giovedì 2 maggio 2024

Biden svela chi sono gli assassini e i mandanti dell'omicidio di JFK


Il titolo è naturalmente una bugia, Maria Zacharova ne scriveva qui, per Navalny è successo lo stesso, dopo 10 secondi dalla notizia della sua morte gli statisti (?) occidentali e i loro giornali servi scrivevano che Putin aveva fatto ammazzare Navalny.

dopo qualche mese arriva la verità del Wall Street Journal, non pervenuta nei nostri giornali.




il conto alla rovescia per i bugiardi (propagandisti prezzolati travestiti da giornalisti), da noi, non è mai iniziato davvero, purtroppo – Francesco Masala

 

 

Intelligence Usa: Putin non ha ordinato la morte di Navalny

(Piccole Note)

La comunità dell’intelligence degli Stati Uniti ha escluso che Putin abbia ordinato di uccidere Navalny, anche se la formula che usa il Wall Street Journal nel rivelare tale conclusione resta aleatoria, riferendo cioè che è “improbabile” un ordine di Putin in tal senso et similia, per evitare di disturbare eccessivamente la narrativa di guerra…

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Navalny: ma vuoi vedere che non è stato Putin? – Daniela Ranieri

La galleria di panzane diffuse dai media occidentali mainstream sulla guerra della Russia all’Ucraina (e della Nato alla Russia per mezzo dell’Ucraina) si arricchisce di un nuovo pregiato pezzo: secondo il Wall Street Journal, che cita fonti dell’intelligence americana, molto probabilmente Putin non ha ordinato direttamente la morte di Alexei Navalny.
Strano: i nostri investigatori pubblici – analisti, politici, giornalistucoli al servizio di Washington – avevano risolto il caso già 20 secondi dopo la notizia della morte del blogger dissidente nella colonia penale nell’Artico russo dove Putin l’aveva rinchiuso, stabilendo che il mandante (se non l’esecutore) dell’omicidio fosse proprio il presidente russo. Ciò perché 12 secondi dopo, il capo del mondo libero, Biden, aveva dato il “la” ai coristi: “Il responsabile è Putin”, motivo per cui “dobbiamo continuare a finanziare l’Ucraina”. Si accodava Borrell, capo della diplomazia europea: “È responsabilità esclusiva di Putin”, mentre Zelensky orchestrava un crescendo: “Navalny è stato ucciso”, “Putin dovrà rispondere dei suoi crimini”, “Putin uccide sempre”, come Terminator. La versione ufficiale dell’Europa-bene ricalcava pari pari quella della moglie “guerriera” (Repubblica) di Navalny, incidentalmente a Bruxelles a poche ore dal fatto, in un video editato con straordinaria raffinatezza e pubblicato integralmente a siti, tg e rotative unificati: “Dovrebbe esserci un’altra persona al mio posto, ma quest’uomo è stato ucciso da Putin. Putin ha ucciso più dell’uomo Navalny… voleva uccidere le nostre speranze, la nostra libertà, il nostro futuro. Sappiamo esattamente perché Putin ha ucciso Alexei. Ne parleremo presto”.
Intanto i nostri si portavano avanti. Nessun dubbio che “Putin killer” (Giornale) avesse ucciso “l’oppositore guerriero più forte del veleno” (Stampa), con condanna del “partito trasversale che assolve Putin” (Corriere). La Stampa riconosceva i chiari “sintomi dell’avvelenamento da Novichoc”. Molto suggestiva anche la pista della “tecnica segreta del Kgb del pugno sul cuore”. Del resto, il piano sequenza delle bugie della Nato mediatica è eloquente: missile ucraino caduto in Polonia fatto passare per russo per volontà di Zelensky; russi che fanno esplodere un proprio gasdotto per accusare gli ucraini (New York Times e Die Zeit rivelarono invece che Nord Stream 2 saltò per azione di sabotatori ucraini); i russi che da 24 mesi controllano la centrale di Zhaporizhzhia e si bombardano da soli; Putin dietro l’attacco del 7 ottobre in Israele (alcuni terroristi parlavano russo, come assicurato da Bernard-Henri Lévy); esplosione di droni sul Cremlino come risultato di un attacco russo fallito, che però il New York Times ha rivelato essere un attacco “orchestrato da una delle unità speciali militari o di intelligence dell’Ucraina, l’ultima di una serie di azioni segrete contro obiettivi russi” (come l’assassinio della figlia del filosofo putiniano Dugin, da molti attribuito sulle prime a Putin), etc. I nostri filo-atlantisti si sono buttati con voluttà sul povero Navalny. Quando gli ricapitava il cadavere di un “combattente per la libertà” (Michel, presidente del Consiglio europeo), un “lottatore per la democrazia” (Metsola, presidente del Parlamento europeo), un “coraggioso lottatore per la libertà” (Gentiloni, commissario agli Affari economici) da ostentare agli occhi del mondo quale prova della brutalità e insieme della debolezza di Putin?
Vietato paragonare Navalny, rinchiuso in un gulag in Siberia da Putin, ad Assange, rinchiuso a Londra per conto degli Usa per aver rivelato al mondo i crimini di guerra degli americani; c’è una bella differenza se a torturarti è una democrazia o una dittatura: nel primo caso soggiorni a temperatura continentale e devi rallegrarti della superiore civiltà di chi ti reclude. E il fatto che Navalny sia morto mentre Assange è biologicamente vivo non è forse la prova che gli occidentali sono più buoni di Putin? Guai anche a dire che Navalny militò in un movimento, La marcia russa, razzista e filo-nazista, perché nelle testoline di certuni ciò (scrivere la verità) equivaleva a fare un favore a Putin ed essere pagati in rubli. Ormai ci siamo abituati (Travaglio, siccome disse che Putin era certamente il responsabile morale ma non necessariamente il responsabile materiale della morte di Navalny, era chiaramente putiniano, se mai servissero altre prove), poi arriva qualche inchiesta di giornali veri cioè non corrotti, peraltro americani (ciò che manda i propalatori di bufale in cortocircuito) che confuta le balle, e i mistificatori fischiettano, si riposizionano e con nonchalance danno per assodata la nuova (e vera) versione dei fatti. Non contemplano la possibilità che, se Putin è un autocrate criminale, loro sono comunque bugiardi, propagandisti o professionisti farlocchi.
(Tocco d’artista: Putin non sarà responsabile della morte di Navalny, ma lo è dell’astensionismo degli elettori italiani alle Europee).

