lunedì 5 giugno 2017

La storia della rivolta di Pratobello - Alessandro Frau



1.
“Ma tu la conosci la storia di Pratobello?”
“No. Dovrei?”
“Fammi una cortesia. Appena arrivi a casa accendi il computer e cercala. Se ti interessa il tema della non violenza non rimarrai deluso. È una storia di Balentia. Valore e coraggio. Di orgoglio. E non parla solo di Sardegna”.
“Mi hai messo la pulce nell’orecchio. Ma è una storia recente?”
“No. Ma dammi retta. Cercala. Poi mi dirai”
“Va bene. Già mi piace”.
Pratobello. È un nome un po’ lirico. Il primo pensiero è che sarebbe perfetto per uno slogan pubblicitario. Abbandonando Sinnai, e la casa di mio zio, interrogo la memoria. Pratobello. Lo ripeto più volte, lungo la strada che costeggia il Poetto, verso Cagliari. Scandisco le sillabe, semaforo dopo semaforo, a voce alta. Come un mantra. Pra-to-bel-lo. No, non mi viene in mente niente. Mi sforzo, ma nulla. E la curiosità aumenta. Ho quella pulce nell’orecchio che non mi lascia in pace. Così accelero mentre la radio emette voci che non colgo e suoni che non riconosco.

2.
Trovo immediatamente dei link, ma non li apro. Le foto mi attirano di più. Sono storiche, in bianco e nero. Hanno almeno 50 anni. Eppure sono diverse da quelle in cui solitamente m’imbatto. Non descrivono scene di vita quotidiana ma riunioni, presìdi, folle, incontri. Pochissimi sorrisi e molta, moltissima, tensione. Una tensione che segna i volti delle persone, dipingendo spigoli lungo gli zigomi. Molte di quelle immagini ritraggono anche dei militari. Appoggio la schiena alla sedia, sospirando. Per un attimo mi viene voglia di non andare oltre. Ma c’è quella pulce che non si arrende e non mi lascia scampo.
Guardo altre foto. Stavolta ne riconosco i soggetti. Sono murales. Pratobello deve avere a che fare con Orgosolo o con San Sperate. Ne apro una che mi colpisce più delle altre. Raffigura uno dei miti letterari sardi, Emilio Lussu. Ed è lui a darmi la conferma del luogo. È Orgosolo. Strano associare quel paese alla non violenza. Mi pento immediatamente della mia superficialità. Continuo a leggere, con maggiore attenzione. Lussu mi dà altri indizi che la pulce ingurgita con grande appetito.

“Luglio 1969”. È un dettaglio non da poco. Soprattutto in Barbagia e nel nuorese. “Pastorizia et agricoltura”. Evidentemente c’entrano i campi, i mestieri, i diritti. Forse la guerra. Pezzi di un puzzle che iniziano a incastrarsi. Militari e pastori. E l’appoggio, per me garanzia più che sufficiente, di Lussu.
Ok, mi avete convinto. La schiena s’inarca verso lo schermo. È ora di aprire quei link. La pulce è finalmente contenta.

3.
È il 1969, dunque. Il Cagliari ha appena perso lo scudetto. Gigi Riva è diventato capocannoniere ma non è bastato. È un secondo posto, dietro la Fiorentina, che grida rabbia. Ma si tratta di una festa solo rimandata. Lo scudetto arriverà l’anno dopo, nel 1970, quando i fatti di Pratobello saranno già Storia e Riva una leggenda.
È aprile quando ad Orgosolo iniziano ad arrivare le prime avvisaglie di un cambiamento. Pare che lo Stato voglia trasformare il villaggio abbandonato di Pratobello in un poligono militare. Un poligono con esercitazioni quotidiane della Brigata Trieste. Spari, pallottole. Ancora spari. Ancora pallottole. Giorno dopo giorno. All’infinito. Ed è un progetto che preoccupa soprattutto gli allevatori. Quei pascoli, di proprietà comunale, sono utilizzati per le greggi. È una delle attività principali del paese, quella più remunerativa, più storica e familiare. È una parte importante del tutto. In un villaggio silente, di 13mila ettari, che dista appena 7 chilometri da casa.
Del resto, la storia dei poligoni, in Sardegna, aveva già fatto dei danni. Nel 1956, nel cuore dell’Ogliastra, era nato quello di Quirra. Nel comune di Perdasdefogu. Non molto lontano dai suoi bersagli c’è un castello del XII secolo e, davanti alla costa bagnata dal mar Tirreno, una piccola isola. Un paradiso, invaso. Difeso, invano. Nello stesso anno, nel sud della Sardegna, era stato inaugurato anche il poligono di Teulada. Settemila ettari calpestati da uomini in divisa. Da allora sono passati sessant’anni. Di esercitazioni militari, ricorsi, processi, malattie. Sessant’anni di camionette. Di spari e pallottole.

