha elogiato l’ impegno di condivisione di altre 870 milioni di dosi da parte dei leader delle economie più avanzate, al netto delle parole del direttore generale dell’ Oms, il quale ha evidenziato che il peggio di Covid deve ancora venire per molti Paesi, “e lo devono affrontare senza vaccini. Si tratta di una corsa per la vita, una corsa non equa, visto che la maggior parte dei Paesi non si è ancora staccato dalla linea di partenza”.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha ricordato qualche giorno fa che 9 su 10 nazioni africane mancheranno l’ obiettivo di immunizzare il 10% della popolazione entro settembre. Con 32 milioni di dosi somministrate, l’ Africa vale meno dell’ 1% dei 2,1 miliardi di dosi finora iniettate globalmente: solo 9,4 milioni (su 1,3 miliardi) di africani hanno completato la vaccinazione. In effetti l’ ondata virale è in decisa ripresa nel continente nero: 4 Paesi hanno registrato un incremento del 30% dei casi di Covid-19 nell’ ultima settimana, secondo il Direttore Regionale dell’ Oms, Dr Matshidiso Moeti.

La stessa complessa macchina creata per finanziare la produzione e distribuzione dei vaccini ai Paesi poveri, Covax, una vera e propria banca d’ affari secondo lo studioso Harris Gleckman, “riproduce una cultura profondamente coloniale, che non si è mai degnata di chiedere ai governi africani che cosa volessero”, ha commentato prima del G7 il Dr Ayoade Alakija, a capo di un’ iniziativa dell’ Unione Africana per la distribuzione dei vaccini.

Se lo avesse fatto, sostiene Alakija, avrebbe scoperto che anche in Africa occorre vaccinare almeno il 60% della popolazione per ottenere una qualche garanzia di immunità. Covax non prevede niente di tutto questo. Ai 92 Paesi a medio e basso reddito in cui interviene, riconosce il diritto a una copertura massima del 20%.

Ci ha tenuto a precisare Biden che i suoi vaccini saranno donati “senza condizioni”. Per esperienza, siamo poco propensi a crederlo, anche perché da quando è scoppiata la pandemia i vaccini anti-Covid sono diventati uno strumento primario di geopolitica, più che di salute pubblica.

All’ultima Assemblea mondiale della sanità non ci è sfuggita, tra le delegazioni che ringraziavano la Cina per i vaccini donati (22 milioni di dosi), la necessità di negare contestualmente a Taiwan ogni possibilità di riammissione come osservatore all’ Oms.

Per la alleanza del G7, la donazione dei vaccini è un poderoso gesto simbolico contro la crescente capacità di influenza globale della Cina, quanto basta per implicare condizionalità. Ed è un sapiente tassello della strategia negoziata negli ultimi mesi da G20, Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), Commissione Europea e Banca Mondiale, con lo zampino della filantropia strategica, per organizzare una rete di licenze volontarie e finanziare produzioni delocalizzate di vaccini, così da salvaguardare la proprietà intellettuale e allontanare lo scenario di una sua sospensione a tempo.

La Dichiarazione finale del G7 include il sostegno “all’aumento e coordinamento della capacità produttiva su scala globale, in tutti i continenti”, e alla scienza, “per accorciare il ciclo di sviluppo di vaccini, farmaci e diagnostici contro Covid da 300 a 100 giorni”. 

 

I leader del vertice non citano nemmeno per sbaglio l’ ipotesi della deroga dei diritti di proprietà intellettuale sostenuta da 118 paesi all’ Omc a Ginevra, e da un numero crescente di esperti e rappresentanti della società civile, da quando India e Sudafrica hanno formulato la proposta lo scorso ottobre. Insomma, se il vertice del G7 pende in ultima analisi dalle labbra di Jo Biden,  si ritrova unanime nella posizione di Angela Merkel e di Boris Johnson che vogliono il mantenimento dei monopoli delle aziende farmaceutiche.

Il terreno di gioco è il baratto con l’ industria farmaceutica che emerge con spiccata coerenza dalle proposte del circuito multilaterale, compresa la neonata Covid Manufacturing and Supply Chain Taskforce, frutto del vertice USA-UE che incardina nuovi impegni pubblici per incentivare il ruolo delle imprese nei trasferimenti di tecnologia, attraverso un meccanismo di licenze volontarie, in cambio della tutela dell’ esclusiva di mercato, sui vaccini contro Covid-19, già largamente finanziati dalle fiscalità nazionali.

Il panico delle aziende, dopo l’ annuncio di Biden a favore della sospensione dei brevetti, è rientrato. Gli analisti di Follow the Money raccontano come Pfizer si stia adoperando in Olanda per nascondere al fisco 36 miliardi di dollari. Il sistema dei capitali che manovrano la globalizzazione si organizza per ricostruire quello che c’ era prima.

Dev’essere ciò intende la comunità internazionale quando parla con insistenza di “building back better”. Sono le varianti del virus su cui invece insiste papa Francesco, quelle che fomentano un’ economia malata che ad esempio mette le leggi del mercato al di sopra delle leggi dell’ amore e della salute dell’ umanità.

Il vero virus non è SARS-CoV-2, ma quello dell’ individualismo, dice sempre il Papa, “che non ci rende più liberi né più uguali, né più fratelli, piuttosto ci trasforma in persone indifferenti alla sofferenza degli altri”.

Al netto della retorica, questo è successo in Cornovaglia nel summit delle economie più potenti del pianeta. No, non abbiamo ancora capito le lezioni di Covid-19.

Articolo pubblicato su Famigliacristiana.it

da qui


2 commenti: