sabato 25 maggio 2024

Un gigantesco hotspot chiamato Tunisia - Fulvio Vassallo Paleologo

 

 

Nelle ultime settimane si sono moltiplicati in Tunisia gli arresti arbitrari di persone della società civile, giornalisti, avvocati: la repressione è la risposta alla forte opposizione contro le leggi liberticide e i proclami di odio razziale lanciati del presidente Kais Saied. La deriva sempre più autoritaria e violenta della Tunisia non è più di tanto un problema per Ue e Italia che considerano quello di Tunisi uno dei regimi amici con i quali promuovere politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera. Intanto, ignorate dai media internazionali, le brutali aggressioni contro i migranti che tentano di mettersi in mare e le omissione di soccorso fanno crescere il numero delle vittime. In questo articolo Fulvio Vassallo Paleologo, spiega perché se gli accordi con l’Ue e l’Italia continueranno ad avere attuazione, senza l’apertura di canali legali di ingresso e senza l’evacuazione dei potenziali richiedenti asilo, la Tunisia rischia di trasformarsi in un gigantesco hotspot mediterraneo. Una situazione sempre più esplosiva che i governi europei cercano di nascondere

 

 

Dopo i fallimenti a catena del governo Meloni sui principali dossier riguardanti la migrazione e l’asilo, con il rinvio a tempo indeterminato dell’attuazione del Protocollo Italia-Albania, il blocco delle procedure accelerate in frontiera tuttora all’esame della Cassazione e della Corte di Giustizia UE, il mancato avvio delle procedure per gli ingressi legali in Italia per lavoro, la implosione dei centri di detenzione (CPR) e delle procedure di espulsione, per una campagna elettorale ancora basata su discorsi d’odio e provvedimenti in forma di decreti legge che stravolgono i principi costituzionali, i risultati vantati nella collaborazione con la Tunisia, rimangono l’unico punto che trova ancora spazio nella propaganda governativa diffusa sui principali media. Tutti gli altri argomenti, che potrebbero fare perdere consensi, vanno nascosti. Si utilizzano così i numeri, che segnalano un forte calo delle traversate del Mediterraneo centrale, in particolare dalle coste tunisine, e si nascondono le conseguenze devastanti che la collaborazione con l’autocrate Saied a Tunisi stanno producendo sulle persone, anche più vulnerabili, come donne e minori. Resta invece alto il costo in vite umane per i tentativi di fuga via mare, contrastati con crescente brutalità, se non con atti di abbandono e di omissione di soccorso, senza alcuna attenzione per la salvaguardia della vita umana e del diritto al salvataggio e allo sbarco in un porto sicuro.

Neppure il nuovo Patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, che pure ha visto sconfitta l’Italia sulla richiesta di una modifica delle regole sulla responsabilità dei paesi di primo ingresso (Regolamento Dublino per l’esame delle richieste di asilo), ha previsto espressamente missioni di ricerca e salvataggio in acque internazionali, oltre le attività di contrasto dell’immigrazione irregolare affidate all’agenzia Frontex in collaborazione con le forze di polizia dei paesi UE ed extra UE. Anche su questo versante, dopo gli accordi con le autorità europee e italiane, la Tunisia di Saied ha approvato una nuova legge che mira ad aumentare le intercettazioni in alto mare, e la collaborazione (coordinamento) con le forze di polizia marittima dei paesi europei più vicini, dunque Italia e Malta.

La quotidiana reiterazione di crimini contro l’umanità in conflitti che sono al centro dell’attenzione mediatica e politica in tutto il mondo, come la pulizia etnica in corso in Palestina, e lo stallo nel conflitto tra Russia e Ucraina, sulla pelle delle popolazioni civili, spostano l’attenzione dell’opinione pubblica sul versante orientale e sulle esigenze di “protezione dei confini esterni” terrestri dell’Unione europea, contribuendo a creare una diffusa assuefazione nel senso comune della popolazione. In modo da consentire ai governi impegnati nella campagna per le prossime elezioni europee di nascondere gli abusi e le violenze perpetrate dai regimi ”amici” nei paesi africani verso i quali si sono rivolte le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera, con una fitta rete di Memorandum d’intesa e di accordi bilaterali.

