domenica 1 settembre 2024

Giocare con il fuoco della guerra totale - Elena Basile

 

Nei pochi mesi che ci separano dalle elezioni americane nuovo sangue deve essere versato in Ucraina. Kamala Harris ha bisogno di rincuorare il suo elettorato bellicista con qualche vittoria tattica ucraina che tutti, strateghi militari e non, sappiamo bene non avranno influenza sulle sorti della guerra. Banali ragioni elettoralistiche da un lato, dall’altro la sofferenza, la perdita di vite, giovani che tornano senza arti dai campi di battaglia. Mi domando se la società civile è consapevole della cinica immoralità che governa la politica occidentale. Dopo due e mezzo di guerra e di perdite militari e civili, Mosca se anche lo volesse non potrebbe porre fine al conflitto se non avrà ricevuto garanzie almeno sui punti fondamentali: Ucraina demilitarizzata e neutrale, regioni russofone alla Russia o con garanzie concrete di autonomia regionale e linguistica. Non potrà accettare un cessate il fuoco temporaneo che permetta all’Ucraina di riorganizzarsi militarmente e economicamente per una nuova offensiva.

Trump si è esposto in numerose occasioni affermando di voler porre fine a una guerra che spreca miliardi e influisce negativamente sulla qualità di vita degli statunitensi. I guadagni ci sono eccome. Essi sono geo-politici e di potenza grazie al vassallaggio dell’Europa, economici per le oligarchie energetiche e delle armi, e in quanto con la destabilizzazione alla frontiera orientale dell’Europa e del Medio Oriente Washington mette barriere allo sviluppo economico delle potenze del surplus, Cina in primis, augurandosi, con una visione da struzzo, di ritardare l’erosione del predominio del dollaro. Trump non ha tuttavia gli interessi di Biden e del suo famigerato figlio in Ucraina, ha finanziatori che non coincidono con quelli del Partito democratico, difende il capitalismo del fossile e i perdenti della globalizzazione. Potrebbe quindi essere interessato a far rientrare i capitali per investimenti nel Paese. Il problema è comprendere se le agenzie di sicurezza e l’apparato militare industriale gli permetteranno come in Afghanistan un cambio di politica: la concessione della neutralità all’Ucraina, l’abbandono militare di Kiev negoziando in cambio una presenza economica e foriera di ritorni per Washington. Mosca potrebbe rinunciare alle conquiste territoriali per un’Ucraina neutrale, demilitarizzata e federale. Naturalmente questo implicherebbe una rinuncia occidentale a minacciare il “regime change” a Mosca e un impegno a far cadere le sanzioni.

Ancora oggi ho letto l’editoriale di un collega sulla “Stampa” che torna a sostenere l’esigenza di un impegno maggiore militare statunitense e europeo a vantaggio dell’Ucraina in quanto a suo avviso in questo modo Kiev perverrebbe alle negoziazioni da una posizione di forza. Purtroppo questa dichiarazione a me pare senza fondamento. La forza della Russia è oggettiva se paragonata a quella di un Paese fallito economicamente e tenuto in vita artificialmente dall’Occidente. Gli aiuti militari occidentali non possono capovolgere le sorti di sul campo militare a meno che la NATO non invii le sue truppe, non entri in campo con la sua aeronautica e non dia inizio a un’escalation che concretamente porterebbe, in caso di possibile sconfitta, la Russia a utilizzare l’arma nucleare tattica in Ucraina.

Le incursioni ucraine a Kursk, gli atti di terrorismo contro i civili russi non possono che scatenare reazioni a svantaggio di Kiev, bombardamenti su infrastrutture civili che comportano sofferenze per la popolazione. Mi dispiace che il mio collega non abbia l’onestà intellettuale per sottolineare che le reazioni di Mosca sono molto al di sotto delle sue capacità e che se Putin “considerato criminale di guerra dalla CPI” non avesse scrupoli potrebbe radere al suolo Kiev come è stato fatto in passato a Dresda. La retorica che l’aggredito può con l’aiuto dell’occidente colpire il territorio dell’aggressore e che non ci sia quindi differenza tra difesa e aggressione si basa purtroppo su un’impostazione molto parziale. L’espansionismo della NATO, che include quello che un tempo era il cuore della Russia, l’Ucraina, non costituisce un’aggressione come l’imminente spedizione ucraina nei territori russofoni secondo alcuni stimati colleghi. La difesa dell’aggredito militarmente sarebbe sempre giustificata, quindi Cina e Russia avrebbero dovuto inviare armi e pilotare con l’intelligence le operazioni di guerra in difesa di Afghanista, Irak, Libia. Se seguiamo questa logica gli scenari internazionali si trasformerebbero in una polveriera. Mi sorprende che diplomatici di esperienza possano utilizzare espressioni così superficiali, quasi slogan propagandistici che poco hanno a che vedere con l’analisi delle relazioni internazionali.

