giovedì 22 novembre 2012

Il campione – David Storey

un gran libro, l'ho letto senza saperne niente prima ed è stata una bellissima sorpresa. 
so che Lindsay Anderson ne ha tratto un gran film, che vedrò a breve.
una cosa curiosa, quando lo leggevo vedevo una storia in bianco e nero, senza colori, triste.
lo si legga, nessuno se ne pentirà, promesso - franz




Il campo da gioco li trasforma ogni sabato in eroi, ma durante il resto della settimana sono individui come gli altri, costretti a guadagnarsi un modesto salario in miniera o in fabbrica. David Storey racconta i sogni e le ambizioni di un gruppo di rugbisti in una cittadina dello Yorkshire in Il campione, romanzo del 1960 poi diventato film per la regia di Lindsay Anderson. Il taglio della storia è quello tipico della letteratura degli "arrabbiati" che furoreggiava nel Regno Unito del l'epoca, con l'analisi del quotidiano di una working class spesso violenta, decisa a far leva su anarchici furori per riscattarsi da un destino gramo e dalla routine di un lavoro frustrante.La voce narrante appartiene a Arthur Machin, erculeo metalmeccanico che ottiene un ingaggio dal team locale e si convince così di essere un semidio al quale tutto è permesso, anche di imporre un legame sentimentale alla vedova che gli ha offerto in affitto una stanza, portandola alla disperazione. Al suo fianco ci sono i compagni di squadra altrettanto certi che l'entusiasmo mostrato dal pubblico nei loro confronti durante le gare li autorizzi a spacconate da bulli nei pub o ai danni di ragazze ingenue e a caccia di mariti. L'alcool scorre a fiumi in questo libro dove lo sport diventa il pretesto per scatenare un'istintiva violenza: nei match di cui dà conto Storey la tecnica conta assai poco, mentre assume un'importanza sempre maggiore con il trascorrere degli anni la forza dei pugni…

Con Lindsay Anderson successe una cosa strana. Non ci incontravamo da un po’ e lui mi telefonò per dirmi che c’era qualcosa di urgente. Lui e David Storey stavano lavorando alla sceneggiatura di Io sono un campione da un anno ed erano stufi. Ero disposta a leggere il romanzo e a dire cosa ne pensavo? Lo lessi durante la notte e la mattina telefonai per dire che ne ero entusiasta.
«Doris Lessing
da qui


…Protagonista è Arthur Machin, un ragazzo che nasce ragazzo e che, nel tempo e nello spazio racchiuso fra le copertine del testo, prova a maturare, a diventare uomo attraverso il gioco vicendevole della vita e della morte, attraverso la vita in fabbrica e la valvola di sfogo (ed arricchimento) del rugby. Machin è tronfio, smargiasso, pieno di sé. È uno sbruffone assunto a cottimo presso la nascente società dei consumi, amante degli altri soltanto attraverso lo specchio di sé stesso. Con lui non si empatizza. Lo si odia per lunghi tratti della storia. In lui sembra di scorgere il pródromos degli eroi di plastica contemporanei, circondati da compagne in silicone. E Storey non fa nulla per farlo amare. Sporca i suoi già marcati difetti, acuisce i limiti e le mancanze, tratteggia un animale solitario. Una sorta di cavaliere nero o sceriffo del west senza morale né giustizia se non quella del proprio ego.
Sarà un tiepido ma complicato amore con la sua padrona di casa a scuoterlo dal torpore emotivo, a dirigere i passi esperienziali verso mete nuove, schiudendo un nuovo orizzonte di fronte alla rotta monocorde della sua vita. Una giornata di sole ma anche di tanta pioggia che condurrà ad un veloce tramonto. Già perché di fronte a Arthur e Val si staglieranno boria, diffidenza, malattia, morte. Due frugoletti, figli del matrimonio concluso di lei (vedova di un operaio), vagamente alienati e dai tratti inquietanti, come un invalicabile ostacolo della memoria che non si spezza mai, della natura che impera, domina, trionfa.
Sospeso fra il più classico dei Dickens e l’Orwell de “La strada di Wiegan Pier”, Storey monta un copione lercio, sporco, duro, ricco di pathos. Nello squallore inquinato dei bassi inglesi, case come “conigliere inchiodate insieme da gran puntelli di comignoli”, le pagine emanano tanfo di grasso, smog, fumo, alcol, sudore. Un olezzo si incolla indosso anche senza volerlo, coinvolgendo ed abituando.

"Il campione" di Storey è tornato in libreria grazie ad una lungimirante casa editrice italiana dal nome misterioso o quasi, 66thand2nd, e grazie alla nuova traduzione di Guido ed Irene Bulla. Un libro da leggere assolutamente. E' la storia dell'irruento Arthur Machin, ingaggiato dalla squadra di rugby di Primestone: un operaio che diventa l'idolo dei tifosi e prova a riscattare un'esistenza frustrata ed anonima conquistando l'affetto della signora Hammand, vedova e sua padrona di casa. Il libro aprì le porte al giovane Storey, diventato romanziere, poeta, drammaturgo e sceneggiatore di straordinario successo. Figlio di un minatore, giocava a rugby e somigliava a Parisse. Ma giovanissimo lasciò tutto per una borsa di studio a Londra alla Slade School of Fine Art. Lo hanno soprannominato il 'Cechov del Nord', è stato l'esponente di punta di quel manipolo di scrittori realisti inglesi ribattezzati i Giovani Arrabbiati…

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