Seguire
gli avvenimenti della guerra in Palestina è molto istruttivo. Si ha modo di
capire che potenza militare e totalitarismo mediatico prevalgono sempre di più
su verità e giustizia. La sola cosa che ancora forse riesce a stupire è il
fatto che giornalisti lautamente pagati possano continuare a fornire al loro
pubblico un’informazione composta da mezze verità, versioni distorte, silenzio
su tutto quanto evidenzia il contrasto fra quanto essi dicono e la realtà dei
fatti.
Miraggi di tregua
Pensiamo all’ipocrisia con cui si è dato spazio alle trattative in
corso su Gaza: per settimane, praticamente ogni sera, il pubblico veniva
nutrito dell’ottimistica prospettiva di un imminente accordo fra le parti in
guerra, ovviamente per merito del grande mediatore statunitense. Dopo poche
ore, ogni volta sopraggiungeva un’azione dello Stato di Israele che andava
nella direzione esattamente contraria, quella cioè di una prosecuzione della
guerra ad oltranza.
Altro che accordi. Nelle ultime ore, prendendo a pretesto un fallito
attentato a Tel Aviv, Israele ha iniziato un’azione militare di profondità
anche in Cisgiordania, preceduta dall’approvazione di un vasto piano di
insediamenti ebraici (vietati dagli accordi internazionali sottoscritti da
Israele) in quell’area, e poi da una serie di violente aggressioni da parte dei
coloni, attuate sotto la protezione dell’esercito dello Stato ebraico.
L’obiettivo israeliano
Ipocrisia nell’ipocrisia, non si ha il coraggio di affermare, alla luce di
questi ulteriori sviluppi, che è oramai chiaro l’obiettivo strategico di Netanyahu:
spezzare qualsiasi volontà e capacità di opposizione all’occupazione israeliana
da parte palestinese, spingendo anzi quella popolazione ad abbandonare la
Palestina.
Il primo ministro israeliano ha affermato di voler annientare Hamas, ma la
sua aggressiva strategia politico-militare sta sancendo la fine politica dell’Autorità
Palestinese, che sta perdendo quel poco, residuo consenso che ancora poteva
vantare.
Poiché l’ANP viene sempre indicato come il solo possibile
interlocutore per un’eventuale futura trattativa di pace, è oramai chiaro, a
chiunque cerchi la verità, che l’intento dello Stato d’Israele è quello di
eliminare qualsiasi interlocutore politico, per ottenere una vera e
propria resa incondizionata dei Palestinesi.
Due Stati dove?
Chi ancora continua a parlare di soluzione a Due Stati, come ad
esempio fanno ancora gli arci-ipocriti esponenti del nostro governo, come
sempre allineati alle posizioni statunitensi, diffonde notizie false, sapendo
di farlo, ben conoscendo l’inattuabilità di una simile ipotesi.
La sola soluzione, che fin dalle origini avrebbe potuto risolvere la
questione israelo-palestinese, sarebbe stata quella di uno Stato multi-etnico,
pluri-religioso, dai confini certi, capace di integrare le diverse componenti
storicamente insediate in Palestina: una prospettiva cancellata da oltre un
secolo di conflitti tanto sanguinosi quanto incapaci di portare ad una pace
giusta e duratura.
Doppiopesismo “umanitario”
Se poi guardiamo a questa situazione dal punto di vista del
cosiddetto diritto umanitario internazionale, non è esagerato dire
che la disparità con cui vengono presentate la guerra in Ucraina ed il
conflitto a Gaza è macroscopica: i media dedicano lunghi minuti alle vittime
causate dai bombardamenti russi, mentre fanno appena cenno a quelle che si
accumulano di giorno in giorno in Palestina.
Per quanto risulti sempre ributtante questo tipo di contabilità, è tuttavia
vero che, dopo due anni di guerra in Ucraina (febbraio
2024), le organizzazioni internazionali stimavano 10.582 civili ucraini morti;
in Palestina ad oggi, dopo neanche un anno di guerra, il bilancio nella
sola Striscia di Gaza è di oltre 40.000 civili
palestinesi morti (26 agosto 2024).
Oltretutto, in due contesti bellici assai diversi: mentre infatti l’Ucraina
è militarmente sostenuta da una vasta coalizione filo-occidentale, che la sta
dotando di armamenti come minimo equivalenti a quelli della Russia, nel caso
della Striscia di Gaza stiamo parlando di un tipico conflitto asimmetrico,
nel quale cioè le armi a disposizione di Hamas sono di un livello
incomparabilmente inferiore alle dotazioni di Israele, che è la maggiore
potenza militare presente in Medio Oriente.