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La morte di Navalny

Il decesso di Navalny nel carcere siberiano arriva a pochi giorni dall’intervista di Putin a Tucker Carlson, oscurandola. Nuovo ossigeno per la propaganda anti-russa e per la guerra ucraina

La morte di Alexei Navalny ha fatto il giro del mondo. Incarcerato dopo il suo ritorno in Russia a seguito di un asserito avvelenamento per il quale era stato trasferito in Germania (con il consenso di Mosca), è morto oggi in un carcere siberiano.

La morte di Navalny, l’intervista di Putin e la guerra ucraina

La sua morte giunge come una manna per la propaganda anti-russa che negli ultimi tempi stava arrancando. L’intervista di Tucker Carlson a Putin, “probabilmente l’evento di informazione più visto della storia”, come scriveva Ron Paul, aveva rilanciato l’immagine dello zar nel mondo.

 

La morte di Navalny avrà l’effetto di oscurare quell’intervista, se non di sommergerla con effetto tombale. E chiunque si azzarderà a parlarne in termini elogiativi o a rilanciarla sarà bollato come lacché del dittatore che ha fatto morire un dissidente in un gulag (sempre che vada bene).

Il decesso non avrà solo conseguenze sulla propaganda, ma anche pratico. I sostenitori della guerra infinita ucraina non riescono a vincere le resistenze dei repubblicani della Camera degli Stati Uniti, ostinati nel loro rifiuto di votare nuovi finanziamenti per Kiev.

Un nuovo pacchetto di aiuti – collegato ad altri diretti a Israele e Taiwan – è ora all’esame della Camera. La morte di Navalny sarà usata come una clava contro i repubblicani contrari, i quali verranno bollati come quinta colonna del dittatore russo. Se cederanno, la guerra, al momento destinata, in prospettiva, a chiudersi per mancanza di fondi, verrà rilanciata. E la morte di un uomo sarà foriera di morte per tanti altri (da considerare peraltro che, finché non si chiude, il rischio di un ampliamento del conflitto resta).

