Il
messaggio del Ddl sicurezza è chiaro: legge e ordine, chi protesta, chi è
marginale, chi non pratica ginnastica d’obbedienza domani rischierà ben più di
ieri. Pur nella consapevolezza del carattere articolato dell’intervento
normativo, rileviamo che il Ddl 1660 (Disposizioni in materia di sicurezza
pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e
di ordinamento penitenziario) di iniziativa governativa, esprime una “visione”
dei rapporti tra autorità e consociati fortemente orientata al versante dell’autorità,
coltivando l’ambizione di risolvere – con l’inasprimento di pene,
l’introduzione di nuovi reati, l’ampliamento dei poteri degli apparati di
pubblica sicurezza – problemi sociali che probabilmente potrebbero trovare più
efficaci risposte senza usare per forza la leva penale. Colpisce, nel
complesso, la tendenza a introdurre nuove incriminazioni e, in linea generale,
a introdurre inasprimenti sanzionatori. Una linea di tendenza che però non
assicura affatto risultati concreti sul piano della prevenzione dei fenomeni
criminali.
Preoccupa,
in secondo luogo, la costruzione di nuove fattispecie penali (o l’introduzione
di aggravanti) che perseguono l’obiettivo di sanzionare in modo deteriore gli
autori di reato che hanno commesso fatti nel corso di manifestazioni pubbliche
o di iniziative di protesta contro la realizzazione di c.d. grandi opere. A ciò
si aggiunge l’ampliamento del catalogo di misure di prevenzione atipiche, con
attribuzione del potere al Questore di vietare a determinate categorie di
persone l’accesso ai luoghi ove si realizzano le c.d. grandi opere. Si tratta
di previsioni che intendono disegnare un “tipo d’autore” veicolando nel
discorso pubblico l’idea che la pubblica manifestazione di protesta è in sé un
fatto da stigmatizzare.
Espressione
della over-criminalization per “tipo di autore” sono anche la previsione o
l’inasprimento delle misure repressive nei confronti di chi occupa case, di chi
fa blocchi stradali (anche non violenti), di chi adotta iniziative di protesta
particolarmente appariscenti (si allude alle norme che intendono aggravare il
trattamento sanzionatorio rispetto a fenomeni di protesta come quelli posti in
essere dal movimento Ultima generazione). Novità che lasciano perplessi sia in
ordine alla proporzionalità della risposta sanzionatoria (che si vuole
inasprire) sia sotto il profilo della selezione dei fatti cui attribuire
disvalore penale (si pensi ai blocchi stradali non violenti).
Sempre
nel solco dell’ampliamento dei poteri attribuiti all’autorità di pubblica sicurezza
di incidere direttamente sulla libertà personale meriterebbe una seria
riflessione l’ampliamento delle ipotesi di possibilità di arresto in c.d.
flagranza differita, posto che essa rischia di porsi in frizione con le
garanzie scolpite nell’art. 13 della Costituzione.
Come
espressione di una logica penale principalmente repressiva e muscolare si
segnalano, ancora, le norme in materia penitenziaria: gli interventi che
potenzialmente renderanno possibile l’ingresso in carcere di bambini di età
inferiore a tre anni (o la forzata rescissione dei legami con la madre);
l’introduzione del reato di rivolta penitenziaria (che incrimina anche atti di
resistenza passiva all’esecuzione di ordini, senza nemmeno avere la cura di
specificare che tali ordini debbono essere almeno legittimi…); l’introduzione
di ulteriori ipotesi di ostatività o di automatismi che rendono più arduo
l’accesso a benefici penitenziari.
Per
contro – e rispondendo alle attese elettorali che alimentano il consenso di
forze ampiamente rappresentate in Parlamento – si introducono numerose
disposizioni che intendono offrire uno statuto privilegiato agli operatori del
settore della sicurezza pubblica: il porto d’armi senza licenza (che ha
l’effetto potenziale di aumentare il numero di armi in circolazione);
l’introduzione di fattispecie incriminatrici ad hoc (con possibilità di arresto
in flagranza differita); l’introduzione della possibilità di avere sostegno
economico in caso di sottoposizione a procedimenti penali in conseguenza di
fatti connessi all’esercizio della funzione rivestita (a differenza della
generale platea dei dipendenti pubblici). Il Ddl interviene anche sulla
questione migratoria. E lo fa – ancora una volta – con interventi normativi che
intendono rendere più difficile il soccorso (si allude agli interventi di
modifica al codice della navigazione, che possono introdurre ulteriori ostacoli
alle attività delle Ong impegnate nei soccorsi in mare) e più difficile la vita
dei migranti, una volta giunti sulle rive italiane.
