venerdì 30 novembre 2012

Tabucchi: Il mio tram attraverso il ‘900

Supponiamo che oggi abbia affittato un tram, di cui sono stato nominato guidatore, per fare un percorso attraverso la Letteratura del nostro secolo. In questo percorso farò delle fermate a mio piacimento, imbarcando solo i passeggeri che mi vanno a genio. Altre volte, spesso, tirerò diritto, senza curarmi di chi sta aspettando alla fermata. Riceverò improperi e maledizioni, me ne rendo conto, però la compagnia dei trasporti che mi ha consegnato il tram mi ha dato anche un berretto con una tesa di plastica che porta la dicitura “Scrittore”, e a questo punto, forte di questo privilegio, fingo di essere convinto che possa avere un certo interesse, per voi che siete i miei passeggeri, sapere come uno scrittore giudica il secolo in cui vive. Partenza Se io fossi uno scrittore come Georges Perec potrei tranquillamente esaurire il mio discorso con una lunga lista. Perec ha scritto effettivamente un bellissimo testo che è una semplice lista, si chiama J’aime, je n’aime pas (Mi piace, non mi piace), e in questa lista ha rivelato la sua estetica. Però, pensandoci bene, forse risulterebbe difficile liquidare il XX secolo con una lista a base di mi piace e non mi piace. Si tratta di un secolo troppo complesso che insieme piace e dispiace. È il secolo delle contraddizioni, dei contrasti, degli entusiasmi e delle disillusioni. È anche il secolo delle grandi utopie sociali e delle grandi ideologie umanitarie e allo stesso tempo è il secolo dei grandi disastri. 

I fermata: manifesto parigino 

Il XX secolo, per quanto riguarda la Letteratura, comincia con un manifesto, un manifesto che fu pubblicato nel 1909 su Le Figaro di Parigi, firmato da Filippo Tommaso Marinetti. Si tratta del manifesto del Futurismo. Potrei dire subito che è un manifesto che non mi piace, però preferisco fare altre osservazioni. La prima osservazione che si impone, a mio avviso, è che il Futurismo nasce come teoria, però dietro questa sua teoria si intravede in trasparenza il desiderio di imporsi come attività pratica, come effettivamente successe. Voglio dire che nel Futurismo si verifica un processo di estetizzazione che si riferisce ad ambiti che non appartengono all’arte ma che appartengono piuttosto alla vita, e per meglio dire alla vita di tutti i giorni: alla politica, alla moda e perfino alla cucina. Detto in breve: il Futurismo si conforma e si presenta non solo come un’ideologia onnicomprensiva, non solo come una forma di vedere il mondo, ma anche come una forma di viverlo. Vale a dire: per la prima volta un’avanguardia artistica realizza uno slittamento dalla teoria alla praxis e pretende di intervenire sulla realtà. Però, allo stesso tempo, e mi sembra un aspetto molto importante, il Futurismo si presenta come un’ideologia che non offre punti di divergenza con l’epoca in cui attua. Al contrario, realizza una celebrazione della civiltà industriale, magnifica gli aspetti della modernità e li dilata fino ad assumerli come nuovi miti. Fra i molti aspetti della realtà che il Futurismo mette in risalto in maniera da farli diventare nuovi miti, direi che la Macchina gode di uno statuto privilegiato: si potrebbe fare una piccola storia del XX secolo basata sull’approvazione della Macchina da parte di alcuni e sulla sua condanna da parte di altri. E questi altri sono coloro per i quali essa significa un nuovo e terribile Moloch sui cui altari si immola l’uomo contemporaneo e che vedono in questa Macchina un nuovo mostro. E vorrei citare per lo meno Italo Svevo, il Pirandello di Serafino Gubbio e il Kafka della Colonia penale, tenendo fuori una gran parte dell’Espressionismo tedesco.
 

II fermata: un altro manifesto 

Però non è stato il Futurismo l’unica avanguardia che si è imposta l’obiettivo di passare dalla teoria alla pratica, cioè di intervenire nel mondo sociale e nella vita. Abbiamo anche il Surrealismo. Certo, con ideologia diversa e con un segno politico diverso. Vorrei citare Edoardo Sanguineti, che ha affermato che il Surrealismo non solo tende a una estetizzazione del mondo, ma persino alla distruzione della categoria dell’estetica in nome di un cambio della relazione dell’uomo con se stesso, dell’uomo con il mondo, attraverso una prassi surrealista la cui ambizione è effettivamente essere rivoluzionaria. Però, se come dicevo prima, il progetto surrealista ha un segno diverso e politicamente differente dal Futurismo, in cambio è identica l’intenzione o l’illusione; vale a dire: passare dalla teoria alla pratica. Cioè abbandonare i confini dell’arte e della letteratura e intervenire nella vita. Ometto per essere breve altri movimenti di avanguardia che hanno segnato la prima metà di questo secolo e che come il Futurismo e il Surrealismo hanno avuto la pretesa di attuare nella praxis. Mi interessa soltanto mettere in risalto che il nostro secolo è nato con questa grande utopia delle avanguardie storiche: la convinzione di poter intervenire direttamente sulla realtà.
 

III fermata: Auschwitz 

Ebbene, a mio avviso questa utopia crollerà miseramente con un evento che determina un taglio storico e che mi sembra una linea divisoria alla metà del XX secolo: la Seconda guerra mondiale. La Seconda guerra mondiale cancella nelle avanguardie l’illusione dell’artista di poter intervenire nella realtà, uccide la grande utopia degli intellettuali e degli scrittori, allontana in maniera radicale l’idea che l’artista possegga non solo una incidenza sulla prassi, ma direi un ruolo e una legittimità propria. La domanda che sorge dopo la Seconda guerra mondiale è la seguente: è possibile scrivere ancora dopo Auschwitz? Tuttavia, ponendo a questo punto della mia conversazione una simile domanda, un simile interrogativo, rischierei di lasciare da parte tutta una letteratura che perfino nei momenti più drammatici del XX secolo si è espressa senza farsi domande e senza porsi il problema di intervenire sulla realtà, ma direi con il preciso intento di fornire una serie di testimonianze, di cronache, di descrizioni e di evocazioni: le grandi pagine degli scrittori isolati che hanno osservato i grandi avvenimenti del nostro secolo: Bulgakov, Malraux, Babel, Pasternak, Orwell. E direi che ponendomi questa domanda rischierei anche di lasciare da parte quella letteratura di testimonianza che alla domanda che ponevo prima, e che pone Adorno, “È possibile scrivere ancora dopo Auschwitz?”, ha optato giustamente di scrivere su Auschwitz. Mi riferisco soprattutto a un grande scrittore italiano, Primo Levi, e alla sua grande e dolorosa prova: guardare con occhi lucidi l’epoca in cui viviamo, testimoniare, usare la letteratura come memoria, una memoria che perduri ostinatamente, una memoria lunga che si opponga alla memoria breve dei mezzi di comunicazione di massa che caratterizzano l’epoca in cui viviamo...


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