Inoltre, il decesso del detenuto coprirà la ritirata ucraina da Adviika, prossima a cadere. Più che della disfatta della folle strategia ucraino-Nato, si parlerà della triste sconfitta inflitta alle valorose forze ucraine (inutile dire che sono state mandate al macello…). E sarà brandita per denunciare con maggior veemenza l’allarme per la minaccia russa, che attenterebbe alla fulgida libertà dell’Europa e del mondi intero. Ancora più armi a Kiev..

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Navalny, il martire del maccartismo


Gonzalo Lira, i morti di serie B. Navalny da vivo non costituiva alcuna minaccia per Putin da morto sì.

Nello stesso giorno in cui è giunta la notizia della morte di Alexei Navalny l’Ucraina ha annunciato il ritiro da Adviika. La cattura della città da parte dei russi sarebbe suonata come campana a morto per la guerra ucraina, la morte di Navalny non solo ha coperto la notizia, ma rilancia la campagna maccartista contro la Russia.

Conquista più che simbolica quella di Adviika, perché qui si era recato Zelensky a fine dicembre per rilanciare la sfida a Mosca, dichiarando con fierezza che Kiev non si sarebbe mai arresa. Già allora era chiaro che la città era persa, ma il presidente ucraino ha voluto difenderla a tutti i costi (come per Bakhmut), mandando al macello i suoi soldati, caduti come mosche sotto il fuoco nemico per un altro mese e mezzo, per arrivare, infine, a ripiegare come aveva suggerito da tempo il capo delle forze armate, generale  Valery Zaluznhy, nel frattempo silurato.

Tale la dinamica della guerra alla Russia fino all’ultimo ucraino. La morte di Navalny, dunque, ha coperto tutto, anzi rilanciato. Infatti, Zelensky non ha mancato di far sentire la sua voce contro il “dittatore” russo: “Navalny è morto in una prigione russa. Ovviamente è stato ucciso da Putin”.

Navalny e Gonzalo Lira. Morti di serie A e di serie B

Peccato che solo un mese fa, il 12 gennaio, nelle carceri ucraine moriva di stenti il giornalista americano Gonzalo Lira, arrestato per aver firmato servizi nei quali denunciava le devianze del regime di Kiev. Una morte annunciata, che ha avuto la connivenza degli Stati Uniti (Victoria Nuland “lo odiava a morte“, confidò).

Nel briefing del 6 giugno scorso, il portavoce del Dipartimento di Stato Vedant Pattel. Interpellato sul perché il suo ufficio tacesse sull’arresto di Lira, rispondeva che il Dipartimento di Stato, quando un cittadino americano viene arrestato all’estero, si assicura che sia trattato bene e di “non avere altro da aggiungere”. Alle insistenze del suo interlocutore, rispondeva secco: “Andiamo avanti”. Alcuni mesi dopo, la morte di Lira. Insomma, prima di guardare la pagliuzza nell’occhio altrui…

Quanto a Navalny, la tempistica del decesso non poteva essere più favorevole a Kiev e ai suoi sostenitori. Non solo per Adviika, ma anche per quanto riguarda gli aiuti statunitensi all’Ucraina, bloccati alla Camera dai repubblicani. Così Biden: “‘Spero in Dio che ciò aiuti’ a spingere i legislatori statunitensi a inviare nuovi aiuti all’Ucraina”. Inoltre, ha chiuso la parentesi aperta dall’intervista di Tucker Carlson a Putin, con il cronista che, dopo aver realizzato “il servizio più visto della storia” (così Ron Paul), ieri si è dovuto scagliare contro Putin. Tutte cose che avevamo pronosticato nella nota di ieri: nessuna preveggenza, meccanismi banali.

Di interesse notare che ieri sera la moglie di Navalny è intervenuta alla Conferenza per la sicurezza di Monaco, indetta per rivitalizzare la campagna di aiuti per Kiev. Tempistica perfetta…

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