Quelle deportazioni verso i paesi di origine

Il caso della Tunisia è emblematico delle conseguenze negative di queste politiche che il governo Meloni ha promosso e perseguito fin dal suo insediamento, con una intensa attività diplomatica, culminata, all’interno del cosiddetto Piano Mattei per l’Africa, in una raffica di accordi di settore, con i quali si sta cercando di saldare il contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement), da tradursi nel blocco dei potenziali richiedenti asilo, con aiuti economici anche per deportazioni a catena verso i paesi di origine, magari sotto forma di rimpatri volontari, ma anche con progettazioni comuni in campo energetico e ambientale, in modo da contrastare la crescente presenza russa che dal Sahel si sta estendendo alla Libia ed alla Tunisia.

 

Quanto sta succedendo in queste ultime settimane in Tunisia, con gli arresti arbitrari di attivisti, giornalisti e avvocati, appare direttamente collegato alla forte opposizione che la società civile tunisina ha esercitato dopo le leggi liberticide e i proclami di odio razziale lanciati da Saied, al punto di paventare il rischio di una “sostituzione etnica”, utilizzato contro i migranti presenti in Tunisia per aizzare il suo elettorato. Intanto, persone in prevalenza di origine subsahariana, inclusi nuclei familiari ormai residenti da tempo in quel paese, sono rimasti intrappolati senza uno status legale di soggiorno, e hanno subito retate di polizia, per effetto degli accordi con l’Italia e con l’Unione europea (oltre che per la mancata attuazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e il mancato rispetto degli obblighi di ricerca e soccorso in acque internazionali, sanciti a carico delle autorità italiane e maltesi che rimbalzano sui guardia-coste tunisini e libici le richieste di aiuto che ricevono).

Rispetto all’Egitto, con il quale pure il governo Meloni ha concluso nuovi accordi di polizia, mentre Al Sisi continua a dare copertura agli assassini di Giulio Regeni, malgrado la pratica della tortura dei detenuti rimanga impunita, in Tunisia, dopo la fase delle cosiddette primavere arabe si era verificata una forte crescita civile, con un ruolo importante delle donne. Di fronte all’attacco generalizzato alle comunità dei migranti presenti nel paese erano scattate molteplici forme di solidarietà, a partire della difesa legale, con una incisiva partecipazione di organi di informazione che cercavano di sottrarsi alla narrazione imposta dal regime, ormai diventato una” dittatura democratica”, con gli arresti dei principali esponenti dell’opposizione e l’esautoramento del Parlamento. Contro questo risveglio democratico della società civile tunisina, che si schiera a difesa dei migranti perseguiti dal regime, si scaglia oggi la polizia e la magistratura dell’autocrate Saied, con il supporto di Giorgia Meloni e del suo governo.

Nascondere le conseguenze della collaborazione con Tunisi

Malgrado questa situazione nota da tempo, l’Ue l’Italia hanno portato avanti la collaborazione con il governo di Tunisi, e adesso tentano di nascondere gli effetti perversi che ne sono derivaticon una crescente pressione su giornalisti e avvocati, e con una feroce spaccatura tra la popolazione, che in parte manifesta anche a favore di Saied, preoccupata dell’aumento incontrollato della presenza di immigrati non regolari che neppure possono passare (o ritornare) in Libia per la chiusura dei valichi di frontiera, in particolare di Ras Jedir, ormai in mano alle milizie locali e ai contrabbandieri.

Le continue deportazioni di persone migranti verso i confini desertici con la Libia e l’Algeria trovano così un parziale consenso anche tra la popolazione tunisina, stremata dalla crisi economica, mentre si aggravano le forme più diverse di sfruttamento di migranti in Tunisia che da paese di transito o di origine, sembra diventata un paese di destinazione e di blocco. Se gli accordi con l’Ue e l’Italia continueranno ad avere attuazione, senza l’apertura di canali legali di ingresso e senza l’evacuazione dei potenziali richiedenti asilo, la Tunisia rischia di trasformarsi in un gigantesco Hotspot mediterraneo. E questo non potrà che aggravare anche la condizione dei giovani tunisini, che sempre più spesso sono costretti a migrare per la mancanza di prospettive di vita nel loro paese. Chi oggi in Italia si compiace per il calo degli “sbarchi”, tra qualche mese potrebbe essere costretto a rivedere le sue stime.

