Il mondo bianco si sta disintegrando e barcolla, come Polifemo accecato da Ulisse, lungo il bordo della guerra nucleare
La
disintegrazione di Israele
It Is Not
Hamas That Is Collapsing, but Israel è il titolo di un articolo pubblicato dal quotidiano
Haaretz il 9 settembre.
L’autore
Yitzhak Brik, generale dell’esercito israeliano, spiega per quali ragioni la
guerra scatenata contro la popolazione di Gaza, pur avendo provocato la
distruzione di tutto quel che esisteva in quel territorio, pur avendo ucciso
decine di migliaia di persone, si sta risolvendo in una sconfitta strategica
per Israele. Se l’IDF dovrà continuare questa guerra, o addirittura estendere
il fronte, secondo Brik, si rischia un vero e proprio collasso. Le condizioni
psico-fisiche dei militari impegnati da un anno nelle azioni di sterminio, e la
scarsità di riserve disponibili, porterebbero secondo Brik al crollo e alla
sconfitta.
L’esaurimento
fisico e psichico degli aguzzini israeliani richiama alla mia mente quel che
Jonathan Little racconta nel suo romanzo Le benevole: lo stato
di marasma mentale, di nausea, l’orrore di sé in cui versano le SS che per mesi
e anni hanno ucciso torturato massacrato… e infine non sono più in grado di
riconoscere il proprio volto nello specchio.
L’orrore che
gli sterminatori dell’IDF provocano in ogni persona dotata di sentimenti umani
non può non agire come fattore di intima disgregazione in coloro che con ogni
evidenza mirano a competere con gli assassini hitleriani.
Nel suo
articolo il generale Brik si limita a esaminare la situazione militare, ma
molti segnali indicano che l’intera società israeliana è giunta al limite della
disintegrazione.
La trappola
atroce che Hamas ha teso è scattata alla perfezione: il dilemma degli ostaggi
provoca una lacerazione non si rimarginerà.
L’odio nei
confronti di Netanyahu è destinato a provocare effetti politici esplosivi
quando prima o poi si tireranno le somme e si chiederà conto della cinica
conduzione del massacro.
Inoltre
l’economia israeliana è da tempo al collasso, e non si tratta di una
congiuntura provvisoria, perché chi ha un livello professionale spendibile
fuori da quel paese maledetto se ne va.
I medici se
ne vanno. Gli imprenditori se ne vanno.
Nessun
intellettuale degno di questo nome può rimanere in un paese che gareggia con la
Germania di Hitler in ferocia e fanatismo. Rimangono i fanatici, gli
squilibrati assetati di sangue, i miserabili che sono arrivati in Israele solo
per impadronirsi di terra altrui.
E
soprattutto quello che doveva essere il luogo più sicuro sulla terra per gli
ebrei, è diventato il luogo più pericoloso: un luogo circondato dall’odio di un
miliardo e ottocento milioni di islamici, un luogo in cui ogni automobile che
passa per strada potrebbe svoltare improvvisamente per ammazzare quelli che
stanno aspettando alla fermata dell’autobus.
Un tempo ci
si poneva il problema della legittimità di Israele a esistere come stato,
considerata la violenza con cui quello stato si è imposto, e la violazione
sistematica di tutte le risoluzioni ONU. Credo che la questione non si porrà
più: Israele non sopravviverà.
La sua disintegrazione
è già in corso e nulla potrà fermarla.
Il problema
che si porrà domani è un altro: come contenere la furia omicida di seicentomila
coloni fanatici armati che si sono stanziati abusivamente in Cisgiordania?
Come evitare
che la tragedia israeliana provochi un colpo di mano nucleare, una risposta
isterica al proliferare di violenze in quel territorio circondato dall’odio?
La
disintegrazione degli Stati Uniti
Israele è il
simbolo dell’arroganza dell’occidente che voleva farsi perdonare le sue colpe: dopo
aver isolato e respinto gli ebrei che fuggivano Hitler, dopo averne sterminati
sei milioni nei campi di concentramento, gli europei hanno invitato gli ebrei
sopravvissuti ad andarsene a morire o a uccidere da un’altra parte. In cambio
hanno promesso a Israele un appoggio indefettibile contro gli arabi e i
persiani che, umiliati dalla superiorità del mostro sionista
super-armato, circondano minacciosamente Israele aspettando il momento
della vendetta.
Ma la
disintegrazione di Israele va letta nel quadro della disintegrazione
dell’intero mondo che ama definirsi libero dimenticando che si fonda sullo
schiavismo.
Guardiamo
agli Stati Uniti.
L’Undici
settembre 2024, commemorando le vittime del più grande attentato della storia,
il genocida Joe Biden ha detto:
«In questo
giorno, 23 anni fa i terroristi credevano di poter spezzare la nostra volontà e
metterci in ginocchio. Si sbagliavano. Avranno sempre torto. Nelle ore più
buie, abbiamo trovato la luce. E di fronte alla paura, ci siamo uniti per
difendere il nostro Paese e per aiutarci a vicenda».
Ci siamo
uniti, dice il presidente. Sta mentendo, come dimostra la foto che ritrae
Harris e Biden, poi il sindaco Bloomberg, e accanto Trump e Vance.
Scappa da
ridere a vedere le loro facce di ipocriti con la mano sul cuore. Biden è unito
a Trump, e Vance è unito a Harris? In che senso sarebbero uniti questi
gaglioffi che ogni giorno si insultano in attesa di sapere chi vincerà la
contesa finale, destinata ad accelerare la disintegrazione? Certamente sono
uniti nell’armare il genocidio sionista. Certamente sono uniti nel deportare
esseri umani etichettati come illegal aliens.
