Il disegno di legge
1660 approvato alla camera punta a negare il conflitto. Hanno deciso di
sopprimere qualsiasi dissenso, che sia per le devastazioni ambientali e
climatiche, che sia portato avanti da chi è schiacciato dalla povertà o da chi
protegge la libertà di movimento. Si illudono di poter eliminare il conflitto,
ciò che da sempre apre crepe nella storia scritta dall’alto. E la cui gestione
resta anche la più importante antitesi alla guerra
Il disegno di legge (n.1660) “Piantedosi” è l’ennesimo provvedimento in
materia di sicurezza, espressione della fascinazione per il populismo penale e
la criminalizzazione di dissenzienti, poveri e migranti, che ha attratto nel
corso degli anni in modo multipartisan le forze politiche. È
un canto delle sirene irresistibile per gli amanti delle soluzioni autoritarie
come per i patrocinatori delle agende neoliberiste: consente di archiviare le
politiche sociali, delegittimando, espellendo e punendo la marginalità sociale
come la contestazione politica. Un connubio perfetto per un neoliberismo, la
cui aggressività e competitività contempla la normalizzazione della guerra, per
una società dominata dal TINA (There is no alternative) e da logiche
identitarie dicotomiche, e una destra (in)-culturalmente intollerante a limiti
e critiche.
La divergenza politica e sociale, gli eccedenti, sono dunque i nemici; tanti gli effetti collaterali utili: il conflitto sociale non esiste e non ha titolo di esistere; le radici delle diseguaglianze sociali e della devastazione ambientale sono oggetto di un transfert che le addossa a chi le subisce e a chi le contesta; si crea uno stato di permanente emergenza e distrazione. Il nuovo provvedimento è emblematico in tal senso. Due esempi: le difficoltà abitative sono “risolte” con l’inasprimento delle pene per le occupazioni, indicando i movimenti per il diritto all’abitare come i colpevoli della situazione; le condizioni disumane in carcere e nei CPR scompaiono perché rese invisibili dall’impossibilità di mettere in atto qualsiasi tentativo di chi vi è rinchiuso di farsi sentire.
È un modus operandi, che, ancor prima degli specifici profili
di incostituzionalità delle singole misure, è contro il progetto della
Costituzione, che si propone, muovendo dalla consapevolezza dell’esistenza
delle diseguaglianze esistenti, di rimuovere gli ostacoli che si frappongono
all’emancipazione personale e sociale, mentre la sostituzione dello stato
sociale con lo stato penale occulta, trasfigura e strumentalizza gli ostacoli.
Su il manifesto il disegno di legge è stato analizzato e
criticato nella sua ratio e nelle sue disposizioni, vorrei
ancora insistere su un punto. Il fil noir che lo
attraversa è la negazione del conflitto, represso e surrogato con la figura del
nemico; non è inutile allora ricordare qual è il senso del riconoscimento del
conflitto. Il conflitto consente l’espressione dei subalterni, degli
oppressi, delle vite di scarto (Bauman), dei dannati della terra (Fanon), ne
riconosce l’esistenza e la legittimazione a lottare per la propria dignità e
autodeterminazione. Il conflitto, dunque, produce riconoscimento, inclusione ed
emancipazione. È emancipazione in sé e veicola emancipazione. Il
conflitto è il motore che anima la dialettica della storia. La storia
è «storia di lotta di classi», «di oppressori e oppressi», che «sono sempre
stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte
nascosta, a volte palese» (Marx); «sono in ogni repubblica due umori diversi,
quello del popolo e quello de’ grandi», «tutte le leggi che si fanno in favore
della libertà, nascano dalla disunione loro» (Machiavelli). Il conflitto è un
elemento dinamico, che veicola trasformazione. Chi avversa il conflitto tende a
mantenere lo status quo, le relazioni di dominio e di
diseguaglianza esistenti. È attraverso i conflitti che nascono i diritti, si
esercitano e si preservano.
Il conflitto è anche il fondamento della democrazia; insieme ad una visione
all’insegna della complessità, rende vivo il pluralismo; con la mobilitazione e
l’attivismo che reca con sé sconfigge l’apatia, l’indifferenza, la passività,
favorendo la partecipazione, che della democrazia è il cuore.
Preciso: il conflitto si pone in antitesi alla guerra. Si situa
nell’orizzonte della complessità e della differenza, del riconoscimento
reciproco, della discussione e della convivenza, mentre la guerra tende alla
semplificazione identitaria, a una artificiale e coartata omogeneità, alla
delegittimazione del nemico, e, in definitiva, alla sua eliminazione.
Il disegno di legge Piantedosi mira a negare il conflitto e si situa nello
spazio della guerra contro il dissenso, i poveri, i migranti. L’orizzonte
della trasformazione è sostituito dalla repressione; l’immaginazione e la
pratica del cambiamento soffocati a colpi di reati; la democrazia diviene un
mero simulacro che copre una gestione autoritaria e blinda un modello
economico-sociale strutturalmente diseguale.
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