mercoledì 10 settembre 2014

La bellezza nonostante – Fabio Geda

il titolo dice tutto, lo capisci dopo.
e, come dice De Andrè, dal letame nascono i fior.
un maestro va a insegnare, in un carcere minorile, fra gli ultimi degli ultimi, spaventato, all'inizio.
poi impara tutti i giorni a conoscere quei figli degli uomini e a insegnare loro e imparare da loro, e si sente di fare un lavoro utile. 
e grazie a Fabio Geda che racconta storie così - franz








…A metà fra racconto, romanzo breve, saggio, monologo teatrale, La bellezza nonostante rivolta il lenzuolo della coscienza senza giudizi né tentazioni di redenzione. I suoi tipi umani, le storie di vita all'apparenza marginali, insegnano però che bello e brutto, speranza e disperazione, forza e debolezza, sono categorie essenzialmente mutevoli, provvisorie, inafferrabili.
La bellezza si annida da qualche parte nel penitenziario della Montagnola e il maestro si assume il compito di scovarla. Nel suo monologo è la formazione della coscienza sociale di un educatorenon ancora arreso alla serializzazione neutrale di una professione. Un ruolo da confermare anno per anno perché il terreno è friabile, sia dal lato individuale sia da quello istituzionale: le classi sono un mosaico che si sfalda e si ricompone senza sosta, e la ricompensa è da ricercare nelle briciole dei piccoli gesti che parlano di un lavoro svolto soprattutto, e nonostante tutto, con amore. A questi ragazzi, che sono oggi soprattutto stranieri, il maestro offre la chiave per ottenere una chanche oltre la siepe: la lingua italiana.
Il progetto ha anche uno sviluppo più ampio, visivo e multimediale. Il libro è corredato da una serie difotografie realizzate dagli studenti dello Ied di Torino, e dall'audio-documentario Per voce sola, girato da Matteo Bellizzi e scaricabile dal sito di Inaudita digitando un codice che si trova nel volume. Un racconto corale fatto di tanti frammenti di vita che si stagliano, come dice l'autore, sul "rumore bianco" del carcere.

Geda ci racconta, con una partecipazione quasi autobiografica (si scopre invece nella nota al testo che il libro è frutto delle esperienze di due maestri conosciuti dall’autore al Salone del libro di Torino), la storia di un universitario in crisi che decide quasi per gioco di iscriversi al concorso per diventare maestro. Siamo nella Padova del 1982, del rapimento di Dozier da parte delle Brigate Rosse e del lento, problematico riflusso nel privato, e il nostro protagonista, superato l’esame di Stato, sceglie per comodità di lavorare nel comprensorio didattico più vicino a casa. Al giovane insegnante viene però proposto di svolgere il primo incarico alla Montagnola, il carcere minorile di Padova. Dapprima assai titubante, il maestro è infine convinto dall’entusiasmo del collega Gianni, che con poche parole gli esprime l’importanza che la scuola assume nel carcere minorile: “Semplicemente, in carcere la scuola è tutto”. Così comincia l’avventura quotidiana di un uomo che sviluppa una passione speciale per il suo lavoro, e ritrae la realtà del carcere minorile in una specie di fotografia in movimento lunga trent’anni. Dai primi anni Ottanta, in cui era popolato soprattutto da immigrati del Sud Italia, al giorno d’oggi, in cui, svuotato di ragazzi italiani (che, dopo la riforma del codice di procedura del 1989, vengono seguiti soprattutto dalle comunità), vi si trovano praticamente soltanto extracomunitari, il carcere minorile è in effetti cambiato parecchio. E anche la professione del maestro carcerario si è evoluta: il protagonista stesso racconta ad esempio di essersi battuto per l’introduzione in carcere dei primi computer, che consentivano ai ragazzi di scrivere con il correttore automatico ed evitare dunque l’imbarazzo per gli errori di ortografia. 
È soprattutto nella consapevolezza di svolgere una “didattica istantanea” (“Devi cogliere l’attimo. Oggi ci sono – domani? Oggi è arrivato un rinnovo della pena, domani, forse, una scarcerazione”) che va colto il senso della difficile professione del maestro carcerario, una professione le cui fatiche sono però ripagate fino all’ultimo dal rapporto speciale che si crea con i ragazzi. E l’amore del maestro per il proprio lavoro si nota soprattutto quando il protagonista racconta che ogni anno bisogna compilare un modulo e fare domanda formale per essere assegnati alla Montagnola: una scelta consapevole, una vera missione…

Il libro di Geda è attualissimo nell'affrontare una questione tanto forte. E' competente, visto l'impegno dell'autore nel sociale e la conoscenza diretta che ha dell'argomento. E' un prezioso documento a favore dell'istruzione in carcere, in periodi di tagli al sociale e alla tentazione, sempre presente, di dimenticarci che oltre le mura del recinto esiste una umanità scomoda, ma alla quale siamo debitori, noi civiltà avanzata, di almeno una seconda occasione…
da qui

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