Come Zelenski anche Netanyahu, oltre a compiere una carneficina ed essere, lui sì, un criminale di guerra (Lancet 40.000 morti registrati negli ospedali, 200.000 stimati sotto le macerie e in decomposizione per strada), sta palesemente cercando di allargare il conflitto con una guerra all’Iran. Le ragioni di potere di Netanyahu sono alla base di conflitti che non hanno una ratio strategica. Anche in questo caso abbiamo da un lato l’opportunismo politico di personaggi immorali, dall’altro il sangue degli innocenti. Nella società civile europea nessuno sembra farci troppo caso, il nostro governo esprime sostegno e solidarietà a Israele mentre è in corso la campagna di Gaza. In modo farsesco Blinken, seguito dai vassalli e anche da Tajani, chiede tuttavia a Israele moderazione, e una risata amara non può non apparire sui volti dei cittadini che ancora conoscono l’empatia per le vittime.

Finora le continue provocazioni di Israele non hanno sortito gli effetti auspicati. L’escalation grazie alla saggezza de cosiddetti “stati canaglia” come l’Iran non si è verificata. Le diplomazie e i contatti tra servizi segreti sono riusciti a mantenere lo statu quo. Non credo Biden abbia bisogno prima delle elezioni di una altro fronte molto più grave in Medio Oriente. A novembre l’eventuale elezione di Trump potrà rimettere tutto in gioco nuovamente e un atto di forza brutale contro Teheran diverrà forse più probabile.

E’ anche vero che le oligarchie finanziarie cercano guerre locali a bassa intensità e cercano per quanto possibile di limitare il rischio nucleare. Eppure a Kursk e a Zaporigna la possibilità dell’incidente cresce, si scherza con il fuoco delle centrali nucleari. La netta responsabilità occidentale e ucraina non è tuttavia sottolineata.

L’Europa, prima vittima economica e geopolitica dei conflitti in corso, agnello sacrificale in caso di lancio di bombe nucleari tattiche, sembra inesistente. Le classi dominanti non conservano alcuna autonomia in nome degli interessi di popoli europei che divergono chiaramente da quelli americani. La Presidente della Commissione europea che un tempo incarnava lo spirito comunitario e sovrano dell’Unione, nelle dichiarazioni bellicistiche pro Kiev e pro Israele, sembra un agente dei DEM statunitensi.

La Germania, un tempo motore economico dell’UE, è in recessione. La sua industria è sotto attacco. L’attentato terroristico ai gasdotti perpetrato da fuoco amico è stato inghiottito a testa bassa dal cancelliere socialdemocratico.

In tutta Europa la libertà di stampa e di espressione è sotto attacco. I media stranieri sono aboliti, le manifestazioni pro Palestina sono considerate antisemite, l’analisi oggettiva dell’operato di organizzazioni militari e in grado di utilizzare metodi terroristi come Hamas o gli Hezbollah porta a querele e sanzioni. Il fondatore di Telegram, piattaforma informatica i cui contenuti non sono censurati e rimangono protetti dall’intervento statale, viene arrestato a Parigi. Il Presidente Macron afferma non trattarsi di un’operazione politica senza tuttavia poterlo dimostrare.

L’Europa quindi, sconfitta politicamente e economicamente, strozzata dai prezzi dell’energia statunitense e dagli obblighi di assistenza militare all’Ucraina, dopo aver accettato in un incremento al 2% del PIL delle spese militari, è ritornata alle politiche di austerità che il nuovo patto (a cui ha collaborato Gentiloni sotto la benevola sorveglianza di Dombrowski) impone. Austerità che colpisce lo Stato sociale, scuola, sanità, pensioni, i beni comuni come infrastrutture, trasporti, università, ricerca innovazione, non certo le grandi imprese delle armi e dell’energia. Economisti improvvisati, sui giornali più letti, tentano di convincerci che non ‘è differenza tra spesa produttiva e improduttiva. Meglio nel dubbio  tagliare la spesa tout court.

Eppure un decennio di austerità ha dimostrato che il debito avanza in mancanza di crescita, i tassi di interesse alti favoriscono rendite e creditori. La nostra esperienza ha anche dimostrato che si può fare debito utile in Europa, gli eurobond sono possibili se c’è la volontà politica. I fondi si trovano quando è necessario come gli aiuti a Kiev dimostrano. Non sono tuttavia considerati necessari lo stato sociale, l’occupazione, l’investimento per il futuro dei giovani. La qualità di vita delle classi lavoratici è una pura opzione di scarso interesse non soltanto per chi ci governa ma purtroppo anche per le impassibili società civili europee che, come agnelli al macello, accettano politiche europee suicide e senza alcuna razionalità strategica.

da qui

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