Tutta l'infelicità dell'uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo
(Blaise Pascal)
E allora diventa un libro necessario, se come informa l’autore, il settore economico del turismo è quello più in salute dell’intera economia, cresce con percentuali spesso a due cifre, ma il suo peso non viene percepito appieno.
Del settore economico turismo si parla poco, le unità produttive sono spesso di dimensione medio-piccola, i lavoratori non hanno voce.
Esiste anche un altro problema, gli spazi dove poter fare turismo in relativa sicurezza stanno diminuendo di anno in anno, già oggi gli stati dove poter andare diminuiscono anno dopo anno, per esempio la Siria, lo Yemen, e chi più ne ha ne metta.
Se il turismo avesse un peso politico pari al suo peso economico le guerre sparirebbero, chi lavora nel settore del turismo dovrebbe essere l’essere umano più pacifista del mondo, almeno così sembra. E poi scopri che i turisti crescono sempre più, cambiano le destinazioni, il nord Africa è troppo rischioso, il sud Europa ne gode.
E ci sono tanti tipi di turismo, così diversi gli uni dagli altri, in apparenza. C’è , il turismo sportivo e quello delle crociere, il turismo d’affari e il turismo religioso, il turismo sessuale e il turismo medico, tutti convivono, chi sta sull'aereo non ha un’etichetta in fronte, può appartenere a qualsiasi categoria.
Una cosa hanno in comune, consumano energia, producono inquinamento, quanti viaggi aerei si fanno per loro, quanto mare inquinano, quanti navi e aerei vengono costruiti “a causa” del turismo?
Che il turismo non abbia esaurito la sua spinta propulsiva, per sé e per l’economia tutta, sembra indubitabile, sembra.
I turisti sono i clienti, i luoghi turistici si fanno la concorrenza per attirare i clienti, da qualche anno si parla di marketing territoriale, si creano delle organismi che sono piccole macchine da guerra per catturare i flussi dei turisti.
Si inventano le tradizioni, qualche manifestazione creata due decenni fa sembra provenire dal medioevo, o dalla notte dei tempi, anche questo è marketing, dare al cliente quello che vuole, o meglio offrirgli quelle che lui ancora non sa di volere, e, ciliegina sulla torta, fargli credere che sia una sua scoperta.
E si inventa anche l’autenticità, con copie che valgono l’originale, a volte mai esistito.
Marco d'Eramo analizza poi gli effetti di essere nominati Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco, simili a quelli dell’imbalsamazione, che, come si sa, si fa coi morti.
Capita che i luoghi che catturano i turisti cambino, muore l’anima popolare, che era qualcosa di vivo, i luoghi acquistano un’anima turistica, più vicina a quella degli zombies.
Quello che dice Fabrizio de André a proposito della musica : “La musica folcloristica è quella che fa il popolo per far divertire le classi sociali più elevate mentre la musica etnica è quella che fa il popolo per se stesso” (da qui) si può estendere al turismo, senza dubbio.
Marco d'Eramo non trascura il cibo, i turisti mangiano, e quando tornano frequentano i ristoranti, l’offerta è ricchissima, e come dimenticare le migliaia di sagre basate sul cibo?
Anche quello è turismo, enogastronomico.
Molto interessanti le pagine che lo scrittore dedica all’alienazione, dove tutti non sono se stessi, ma recitano una parte. Tra l’altro ci sono i due casi di chi sempre comanda e anche da turista continua a comandare, e poi la condizione degli altri, quelli che nella vita sono servitori obbedienti e si trovano davanti dei servitori che aspettano le loro volontà, anche questa è alienazione.
Marco d'Eramo cita spesso un gran libro, I limiti sociali allo sviluppo, di Fred Hirsch, che per il turismo si traduce nell’eterno problema delle classi di viaggiatori, pochi possono permettersi la prima classe, e se tutti l’ottenessero varrebbe molto meno, il suo valore sociale permane solo se esiste la seconda e la terza classe, per tacere delle altre.
