“Gaza sta morendo nel silenzio
complice della comunità internazionale. Oltre 1.800 milioni di persone, il 56%
minorenni, sopravvivono in una immensa prigione a cielo aperto, completamente
isolata dal mondo. È una condizione disumana che nulla ha a che vedere con il
diritto alla difesa invocato e praticato da Israele per giustificare un embargo
che dura ormai da oltre dieci anni. Le punizioni collettive sono contrarie al
diritto internazionale e alla stessa Convenzione di Ginevra. Faccio appello
alle Nazioni Unite perché intervengano per porre fine all’embargo. Solo così
Gaza potrà tornare a vivere e i suoi giovani a immaginare un futuro”. A
parlare, in questa intervista esclusiva rilasciata all’Huffington Post, è
Mairead Corrigan Maguire, Premio Nobel per la Pace nordirlandese, presidente
della Nobel Women’s Iniziative, l’organizzazione composta dalle done che hanno
ricevuto questo prestigioso riconoscimento. “Negli occhi dei bambini di Gaza –
dice Maguire all’HP – ho visto dolore, smarrimento, paura. In tanti hanno
conosciuto solo guerra, morte, distruzione. A questi bambini è stata rubata
l’infanzia e a molti di loro la vita stessa. In questo contesto, come si può
pensare di predicare il dialogo e scegliere la pace?”.
Le Ong che operano ancora a Gaza
hanno lanciato un appello disperato: a Gaza manca tutto, l’elettricità, i
medicinali, con l’arrivo dell’estate si fa sempre più immanente il rischio di
epidemie di tifo…
“È una situazione disperata,
prodotta in massima parte dall’embargo imposto da Israele e che dura ormai da
oltre dieci anni. Dieci anni d’inferno, di guerre, di distruzione. Israele ha
il diritto a difendersi, ma ciò che sta subendo la popolazione civile della
Striscia Diga va ben al di là di un eccesso di legittima difesa. Siamo di
fronte a punizioni collettive che vengono inflitte indistintamente a civili e
miliziani, e che colpiscono soprattutto i più deboli: i bambini, gli anziani, i
malati. A Gaza è razionata l’elettricità, le fogne sono a cielo aperto, negli
ospedali comincia a scarseggiare il plasma e per i più piccoli il latte in
polvere. Questo non è diritto di difesa, questo è un crimine contro cui ogni
coscienza libera dovrebbe ribellarsi in nome dell’umanesimo che è un valore che
appartiene a tutti e che tutti dovrebbero praticare, come più volte ha ripetuto
Papa Francesco”.
Israele imputa ad Hamas la
responsabilità di questa situazione.
“Sono da sempre fautrice della
disobbedienza civile e della resistenza non violenta. Ho vissuto gli anni
terribili della guerra in Ulster e la mia famiglia ha pagato un prezzo
pesantissimo in quel conflitto. Ho imparato allora la potenza del dialogo,
dell’unirsi per chiedere pace, perché l’altro da sé non venisse visto come un
nemico ma come qualcuno con cui incontrarsi a metà strada. Ma Israele sta
abusando della sua forza, e nel farlo commette un grave errore…”.
Quale?
“Quello di illudersi che la pace e
la sicurezza possano essere garantite e preservata dalla forza militare. Non è
così. La pace, per essere davvero tale, deve coniugarsi con la giustizia. Senza
giustizia non c’è pace. E non c’è pace quando un popolo è sotto occupazione,
quando viene derubato della sua terra o segregato in villaggi-prigione. Quello
palestinese è un popolo giovane, e intere generazioni sono nate e cresciuto
sotto occupazione, passando da un conflitto all’altro, senza speranza, con la
sola rabbia come compagna. E dove c’è rabbia, dove la quotidianità è
sofferenza, è impossibile che cresca la speranza”.
Lei ha visitato più volte Gaza e
altre volte è stata respinta da Israele. Come ci si sente nei panni di “nemica
d’Israele”?
“Quei “panni”, per usare la sua
metafora, io non li ho mai indossati. Ho imparato sulla mia pelle cosa
significhi discriminazione e odio. Io mi sento amica d’Israele e un amico vero
è quello che prova a convincerti che stai sbagliando, che proseguendo su una
certa strada finirai male. E’ questo che provo a dire agli israeliani:
riconoscere il diritto dei palestinesi a uno Stato indipendente, al fianco del
vostro Stato, porre fine all’embargo a Gaza e alle inumane punizioni
collettive, è fare onore a voi stessi, alla vostra storia. È investire su un
futuro di pace che non potrà mai essere realizzato con le armi. Lo ripeto: non
si può spacciare l’oppressione come difesa. Questo è immorale. La
colonizzazione non favorisce la pace, ma alimenta l’ingiustizia. Da tempo nei
Territori vige un sistema di apartheid e denunciarlo non significa essere
“nemica d’Israele” e tanto meno anti semita. Significa guardare in faccia la
realtà”.
La questione palestinese sembra
essere uscita dall’agenda dei leader mondiali, concentrati sulla lotta al
terrorismo dell’Isis.
“È terribile il solo pensare che per
“far notizia” si debba usare l’arma del terrore. E’ una cosa terribile, contro
cui continuerò a battermi in ogni dove. La violenza è un vicolo cieco, un
cammino insanguinato. Ma cinque milioni di palestinesi non sono diventati tutto
ad un tratto dei “fantasmi”. Non si sono volatilizzati. Continuano a vivere
sotto occupazione e sotto un’apparente “tranquillità” cresce la rabbia, la
frustrazione, sentimenti sui quali possono far presa gruppi estremisti. Per
questo occorre rilanciare il dialogo dal basso, favorire le azioni non
violente, la disobbedienza civile, e in questa pratica unire palestinesi e
israeliani, musulmani, cristiani, ebrei, come riuscimmo a fare noi in Irlanda
del Nord, marciando insieme cattolici e protestanti. E poi c’è la diplomazia,
la politica, che è fatta anche di atti simbolici che possono avere in
prospettiva un grande peso”.
Un atto del genere quale potrebbe
essere a suo avviso?
“Il riconoscimento dello Stato di
Palestina. Un atto politicamente forte, che faccia rivivere l’idea di una pace
fondata sul principio “due popoli, due Stati”. Sarebbe un bel segnale se fosse
l’Europa, come Unione e non solo come singoli Paesi membri, a rilanciare questa
prospettiva. In nome di una pace nella giustizia. La pace vera. Un mondo senza
guerra e violenza è possibile”.
C’è chi per quest’ultima
affermazione le darebbe dell'”utopista”.
“Senza utopia il mondo sarebbe
ancora peggiore di quello che è. Senza le “utopiste” le donne avrebbero atteso
chissà quanto altro tempo prima di conquistare il diritto di voto nella
“civile” Europa…Ma quando parlo, in giro per il mondo, di solidarietà verso i più
deboli, quando sostengo che può esistere un mondo senza guerra e violenza,
ecco, in quel mondo non mi sento un’utopista ma una realista. La guerra non è
mai la soluzione, la guerra è il problema. Questo vale per la Palestina come
per la martoriata Siria, dove un popolo intero è ostaggio di una guerra imposta
da potenze regionali che hanno favorito, non per il bene dei siriani ma per i
propri interessi, la crescita del terrorismo sanguinario dell’Isis. Non saranno
le bombe che daranno pace al popolo siriano, che ha diritto di scegliere
liberamente chi dovrà guidarli, senza imposizioni esterne”.
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