È questa la realtà della Tunisia che si cela dietro gli arresti di attivisti, giornalisti e avvocati rispetto ai quali l’Ue non è andata oltre una timida “preoccupazione”, e che in Italia sono completamente ignorati dal governo e dai grandi media. Si nasconde persino che avvocati possano finire sotto tortura per avere difeso i diritti umani della popolazione migrante, perché di questo si tratta, e non di discredito diffuso contro agenti governativi, o che altri vengano sottoposti ad arresti arbitrari per avere espresso sui social una qualsiasi opinione critica verso Saied. Di certo la Tunisia non si può qualificare come paese terzo sicuro, e neppure come “paese di origine sicuro” nella diversa accezione che vale per i tunisini arrivati in Italia, che si cerca di rimpatriare anche se sono richiedenti protezione internazionale.

L’involuzione autoritaria imposta da Saied è purtroppo sostenuta da alcuni governi europei, e in particolare dal governo Meloni che, con numerose visite a Tunisi, ha dato un grande impulso al Memorandum d’intesa UE-Tunisia. Un “Piano d’azione” ottenuto da Statewatch delinea gli obiettivi e le attività della cooperazione dell’Ue sulla migrazione con la Tunisia, il cui governo è stato pesantemente criticato dal Parlamento europeo per “un’inversione autoritaria e un allarmante arretramento sulla democrazia, i diritti umani e la democrazia (rule of law).”

A differenza di quanto si sta verificando in quel paese, dove la magistratura obbedisce alle direttive dell’autocrate Saied, applicando il famigerato decreto n.54/2022 contro la criminalità informatica, per mettere a tacere difensori dei diritti umani e oppositori politici, in Italia la magistratura dà ancora segnali di indipendenza e riconosce come la Tunisia non sia un paese sicuro, né per i migranti in transito, né per gli stessi cittadini tunisini. Ma anche in Italia i giudici sono sotto attacco quando decidono in senso difforme dalla linea che vorrebbe imporre il governo con i suoi decreti legge incostituzionali. Adesso a Roma la battaglia si potrebbe spostare sul controllo dei vertici della magistratura e sulla nomina dei nuovi giudici costituzionali. Per questa ragione quanto sta accadendo in Tunisia riguarda tutti noi perché dimostra le conseguenze di un totale controllo governativo sugli organi della giurisdizione, e anche perché, malgrado questa involuzione autoritaria abbia prodotto un temporaneo calo degli arrivi, presto potrebbe esserci una inversione di tendenza, se non un aumento esponenziale, per una vera e propria implosione della democrazia autoritaria riconosciuta con tanti elogi a Saied da paesi come l’Italia. Paesi che in questo modo, non solo stanno tradendo la loro tradizione democratica, come in tanti altri campi, ma che con le loro politiche di esternalizzazione potrebbero determinare una grave destabilizzazione del Mediterraneo, quando anche in Tunisia, come si è già verificato in Libia, il governo “amico”, alleato per le politiche di blocco dei migranti, in cambio di una manciata di aiuti economici, si ritroverà nella incapacità di governare la crisi interna, e anche regionale, non solo migratoria, ma su scala più ampia, di portata economica e militare. Dallo scontro sociale interno innescato da Saied contro i migranti si potrebbe passare a un conflitto interno. Perché la guerra rimane sempre conseguenza inevitabile dei regimi che cancellano la democrazia e i diritti umani e per questa ragione le migrazioni attraverso il Mediterraneo non potranno che aumentare ancora in futuro, quali che siano le strategie di contrasto che i paesi di destinazione cercheranno di attuare.


Fonte: Adif

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