4.
È maggio quando gli abitanti capiscono che non c’è più spazio per dubbi e speranze. I muri di Orgosolo vengono tappezzati da un annuncio ufficiale che intima lo sgombero dell’area di Pratobello. Sono poco meno di 50mila gli animali che devono trovare una nuova casa. Per un risarcimento di 30 lire a pecora. Una miseria se si considera che, solo per il mangime, si arrivava a spendere 75 lire al chilo. E questi numeri non sono una stima. Provengono da un comunicato, di risposta, stilato da un circolo giovanile del paese. La paura, in pochi giorni, si è trasformata in protesta. Una protesta civile, portata avanti da una comunità di uomini e donne, orgolesi e no. Giovani e meno giovani. Quel comunicato, realizzato con una macchina per scrivere Olivetti, viene duplicato, a oltranza, con un ciclostile. Un Rex Rotary d’epoca che assume il ruolo di portavoce dell’indignazione di un territorio prima, di un’intera regione poi. Una tecnologia quasi magica capace di stampare caratteri d’amore. Per la propria terra. Per le proprie tradizioni.
Per tutto il mese di maggio si moltiplicano le assemblee. Il tempo stringe. Il primo giorno di esercitazioni è stato fissato: 19 giugno. Anche i partiti politici tentano una mediazione. C’è chi propone di fare appello alle istituzioni. Il Ministro della difesa è Luigi Gui ma il sottosegretario è sardo. Si chiama Francesco Cossiga ed è agli inizi di una lunga carriera che lo porterà fino al Quirinale. Nessuna iniziativa, però, porta a risultati concreti. Il paese, unito, decide di difendersi da solo. Marciando, occupando, parlando, disturbando. Senza armi e senza pallottole.

5.
Mancano ancora due giorni all’inizio dell’estate. E quella del 1969 sarà abbastanza calda. Non solo in Sardegna. Lungo la strada che porta a Pratobello, fin dalla mattina, si schiera una colonna di mezzi. Piccoli camion, macchine, motocarrozzelle. Accanto, una fiumana di persone. Quasi 3mila. Alle 11, sul confine del villaggio, si crea una sorta di catena umana. I militari arrivano con le loro camionette. Le donne raggiungono i soldati, li guardano negli occhi, spiegano loro perché hanno deciso di difendersi. Non c’è aria di scontro. Anche le forze dell’ordine sono colpite dalla tenacia del paese, da quel presìdio così particolare. Da quelle donne, così fiere. È il dialogo a vincere in quella prima giornata. Nessuna pallottola fenderà l’aria intorno a Orgosolo; nessuno sparo diffonderà la sua eco in lontananza.

Il 20 giugno la situazione si ripete. Stavolta la polizia tenta di costruire un blocco con le auto e di far entrare i militari nell’area del poligono. Ma la protesta non si arresta. I giornali del tempo raccontano di vetture spostate con la forza, di fili del telefono tagliati, di gesti simbolici e slogan cantati senza sosta. Le assemblee si sono spostate da Orgosolo a Pratobello. Anche il secondo giorno, con fatica, termina senza spari e senza pallottole.
Sabato e domenica, per convenzione, si riposa. Anche all’interno di un poligono militare. Le autorità aspettano l’arrivo dei rinforzi. Solo con un dispiegamento di forze maggiore si potrà fermare la volontà degli orgolesi. Il circolo giovanile continua, invece, a produrre documenti e cronache di quello che accade. Testimonianze, fatti e incitamenti alla resistenza. Il ciclostile continua il suo prezioso lavoro. La voce della lotta inizia a spargersi anche fuori dall’isola.

Durante il weekend, soprattutto di notte, i manifestanti iniziano le operazioni di disturbo. Saranno circa 600 quelli che verranno intercettati all’interno dei territori proibiti e portati via. Per 80 ci sarà un viaggio verso la questura di Nuoro. Per 2 di loro anche un processo per direttissima. E un’assoluzione generale. Tutto è utile per lo scopo. Ancora nessuna pallottola è stata sprecata.
6.
I giorni seguenti sono i più duri. I ribelli fermati sono diverse centinaia. Si cerca di resistere in attesa che una delegazione, individuata dall’assemblea, torni da Roma con un compromesso accettabile. Il supramonte e la conformazione del territorio aiutano. Gli orgolesi conoscono ogni zolla, ogni cespuglio e ogni albero. I militari no. I giovani pastori lasciano sul terreno dei volantini che attaccano i poteri forti di allora, colpevoli di essere complici di quell’invasione. Il più famoso è rivolto ad Angelo Rovelli, proprietario della SIR (Società Italiana Resine) che aveva uno stabilimento a Porto Torres. La frase è emblematica: “Quanto ti paga il tuo padrone Rovelli per inseguirci?”. Ma i bersagli sono anche Angelo Moratti e l’Aga Khan.
A Orgosolo, intanto, un collettivo anarchico italiano dipinge i primi murales per le vie cittadine. Si chiama “Gruppo Diòniso” ed è nato nel 1965 a Milano. È guidato da un lucchese, Giancarlo Celli (classe 1927) che, per le vie del paese, inizia la sua forma di protesta contro le istituzioni. L’Italia, secondo il gruppo, ormai soggiogata dagli Stati Uniti, si è dimenticata di quell’isola. Un’isola sfruttata dai grandi magnati del tempo e colonizzata dagli insediamenti militari.