Anche
se il nome giornalistico del provvedimento, scelto dalla maggioranza di
governo, richiama la “sicurezza”, molte delle disposizioni di questo decreto
non solo non giovano alla sicurezza pubblica ma anzi rendono le città meno
sicure per tutti. È certamente il caso della disposizione che modifica il
codice delle comunicazioni elettroniche, obbligando gli esercenti commerciali
che vendono SIM a richiedere il permesso di soggiorno a persone straniere come
condizione per procedere all’acquisto. Una vera e propria disposizione
anti-migranti, che limita la possibilità di acquistare e possedere beni nei
confronti di una categoria di cittadini stigmatizzata in base all’etnia, così
riportando alla memoria i tempi più bui del secolo scorso.
Ma
non è solo questo. Prendersi carico della sensazione di insicurezza che viene
percepita, soprattutto nei grandi centri urbani, a seguito dei ricorrenti
episodi di violenza che hanno per protagonisti migranti che vivono in strada,
soprattutto nelle zone delle stazioni, senza nessun accesso alle reti della
società, significa, come il semplice buon senso dovrebbe chiarire a chiunque,
dotarsi un sistema sociale di presa in carico di queste persone: identificarle
innanzitutto, visitarle per capire se hanno problemi fisici o psichici che richiedano
interventi immediati, allocarle in centri dove abbiano almeno un letto e un
pasto garantito e soprattutto toglierle immediatamente dalla strada, dove
l’unico sbocco di sopravvivenza è la criminalità, che infatti spesso li sfrutta
coinvolgendoli nel consumo e nel piccolo spaccio di stupefacenti, così
aggravando le loro problematiche psichiche e personali e incrementando la
possibilità di condotte violente. Questo ci rende tutti più insicuri.
Rispondere con pene sempre più severe non aiuta certo le vittime di quei reati,
che intanto li hanno subiti e continueranno a subirli in misura sempre
maggiore, se i migranti non regolari vengono deliberatamente spinti a
delinquere da disposizioni come questa.
Non
vediamo poi cosa c’entrino con la sicurezza dei cittadini le tante norme del
decreto che criminalizzano il dissenso verso le politiche di governo, come
quella che introduce il reato di “blocco stradale”, chiaramente rivolta alle
associazioni ambientaliste, o quella che introduce un’ulteriore circostanza aggravante
dei delitti di resistenza a pubblico ufficiale se il fatto è commesso al fine
di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura
strategica, anch’essa chiaramente rivolta alle manifestazioni contro la
realizzazione di grandi opere come la TAV o il Ponte sullo Stretto,
manifestazioni che peraltro vedono spesso un’ampia partecipazione delle
comunità cittadine locali. L’unica “messa in sicurezza”, in questo caso, è
quella delle politiche di governo, che usa il grimaldello del diritto penale
per disincentivare e reprimere il dissenso, proprio da parte chi lamenta sempre
la presunta “politicizzazione della giustizia”. Il Ddl 1660 – oggetto della
libera discussione in Parlamento – sembra dunque usare la leva penale per
disegnare simbolicamente un nuovo assetto dei rapporti tra Autorità e
consociati, veicolando un chiaro messaggio: legge e ordine, chi protesta, chi è
marginale, chi non pratica ginnastica d’obbedienza domani rischierà ben più di
ieri. “La maggior parte delle sue disposizioni (come sostiene l’OCSE nel parere
reso il 27 maggio 2024) ha il potenziale di minare i principi fondamentali
della giustizia penale e dello stato di diritto”.
Non
ci sembra che il Ddl, così come è formulato, sia un messaggio coerente con le
esigenze del sistema penale e penitenziario, né con la proclamata necessità di
costruire un sistema penale liberale e informato al garantismo.
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