Il futuro forse è già oggi, i turisti di seconda e terza classe vanno nei villaggi turistici a Sharm El Sheik, protetti da soldati e guardie varie, come se fossero in uno zoo.
E il migrante incrocia il turista, e poi il turismo come lo conosciamo, finirà, ipotizza Marco d’Eramo.
Chi pensava 10 anni fa che il cinema potesse vivere senza le sale cinematografiche? Adesso pare che le cose si evolvano in questa direzione, il cinema si vede sempre più a casa, senza uscire di casa, fare file, vedendo i film appena usciti, in maniera legale.
Chissà se un giorno non lontano i viaggi si potranno fare da casa e in casa, vedere musei da casa, mangiando nel ristorante etnico sotto casa (o facendosi consegnare il cibo a casa), non ci saranno file, documenti, caldo o freddo, rischi, soprattutto.
Il tempo ci dirà tante cose.
La bibliografia e l’indice sono ricchissimi, parlare del turismo è parlare del mondo, economia, filosofia, cinema, antropologia, etnologia, politica, letteratura, nessuna disciplina è esclusa, tutto serve per capire meglio.
Buona lettura.
Il turismo pervade e penetra a tal punto la nostra vita di tutti i giorni che nei suoi confronti siamo afflitti da una tripla cecità, sembra dirci Marco d’Eramo nel suo libro “Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo” (Feltrinelli, pp. 254, €22,00). Innanzitutto l’ubiquità del turismo è tale che non ne cogliamo più la dimensione colossale. Le statistiche citate da d’Eramo sono impressionanti: nel mondo il turismo dà lavoro a 277 milioni di persone, in Spagna genera il 15% del prodotto interno lordo (in Italia il 10%), e nel 2015 si contavano 1,5 miliardi di turisti internazionali, cui andavano aggiunti i turisti nazionali, domestici, che sono molti di più. Ma oltre all’effetto diretto, bisogna mettere in conto l’a-monte e l’a-valle: quanti aerei in meno si fabbricherebbero a quante navi da crociera in meno si varerebbero senza turismo? “Il turismo alimenta poi una bella fetta di industria automobilistica, di edilizia (residenze secondarie, alberghi, villaggi turistici) e d costruzione stradale e autostradale (quindi, via via, di cementifici, di siderurgia, di industria metallurgica)”. Perciò, continua a ripeterci d’Eramo, il turismo è la più importante industria del tempo e del mondo, dove l’accento va posto sulla parola industria.,..
Viviamo (e chissà se ce ne siamo davvero accorti) nell’età del turismo. È la più importante industria del nostro tempo, ed è la più inquinante: produce CO2 e consuma territorio. Alimenta un indotto gigantesco: c’è la produzione di aerei, navi, treni e auto e pullman, che senza turismo subirebbe una forte flessione.
C’è la costruzione di strade e aeroporti. Di alberghi, villaggi e seconde case e campi da golf e piscine. C’è la fabbricazione di arredi e suppellettili e biancheria per alberghi e seconde case. E c’è la produzione di souvenir e di skilift, di sci, scarponi e costumi da bagno, di ciabatte e zaini e valigie e cappellini e creme solari… poi, c’è tutta l’editoria dedicata, su carta e in rete. Ci sono Google Maps e Tripadvisor.
C’è la costruzione di strade e aeroporti. Di alberghi, villaggi e seconde case e campi da golf e piscine. C’è la fabbricazione di arredi e suppellettili e biancheria per alberghi e seconde case. E c’è la produzione di souvenir e di skilift, di sci, scarponi e costumi da bagno, di ciabatte e zaini e valigie e cappellini e creme solari… poi, c’è tutta l’editoria dedicata, su carta e in rete. Ci sono Google Maps e Tripadvisor.
IL 10 PER CENTO DEL PIL MONDIALE. Senza calcolare l’incalcolabile indotto, il turismo internazionale vale 1522 miliardi di dollari (Wto – Organizzazione Mondiale del commercio, 2015). Il turismo locale vale molto di più: 7600 miliardi di dollari nel 2014, il 10 per cento del pil mondiale…
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