Il 26 giugno la delegazione fa ritorno da Roma. È un successo. Il poligono viene definito “temporaneo” e l’area ridiscussa. Sono soluzioni che porteranno all’abbandono di Pratobello da parte dei militari. Le sette giornate di resistenza terminano senza morti. Soprattutto senza spari e senza pallottole.
7.
“Allora’”
“Avevi ragione. Non sono rimasto deluso. È una storia bellissima”.
Sì, è una di quelle storie che oggi farebbe comodo conoscere. Per capire che per difendersi, a volte, basterebbe semplicemente essere uniti. Pratobello è l’esempio di come, a volte, lo spirito di comunità può prevalere anche su decisioni prese dall’alto. A questi fatti, infine, è dedicata una canzone. L’ha scritta e interpretata Niccolò Giuseppe Rubanu. E, secondo la pulce, è più bella di ogni parola scritta qui.





PRATOBELLO

Orgòsolo pro terra de bandidos
Fin’a eris da-e totu' fis connota
Ma oe a Pratobello tot’ unidos

Fizos tuos falado' sun in lota
Contra s’invasione militare
Ki a inie fi faghende rota

Invetze' de tratores pro arare
Arriban carrarmados e cannones
E trupas de masellu d’addestrare

Mandada da-e sos solitos bufones
Ki keren ki rinasca' sa Barbaja
Cun parcos pro sas muvras e sirbones

Naran puru ki sa zente es' malvaja
Ki viven de furtos e ricatos
In sa muntannya infid'e selvaja

Pro ke finire custos malos fatos
E dare a sa Sardinnya atera via
Custos bufones decidin cumpatos

De mandarene galu politzia
Sos contadinos e-i sos pastores
E totu canta sa zente famia

Isetavan concimes e tratores
Pro aer pius late e pius pane
Invetze' totu an dadu a sos sinnyores

A Rovelli, Moratti e s'Agacane
Povèrinu e miseru s'anzone
K'iseta late da-e su mariane:

D'issu poi si prèa' su bucone
Orgòsolo fiera e corazosa
Totu canta sa popolatzione

Totu custu a' cumpresu e minaçosa
E si arma' de fuste pro iscaçare
Cussas trupas fascistas e odiosas

Ki custrint'est a segu' de torrare
Lassande sas muntannyas e pianos
Atraversende de nou su mare.

Non ke banditos ma ke partijanos
An dimostradu a sos capitalistas
Ki solu cun su fuste e cun sas manos

Orgòsolo ke manda' a sos fascistas
Orgòsolo ke manda' a sos fascistas


PRATOBELLO

Orgosolo come terra di banditi
fino a ieri da tutti era conosciuta
ma oggi a Pratobello tutti uniti

I tuoi figli sono scesi in lotta
contro l'invasione militare
che lì stava facendo rotta

Invece di trattori per arare
arrivano carri armati e cannoni
e truppe da macello da addestrare

Mandate dai soliti buffoni
che vogliono che rinasca la Barbagia
con parchi per i mufloni e per i cinghiali

Dicono pure che la gente è malvagia,
che vive di furti e di ricatti
sulla montagna infida e selvaggia

Per porre fine a queste malefatte
e dare alla Sardegna un'altra via
questi buffoni decidono compatti

Di mandarci ancora polizia.
I contadini e i pastori
e tutta quanta la gente affamata

aspettavano concimi e trattori
per avere più latte e più pane
invece tutto han dato ai signori

A Rovelli, a Moratti e all'Aga Khan
poverino e misero l'agnello
che aspetta il latte dalla volpe

Da ora in poi si prepara il boccone avvelenato
Orgosolo fiera e coraggiosa,
tutta quanta la popolazione

tutto questo ha capito, e minacciosa
si arma di bastoni per scacciare
queste truppe fasciste e odiose

che sono costrette a tornare indietro
lasciando le montagne e le pianure
attraversando di nuovo il mare.

Non banditi, ma partigiani
hanno dimostrato ai capitalisti
che solo con il bastone e con le mani

Orgosolo ha cacciato via i fascisti
Orgosolo ha cacciato via i fascisti.


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