Siamo abituati a vedere Israele commettere atrocità prendendo a pretesto la propria sicurezza e gli anglosassoni prenderne le difese nel Consiglio di sicurezza. Siamo spettatori di crimini che non comportano alcuna conseguenza giudiziaria. Questa situazione sta per finire. La Corte internazionale di giustizia ha tolto di mezzo il paralogismo di Tel Aviv e ha riconosciuto lo Stato di Palestina membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. Ormai non si potrà più fingere di non vedere la sofferenza dei palestinesi e costoro potranno perseguire i loro carnefici.
Il 10
settembre i coloni israeliani, che sostengono di adempiere a un piano divino
insediandosi in Cisgiordania (per loro: Giudea-Samaria), sono passati dallo
status di cittadini israeliani residenti in territori contesi, a quello
d’immigrati illegali nello Stato sovrano di Palestina.
All’apertura
della settantanovesima sessione, l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha
infatti reso esecutiva la risoluzione ES-10/23 dello scorso 10 maggio [1]. Così lo
Stato di Palestina è diventato membro a pieno titolo dell’Organizzazione delle
Nazioni Unite (Onu). Nessuno quindi può più opporsi all’esercizio dei suoi
diritti di Stato sovrano.
Il
riconoscimento della Palestina come Stato sovrano modifica l’interpretazione
dell’Accordo interinale sulla Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza (il
cosiddetto Accordo di Oslo II).
L’Autorità
palestinese non è più l’amministrazione provvisoria di un periodo di
transizione, ma un governo nel pieno senso del termine. I Territori palestinesi
non sono più «aree contese», ma il territorio internazionalmente riconosciuto
di uno Stato sovrano.
Dalla guerra
del 1967, nota come Guerra dei Sei giorni, il movimento dei coloni ha
guadagnato costantemente terreno. Oggi ci sono oltre 700 mila coloni in
Cisgiordania, Gerusalemme Est e sulle alture del Golan.
Il 19 luglio
la Corte internazionale di giustizia (CIG) - il tribunale interno delle Nazioni
unite - consultato dall’Assemblea generale delle Nazioni
unite, ha definito le norme giuridiche relative alle politiche e alle pratiche
di Israele nei Territori palestinesi occupati [2]. Il parere
della CIG non ha ancora avuto seguito perché solo il Consiglio di sicurezza ha
il potere di costringere Israele ad applicarlo.
Ricordiamo
che il diritto internazionale, a differenza del diritto penale, non si basa su
una forza di polizia e su un sistema carcerario. Impone semplicemente ai
governi l’obbligo di rispettare la firma del loro Stato. Aderendo all’Onu,
Israele ne ha sottoscritto lo Statuto [3] che, al
capitolo XIV, impegna ogni Stato membro «a conformarsi alla decisione della
Corte internazionale di giustizia in qualsiasi controversia di cui sia parte».
La Corte ha
ritenuto (paragrafo 229) che le politiche e le pratiche di Israele nei
Territori palestinesi occupati vìolino la Convenzione internazionale
per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale. Secondo la
CIG, Israele pratica una forma di apartheid (cfr. art. 3 della Convenzione).
Questo è esattamente quanto proclamò l’Assemblea generale dell’Onu il 10
novembre 1975: «Il sionismo è una forma di razzismo e di discriminazione
razziale» (risoluzione 3379) [4]. Questo
testo fu abrogato solo per facilitare la Conferenza di pace di Madrid del 1991
[5]. Tuttavia,
non avendo Israele adempiuto agli impegni assunti all’epoca, anzi avendo
esacerbato le sue politiche e le sue pratiche, questo testo dovrebbe essere
ripristinato.
La Corte ha
anche osservato (paragrafo 263) che «gli Accordi di Oslo non autorizzano
Israele ad annettere parti dei Territori palestinesi occupati per soddisfare le
proprie esigenze nonché gli obblighi in materia di sicurezza. Né lo autorizzano
a mantenere allo stesso scopo una presenza permanente nei Territori palestinesi
occupati». Ciò che era vero a luglio è ancor più vero ora che la Palestina è
uno Stato sovrano, riconosciuto a livello internazionale.
Di
conseguenza, la settimana scorsa - ossia dopo questa decisione e prima
che la Palestina entrasse a far parte dell’Assemblea generale - le Forze di difesa israeliane (FDI) hanno improvvisamente
evacuato le principali città della Cisgiordania che avevano occupato. Il 12
settembre il governo israeliano ha per contro dichiarato che non c’è ragione di
aumentare gli aiuti umanitari a Gaza, poiché Israele non controlla questo
territorio e quindi non vi ha alcuna responsabilità.
