lunedì 13 maggio 2024

I 3 momenti che sanciscono il punto di non ritorno per l'Europa - Giuseppe Masala

 

Da sempre nella storia esistono dei passaggi storici che segnano un punto di svolta per interi popoli e per interi continenti. Sovente questi passaggi sono legati a scoperte geografiche o tecnologiche come per esempio la scoperta dell'America o la macchina di Gutenberg che consentiva la stampa dei libri. Altre volte questi passaggi sono legati a eventi politici o a conflitti bellici. Senza andare troppo lontano nella storia basta che pensiamo alla Prima guerra mondiale che segnò la fine dell'Impero Austro-Ungarico, la fine dell'Impero Tedesco ma anche la nascita dell'URSS oppure alla Seconda che vide la sconfitta rovinosa della Germania nazista l'ascesa degli USA e dell'URSS come superpotenze peraltro in conflitto “freddo” tra loro.

In questo frangente storico stiamo assistendo a mio avviso ad uno di quei passaggi che segnerà la storia dei prossimi decenni in tutta Europa. In altre parole, la traiettoria storica dell'Europa ha probabilmente raggiunto il cosiddetto punto di non ritorno, il punto che, una volta raggiunto, rende impossibile il ritorno allo stato precedente.

Sicuramente l'artefice principale di questo passaggio di stato, è sicuramente Manuel Macron, che squarciando quel velo di ipocrisia ha dichiarato al mondo quello che molti sanno: la sconfitta dell'Ucraina probabilmente sancirà la fine dell'Europa intesa come Unione Europea e molto probabilmente anche dell'Alleanza Atlantica. La motivazione profonda di questo sbocco drammatico Macron non l'ha detta ma è facilmente individuabile nella rottura di quel patto d'acciaio franco-tedesco su cui si fonda l'Unione Europea fin dalla sua fondazione. Ciò a causa della totale divergenza dei conti nazionali di Parigi e di Berlino: mentre la prima è sommersa dai debiti per oltre 1000 miliardi di dollari di posizione finanziaria netta, la seconda in questi decenni ha accumulato ricchezze immense per oltre 3000 miliardi di dollari di posizione finanziaria netta positiva. Una situazione che rende impossibile trovare una posizione che possa soddisfare entrambi i player europei su tutte le questioni fondamentali a partire dal conflitto ucraino. Macron proprio per paura di un crollo dell'Europa e dell'Euro (che offre di fatto una garanzia tedesca sul debito estero di Parigi) è disposto anche a spendere un intervento diretto dell'Armeé pur di non vedere la caduta dell'Ucraina, mentre, al contrario Scholz vedrebbe la sconfitta dell'Ucraina come una sorta di miracolo da auspicare perché consentirebbe a Berlino di riprendere a tessere quella tela di rapporti profondissimi con Mosca. E non inganni l'attivismo tedesco nel fornire armi all'Ucraina, è esattamente l'opposto di quello che può apparire: non smania di guerra ma un modo per prendere tempo in attesa di un miracolo che eviti il diretto intervento europeo o della Nato nel campo di battaglia.

Ma in queste giornate convulse ad aver reso evidente – anche a livello simbolico – il superamento del punto di non ritorno è stata la Polonia che ha annunciato di aver fatto domanda alla Nato per entrare nel programma Nuclear Sharing.  Si tratta di un programma che consente alle nazioni aderenti di ospitare sul proprio territorio armi nucleari a doppio codice, uno in mano agli USA e uno in mano al paese ospitante. Va da sé che il doppio codice comporta che entrambi i paesi siano d'accordo per l'utilizzo condividendo sia il bersaglio che lo scopo che si vuole raggiungere.

Ricordo che tra i motivi di maggior attrito – dal punto di vista russo – con l'Occidente vi è proprio l'allargamento della Nato ad Est fino ai confini russi (la Polonia confina con l'Oblast di Kaliningrad), realizzato in contrasto con le promesse che gli americani fecero i russi all'epoca dello scioglimento del Patto di Varsavia. Circostanza questa ricordata dai russi agli americani nel vertice sulla sicurezza europea tenutosi poco prima del conflitto in Ucraina. E' chiaro che a Mosca il dispiegamento di armi nucleari in Polonia verrà visto come una provocazione che attesta inoppugnabilmente l'assenza assoluta da parte occidentale di trovare una soluzione pacifica sia al conflitto ucraino che all'esigenza di trovare una nuova architettura di sicurezza europea che soddisfi i bisogni di tutti.