Ma la loro
unità si ferma qui. Per quanto riguarda il potere sono nemici mortali.
Se in
novembre vince Donald Trump il gioco è fatto: inizia la più grande deportazione
della storia, ma anche la distruzione finale dell’alleanza atlantica.
Ma se le
cose vanno diversamente? Se vince Kamala Harris?
I seguaci di
Trump non fanno mistero: se vincono i dem vuol dire che ci hanno rubato la
vittoria, e non ci arrenderemo.
Una signora
con l’elegante cappellino MAGA sulla testa, intervistata da CNN durante una
manifestazione pro Trump lo ha detto senza mezzi termini. Nel caso in cui
vincano loro “there will be civil war.”
Cosa vuol
dire guerra civile in quel paese in cui ogni cittadino possiede almeno un’arma
da fuoco, molti ne posseggono quattro, dieci, venticinque?
Non credo
che ci sarà una guerra civile come usava nei tempi della guerra di Spagna, con
moltitudini armate che si scontrano lungo un fronte più o meno definito. No,
non è così che si svolge la guerra civile dell’epoca post-politica e della
demenza iper-mediatica.
Avremo una
moltiplicazione di sparatorie razziste, avremo un moltiplicarsi delle stragi,
avremo semplicemente quello che c’è già, ma sempre più diffuso, aspro,
violento.
Kamala
Harris, per parte sua, ha detto il giorno undici settembre:
«Oggi è un
giorno di solenne commemorazione. Mentre piangiamo le anime che abbiamo perso
in un atroce attacco terroristico l’11 settembre 2001 – ha scritto Harris –
mentre commemoriamo questo giorno dovremmo tutti riflettere su ciò che ci
unisce: L’orgoglio e il privilegio di essere americani».
La signora
ha detto le cose come stanno. Quel che unisce gli americani (che sono divisi e
pronti a venire alle mani per impadronirsi del potere e del malloppo) è il
privilegio.
Il popolo
americano consuma quattro volte più elettricità del consumo medio mondiale. E
vuole continuare a consumare smodatamente perché solo l’ingozzamento di
plastica e merda dà un senso alle loro vite miserabili.
L’attacco
dell’11 settembre fu un capolavoro strategico. Il gigante militare più potente
di tutti i tempi non poteva essere sconfitto da nessuno. Occorreva metterlo
contro se stesso, occorreva attaccarlo con tale forza da farlo impazzire, da
spingerlo ad azioni suicide come l’aggressione contro l’Iraq e come la guerra
nelle montagne dell’Afghanistan che si è conclusa con la fuga disordinata da
Kabul, il ritorno dei talebani e l’umiliazione della super potenza.
Osama Bin
Laden ha vinto la sua guerra avviando un processo di disintegrazione culturale,
psichica e militare del colosso che continua a svolgersi sotto i nostri occhi.
Ma non
possiamo aspettarci una pacifica disintegrazione della potenza americana. Come
Polifemo accecato da Ulisse mena fendenti a chi gli si avvicina, così il
colosso è destinato a reagire, e il teatro dello scontro finale sarà l’Europa
se vincono i democratici. Sarà il Pacifico se vincono i repubblicani.
Ma in un
caso come nell’altro il colosso barcolla lungo la linea di scivolamento in un
baratro nucleare.
La
disintegrazione dell’Unione Europea
Per finire
c’è l’Unione europea, che in fatto di disintegrazione è ormai molto avanti,
certamente oltre il punto di non ritorno.
Mario Draghi
l’ha detto con la franchezza di chi non ha niente da perdere se non il suo
posto di fronte alla storia: se non siamo capaci di avviare un piano di
investimenti e di condivisione del debito, possiamo prepararci alla
disintegrazione dell’Unione.
Il giorno
dopo tutti si sono spellati le mani negli applausi, ma tutti hanno detto che
quelli di Draghi sono sogni irrealizzabili.
Prima di
tutto l’ha detto la Germania che non intende parlare di condivisione del debito
mentre comincia a pagare il prezzo di una guerra che era rivolta prima di tutto
proprio contro di lei.
Quella che
Biden e Hillary Clinton sono riusciti a provocare era una guerra contro la
Germania, e la Germania l’ha persa subito.
Mentre la
recessione si fa probabile, con la guerra alle porte, i fascisti prendono in
mano il governo di un paese europeo dopo l’altro, e nullificano il risultato
delle elezioni in cui la coalizione Ursula credeva di avere vinto e invece non
ha vinto niente.
Pur avendo
la maggioranza nell’inutile parlamento europeo, deve infatti fare i conti con
l’avanzata delle destre che pur non avendo la maggioranza a Strasburgo tendono
ad averla in tutti i paesi del continente.
In Francia e
in Germania ci sono due governi che non hanno la maggioranza. Il colpo di stato
di Macron può portare a una ripresa del conflitto sociale con caratteri sempre
più violenti. Oppure può evolvere con un colpo di mano finale da parte dei
lepenisti.
In Germania
si è aperto lo scontro tra due visioni geopolitiche inconciliabili: la visione
atlantica, per obbedienza ai padroni americani che hanno già spinto il governo
Scholz alla rottura dei legami economici con la Russia e quindi al disastro
economico. Oppure la visione continentale che implica un equilibrio con la
Russia, ma la rottura politicamente impossibile con la NATO.
Il solo
fattore di integrazione che rimane agli europei (come agli americani, del
resto) è la paura della marea umana che li assedia alle frontiere, e l’adozione
di misure sempre più disumane contro i migranti.
La fortezza
si chiude verso il mondo non bianco, ma l’incedere della guerra inter-bianca e
la disintegrazione politica e culturale sta portando il mondo bianco verso la
guerra nucleare.
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