martedì 20 novembre 2012

Not in my name

Passata la paura per le 24 ore, ma durerà poco, ci sono le elezioni e poi si concorderà con i sindacati che firmeranno i contratti (se ancora si firmeranno), sindacati che saranno sempre più la cinghia di trasmissione di tutte le nefandezze.
Si tenga presente che una (piccola) parte degli indignati della proposta delle 24 ore sono quelli che già ora ne fanno più di 18, ma in cambio di qualche soldo, come prevede il CCNL, (fino a 24 ore, che coincidenza, non serve un numerologo per notarla), firmato da qualche sindacato di cui non voglio ricordare il nome (direbbe Cervantes), e la loro paura (di quei colleghi) è quella di perdere quei pochi maledetti soldi.
Fatta la tara di questi, il nucleo più forte della protesta, voglio sperarlo, è quello di chi ritiene che le 18 ore di lavoro siano sufficienti e che fare ore eccedenti di lezione non è rubare ore (e soldi e vita) a degli sconosciuti anonimi, ma a dei lavoratori precari che incontriamo a scuola e di cui conosciamo la faccia e la fatica, professionale e umana.
A partire dai colleghi che sono oggi nei vari gruppi autoconvocati contro le 24 ore potrebbe partire una raccolta firme, con tutti i crismi della riconoscibilità, nome, professione, estremi di un documento, o magari solo la scuola di appartenenza, per segnalare ai sindacati che siederanno a firmare i contratti (che hanno efficacia verso tutti i lavoratori) una volontà generale che può essere sintetizzata così: "sono totalmente contrario alla firma di un CCNL che preveda più di 18 ore di lavoro di cattedra per gli insegnanti, neanche volontariamente".
Sarebbe una proposta semplice, senza se e senza ma, con il pregio della sintesi e della chiarezza, che non preclude a organizzazioni del lavoro e delle scuole diverse da quelle attuali.
E servirebbe a ricordare e ricordarci che non ci si salva privatamente, con ore in più (o col fondo d'istituto), ma solo insieme.


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