Mohsin Hamid è un autore di frontiera. E non solo perché si è occupato
quasi sempre delle trasformazioni psicologiche, culturali ed economiche dei
suoi protagonisti sempre al limite di qualcosa. E’ la scrittura stessa di
questo quarantacinquenne anglo-pakistano reso celebre dal bestseller “Il
fondamentalista riluttante” ad allungarsi lungo un limite immaginario, pronta a
sconfinare di qua o di là da una pagina all’altra esattamente come i personaggi
che racconta. Il suo ultimo libro, “Exit West” (Einaudi), ci porta tutti lì,
concretamente, dolorosamente, spettatori in bilico sulla soglia tra il passato
e il futuro insieme a Nadia e Saeed che fuggono da un generico conflitto
lacerante in cui è facile riconoscere la martoriata Siria.
Cominciamo dal titolo: Exit West, “uscita occidente”, indica una via di
fuga ideale o davvero praticabile nell’Europa contemporanea?
«I due protagonisti della mia storia vogliono scappare dalla guerra e, come
molti profughi, cercano la strada verso l’occidente. E’ stato così per secoli e
secoli, lo hanno fatto gli italiani, i pachistani, tutti quelli che cercavano
un futuro migliore si sono spostati verso l’occidente, l’idea d’occidente,
l’America, il Canada. Il senso del libro però è anche cercare di capire cosa
accade quando i migranti arrivano in occidente, magari l’occidente non c’è, magari
è una proiezione. Cos’è davvero quello che chiamiamo occidente? La risposta non
ce l’ho ma è una chiave di lettura».
Nadia e Saeed cercano la fuga attraverso delle porte un po’ magiche che li
trasportano dall’inferno alla Grecia, a Londra, al futuro e che rappresentano
il confine, un no luogo quasi rituale. Il confine oggi però, non assomiglia più
a un muro che a una porta?
«Non ne sono sicuro. L’uomo cerca di costruire muri ma non è detto che
funzionino. Anzi. La Grande Muraglia non ha impedito il movimento dei cinesi. I
confini sono effettivamente delle porte e lo sono forse ancora di più nell’era
delle nuove tecnologie in cui è possibile vedere cosa c’è al di là. Onestamente
credo che i prossimi 200 anni saranno uguali ai 200 che li hanno preceduti,
decenni di gente in movimento. Nel 1800 non esistevano né San Francisco né Los
Angeles né la costa occidentale americana con il suo caratteristico melting pot
di idee, persone, culture. Nel 2200 da qualche parte nel mondo ci sarà una
nuova California e l’avranno costruita i miliardi di persone che sono in
movimento oggi. Ci concentriamo troppo sul presente e non guardiamo mai più
lontano: le migrazioni non si possono fermare, sono direttamente legate
all’intima convinzione umana che in realtà non ci siano vere differenze tra
essere maschi, femmine, omosessuali, cristiani, musulmani, somali o italiani.
Alla lunga i muri si riveleranno porte».
Vuol dire che andiamo verso la “californizzazione” del mondo, la
quintessensa di quella globalizzazione data invece spesso per spacciata?
«Direi piuttosto che si va verso l’ibridazione del mondo, un fenomeno tutto
sommato naturale, già verificatosi. Il rinascimento è un brand europeo ma le
sue origini affondano nel movimento e la contaminazione di greci, arabi, cinesi,
indiani».
Nadia e Saeed scappano da un paese che immaginiamo essere la Siria. Ma nel
libro
non viene mai nominato, non ci sono riferimenti locali o temporali, non c’è
contesto storico. Siamo tutti un po’ Nadia e Saeed?
«Si e non solo da un punto di vista simbolico. Nadia e Saeed hanno paura
della guerra e scappano. Ma la paura di qualcosa che si immagina essere
l’Apocalisse è la cifra di tutte le grandi città, per New Orleans è la paura
dell’uragano, per New York quella di una dittatura fascista imminente, per Roma
o Milano è la crisi del debito sul modello greco e per Londra l’invasione di
pakistani o polacchi. La paura ci è familiare e non è difficile immedesimarmi
emotivamente in Nadia e Saeed».
La paura che la fa da padrone oggi è quella dei migranti. Perché oggi
abbiamo tanto paura degli stranieri? C’è un’emergenza vera? Viviamo una
profonda crisi d’identità? Siamo all’epilogo delle umani sorti e progressive
promesse dalla globalizzazione?