Politica Anno Zero
La guerra in Palestina sta quindi mostrando l’assoluta impotenza della
politica internazionale, fondata nel nuovo millennio sul monopolio
statunitense.
Affondato negli anni Novanta il ruolo delle Nazioni
Unite nel dirimere conflitti, prima in Africa e poi nella ex-Jugoslavia,
l’autocrazia globale degli Stati Uniti d’America si è dimostrata incapace,
nonostante la propria enorme potenza militare ed economica, di giungere alla
soluzione dei conflitti emersi negli ultimi decenni: il Medio Oriente, dalla
Siria all’Iraq all’Afghanistan, ne è la prova più evidente.
Ma, nel caso della Palestina, questa impotenza dipende dal fatto che la
politica nordamericana è dettata oramai senza limitazioni dalla strategia
d’Israele, a causa del peso che gli strategist israeliani e filo-israeliani
hanno assunto negli Usa fin dagli anni Ottanta del secolo scorso, come ho avuto
modo di spiegare in dettaglio in Medio Oriente senza Pace,
al quale sono costretto a rimandare.
Basti oggi andarsi a leggere le dichiarazioni degli attuali candidati alla
presidenza ed alla vice-presidenza Usa: è totalmente bipartisan il
richiamo al rapporto privilegiato con Israele, in primo luogo nelle forniture
militari, ed al suo diritto alla cosiddetta “autodifesa” senza limitazioni –
anche quando essa comporti, come avvenuto contro Iran, Siria e Libano, dirette
aggressioni militari, in palese violazione della sovranità di questi Stati.
Farisaica Europa
A questo quadro si aggiunge l’atteggiamento dell’Europa, la cui attuale
conduzione nella politica internazionale dimostra un acritico allineamento alla
linea israelo-statunitense, in spregio agli interessi strategici vitali per il
nostro continente, che dovrebbero imporre all’Unione Europea di
opporsi oggi attivamente alla politica di guerra senza fine israeliana.
Data la rilevanza economica dell’Europa sul piano mondiale, potrebbe già
essere sufficiente, anche solo a livello simbolico, la proclamazione di una
sospensione delle relazioni commerciali e l’adozione di conseguenti sanzioni
economiche contro lo Stato d’Israele, almeno in occasione delle più gravi
violazioni delle norme base del diritto internazionale.
Sono invece arrivati solo moniti all’Iran a non
reagire ai proditori attacchi portati sul suo territorio dagli israeliani o
dalla loro quinta colonna da tempo attiva nel Paese shiita.
Il mondo islamico alla
finestra
In conclusione, non si può nemmeno tacere il fatto che all’anno zero della politica internazionale
contribuiscono in modo determinante proprio gli stessi Paesi islamici: quelli
che, secondo certi storici anglo-sassoni, rappresentavano il principale
avversario dell’Occidente nel XXI secolo.
I Paesi del Medio Oriente allargato si presentano oggi a questo
appuntamento con la storia del loro mondo divisi fra loro e arroccati nella
miope difesa dei loro più gretti interessi di natura politica ed economica: in
primo luogo i sempre più stretti legami con il mondo finanziario occidentale.
Ne risulta un sostanziale abbandono della “causa palestinese”. Si è così
instaurata una sorta di gioco delle parti, che si manifesta, nell’area sunnita,
con le inconcludenti mediazioni ai tavoli amministrati dagli Stati Uniti d’America; nell’ambito shiita, poi, con il
sempre più evidente timore dell’Iran che una sua seria reazione militare,
nonostante le plurime aggressioni subite, possa portare ad un massiccio
intervento occidentale, che potrebbe causare il rovesciamento del regime
degli ayatollah.
Ognuno quindi pensa di dover difendere il proprio orticello, del quale
la Palestina non è parte.
Un grave errore di prospettiva, a nostro avviso, perché il Medio Oriente,
per la sua posizione di crocevia, e per la sua importanza economica e
culturale, rappresenta da sempre un baricentro nell’evoluzione storica
dell’umanità intera.
Per questo noi tutti, oggi costretti ad assistere a questo tragico
spettacolo di pura sopraffazione, non possiamo far finta di non vedere e di non
sapere, e non possiamo nemmeno tacere.
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