Ciò
premesso, la Corte ha concluso che «Israele ha l’obbligo di risarcire
pienamente i danni causati dai suoi atti internazionalmente illeciti
[l’occupazione e l’apartheid] a ogni persona fisica o giuridica interessata»
(paragrafo 269). Questo implica «l’obbligo per Israele di restituire terra e
altre proprietà immobiliari, nonché tutti i beni confiscati, a qualsiasi
persona fisica o giuridica dall’inizio dell’occupazione del 1967, e tutti i
beni e gli edifici culturali sottratti ai palestinesi e alle loro istituzioni,
compresi gli archivi e i documenti. Esige inoltre che tutti i coloni degli
insediamenti esistenti siano evacuati, che le parti del muro costruito da
Israele situate nei Territori palestinesi occupati siano smantellate e che
tutti i palestinesi sfollati durante l’occupazione possano tornare al luogo di
residenza originario» (paragrafo 270).
Si noti che
la Corte non ha ordinato il risarcimento dei danni causati prima del 1967. Non
era questo il quesito posto dall’Assemblea generale. Inoltre le armi hanno
parlato e i palestinesi hanno perso diverse operazioni militari di cui devono
sopportare le conseguenze. I torti sono da entrambe le parti, sebbene sia
evidente che i danni subiti dai palestinesi sono sproporzionati rispetto a
quelli subiti dagli israeliani.
La Corte si
è pronunciata sulle conseguenze dell’occupazione dal 1967. Le sue decisioni non
sono retroattive. Essa però prende atto che i danni hanno continuato ad
aggravarsi dal 1967.
Rivolgendosi
a tutti gli Stati membri delle Nazioni unite, la Corte ha notificato loro che
«hanno l’obbligo di non riconoscere alcun cambiamento nel carattere fisico o
nella composizione demografica, nella struttura istituzionale o nello status
dei territori occupati da Israele il 5 giugno 1967, compresa Gerusalemme Est,
se non quelli concordati con le parti attraverso negoziati, nonché di
distinguere, nelle relazioni con Israele, tra il territorio dello Stato di
Israele e i territori occupati dal 1967. La Corte ritiene che nelle relazioni
con Israele l’obbligo di distinguere tra il territorio proprio di tale Stato e
i Territori occupati comprenda tra l’altro l’obbligo di non intrattenere
relazioni convenzionali con Israele in tutti i casi in cui quest’ultimo
pretenda di agire in nome dei Territori palestinesi occupati o di una parte di
essi in questioni riguardanti tali territori; di non intrattenere, in ciò che
concerne i Territori palestinesi occupati o parte di essi, relazioni economiche
o commerciali con Israele, che fossero di natura tale da rafforzare la presenza
illecita di Israele in questi territori; nello stabilire e mantenere missioni
diplomatiche in Israele, devono astenersi dal riconoscere in qualsiasi modo la
presenza illegale di quest’ultimo nei Territori palestinesi occupati; nonché
dall’adottare misure per impedire il commercio o gli investimenti che
contribuiscano al mantenimento della situazione illegale creata da Israele nei
Territori palestinesi occupati» (paragrafo 278).
Per questo
motivo, il 9 settembre Volker Turk, alto commissario delle Nazioni unite per i
Diritti umani, aprendo la 57^ sessione del Consiglio per i Diritti umani, ha
dichiarato: «Nessuno Stato deve accettare la flagrante inosservanza del diritto
internazionale, nonché delle decisioni vincolanti del Consiglio di sicurezza
dell’Onu e le ordinanze della Corte internazionale di giustizia, in questa
situazione [l’occupazione israeliana della Palestina] o in qualsiasi altra».
Ognuno di
noi deve esserne consapevole: le regole sono cambiate. L’occupazione dello
Stato di Palestina da parte di Israele è illegale. Dal 10 settembre questo
Stato è riconosciuto a livello internazionale, anche se diversi membri del
Consiglio di sicurezza non lo hanno fatto a titolo personale. Ora lo Stato di
Palestina dispone dei mezzi legali che gli mancavano. L’ombrello anglosassone
dietro cui Tel Aviv si ripara non esiste più a livello giuridico. Stiamo
entrando in un nuovo periodo in cui Washington e Londra dovranno usare la forza
per mantenere questo sistema di oppressione.
Questa
rivoluzione giuridica segna una vittoria per la strategia del presidente
Mahmoud Abbas (89 anni). Paradossalmente arriva alla fine della sua vita,
proprio in un momento in cui il suo governo è screditato dalla collaborazione
con Israele e dalla corruzione.
Traduzione di Rachele Marmetti
Note
[1] « Admission de nouveaux Membres à l’Organisation des
Nations Unies », Réseau Voltaire, 10 mai 2024.
[2] • English : Legal Consequences arising from the Policies and Practices of Israel in the
Occupied Palestinian Territory, including East Jerusalem, International Court
of Justice, July 19, 2024.
• Français : Avis consultatif du 19 juillet 2024. Conséquences juridiques découlant des
politiques et pratiques d’Israël dans le Territoire palestinien occupé, y
compris Jérusalem-Est, Cour internationale de Justice, 19
juillet 2024.
[3] « Charte des Nations unies », Réseau
Voltaire, 26 juin 1945.
[4] « Qualification du sionisme », ONU (Assemblée
générale) , Réseau Voltaire, 10 novembre 1975.
[5] « Retrait de la qualification du sionisme »,
ONU (Assemblée générale) , Réseau Voltaire, 16 décembre 1991.
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