«La gente è arrabbiata, molto. Al di là di mille teorie ci sono due fatti
certi: le diseguaglianze sono in aumento e le nuove tecnologie permettono di
vedere cosa accade intorno a noi. La crescita dell’immigrazione è la
conseguenza e non la causa del problema all’origine della paura diffusa. La fine
del comunismo ha lasciato il capitalismo orfano dello spauracchio che lo
obbligava ad essere inclusivo: oggi il capitalismo si è trasformato, è
diventato fondamentalista, ci ha ridotto a meri consumatori laddove l’essenza
della dignità umana è essere produttori. Siamo consumatori di beni e di idee in
occidente come in oriente, la crisi d’identità da questo punto di vista è
globale. Lungi dal me credere che il comunismo fosse una soluzione ma
costringeva il capitalismo a lavorare meglio».
Il suo libro più famoso racconta i tormenti interiori di un uomo qualsiasi
che tra frustrazione e risentimento si trasforma in un fondamentalista, un
fondamentalista riluttante. E’ possibile che la rabbia della classe media
marginalizzata produca sul lungo periodo tanti populisti-razzisti
riluttanti?
«E’ possibile. Ma è possibile anche che il populismo svolga la stessa
funzione svolta nel secolo scorso dal comunismo e mettendo paura al capitalismo
lo forzi ad essere migliore. Siamo ad un bivio: se le diseguaglianze dovessero
crescere ancora i populismi potrebbero prendere davvero il sopravvento e
scardinare la democrazia ma se, come avviene già in molti paesi, si faranno
sentire i giovani, quelli che hanno votato contro Trump in America e contro la
Brexit in Gran Bretagna, allora le cose andranno diversamente. L’identikit del
populista-razzista riluttante è un uomo bianco, di mezza età, uno che da
ragazzo era di sinistra e invecchiando si è inaridito masticando risentimento.
Il problema vero purtroppo ce l’ha l’Europa, che sta invecchiando a vista
d’occhio. Ma anche sull’Europa sono ottimista, perché questi “arrabbiati” di
mezza età non sono per definizione dei rivoluzionari, fosse anche solo la
pensione hanno comunque qualcosa da perdere, votano per la Le Pen ma poi alla
fine temono il cambiamento. Le rivoluzioni le fanno i giovani e i giovani sono
quelli a cui conviene il movimento attraverso confini-porte».
Exit West ricorda un po’ i grandi romanzi del realismo magico, tutto vero
ma sospeso come gli uomini volanti di Chagall. Crede che si presti meglio a
raccontare una materia piena di tabù e contraddizioni come
l’immigrazione?
«Può darsi. Ma sono convinto che la realtà sia molto più complicata del
realismo. “Il fondamentalismo riluttante” era un racconto realista anche se non
è reale che un pakistano e un americano parlino per ore e ore. “Exit West” è
una storia quasi realista ma a renderla davvero tale è soprattutto il suo
elemento magico, le porte, l’emotività».
Vive tra gli Stati Uniti, il Pakistan e la Gran Bretagna: cosa succederà in
questi tre Paesi nei prossimi anni? Vale a dire, cosa dobbiamo aspettarci da
Trump, dalla Brexit e dalla minaccia destabilizzante del terrorismo islamista?
«Sono ottimista. Non so cosa farà Trump ma confido nel fatto che, come
spesso avviene con le tragedie, si rivelerà utile per risvegliare l’America
migliore. La Brexit passerà, nel senso che la Gran Bretagna rimpiangerà questa
scelta scellerata e nel corso di tre o quattro generazioni troverà il modo di
tornare indietro. Il Pakistan è in cammino, vivo a Lahore e vedo la città
cambiare in meglio sotto i miei occhi, ci sono parchi, cinema, librerie,
giovani vivaci, c’è un dinamismo di cui vorrei fossero consapevoli gli italiani
che non trovano lavoro nel loro paese e sarebbero benvenuti qui. Certo ci sono
i problemi politici, il fondamentalismo, i talebani, il terrorismo, ma le città
resistono. E le città, in tutto il mondo, sono la roccaforte del cosmopolitismo
liberale, rappresentano l’idea della mescolanza, il passaggio, la porta. C’è
speranza: oltre metà della popolazione mondiale abita già nel città e la strada
è segnata».
Quando ho bisogno di parole non scontate sul mondo, vengo a leggere il tuo blog. Quest'intervista a Mohsin Hamid, in occasione dell'uscita del suo libro "Exit West", è un vero gioiello. Grazie.
RispondiEliminaMohsin Hamid è uno in gamba, inizierò a leggere i suoi libri.
Eliminae grazie per le visite, metto solo quello che vorrei leggere :)