L'annuncio della richiesta di Varsavia non poteva certamente non generare preoccupazione a Mosca che, immediatamente, ha aumentato il livello della propria postura “nucleare”. Infatti, dapprima è stato lo stesso Putin ad annunciare delle esercitazioni con l'utilizzo di armi nucleari tattiche nel distretto militare sud (quello che confina con l'Ucraina per intenderci). Si tratta di un chiaro avvertimento alla Nato su come la Russia non sia “disposta a perdere” questo conflitto anche se entreranno sul campo di battaglia direttamente le truppe occidentali. Anche la Russia, del resto, sta giocando una partita per la sopravvivenza: la sconfitta in Ucraina indebolirebbe fortemente il paese euroasiatico e potrebbe riaccendere quelle spinte indipendentiste che sono state represse proprio con l'avvento al potere di Putin.

Anche il Ministero degli Esteri russo ha aumentato i toni dello scontro con l'Occidente, dicendo che l'utilizzo di cacciabombardieri F-16 in Ucraina per la Russia sarebbe considerato come una potenziale minaccia nucleare alla quale sarebbe necessario rispondere con misure appropriate. Uno sbocco anche questo ampiamente previsto da chi scrive, avendone già parlato in un articolo del Maggio 2023.

La mossa più importante della Russia, in questa escalation dei “preparativi e delle dichiarazioni” per ora è solo sussurrata ma sapremo di più a brevissimo. Con l'inaugurazione del nuovo mandato a Putin avvenuta ieri sarà ovviamente formato un nuovo governo e la grande novità potrebbe essere la sostituzione del Ministro della Difesa Sergey Shoigu con  Alexey Dyumin attualmente governatore dell'Oblast di Tula e unanimemente considerato come il più probabile successore di Putin. Si tratta di un Siloviki che ha una importante e variegata carriera militare alle spalle; da comandante del servizio di guardia personale di Putin fino a vice comandante del GRU che lo ha visto comandare l'operazione di conquista della Crimea del 2014. Dyumin è noto per essere, oltre che un fedelissimo di Putin, anche un falco per quanto riguarda i rapporti con l'Occidente. L'altro grande avvicendamento nelle stanze del potere di Mosca sarebbe quella del Capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov con il Generale Sergey Surovikin noto per aver dato una svolta alla guerra in Ucraina quando fu chiamato a comandare le forze russe sul campo e ora spedito in Africa a guidare le “Afrika Corps” russe.

Qualora questo avvicendamento si verificasse  sarebbe importante non solo dal punto di vista politico e militare “convenzionale” ma anche dal punto di vista militare “nucleare”. Infatti il deterrente strategico russo può essere attivato solo per decisione collegiale del Presidente Putin, del Ministro della Difesa e del Capo di Stato Maggiore, ognuno dei quali ha una parte del codice che se non inserita renderebbe impossibile l'attivazione di queste armi anche se a chiederlo fosse il presidente stesso. Gli occidentali non hanno mai nascosto di non credere all'utilizzo delle armi atomiche da parte dei russi proprio perché Shoigu e Gerasimov sono considerati “colombe” con ottimi rapporti ad Occidente. Va detto, per il vero, anche il fondatore della Wagner Prighozin quando organizzò la “marcia su Mosca” aveva proprio come obbiettivo quello di arrestare Shoigu e Gerasimov considerati da lui dei traditori.

Non rimane che attendere l'eventuale ufficializzazione di questi cambi al vertice del potere russo con l'ascesa dei falchi di Putin per poter concludere che nulla sarà come prima in Europa, anche perché in questi due anni ci siamo giocati le possibilità di una pace ragionevole con la Russia e non ci rimane che un muro nucleare  contro muro nucleare molto pericoloso perché si potrebbe passare dalle minacce ai fatti.

da qui

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