Cari colleghi,
sin dal primo giorno in cui vi è stata data la
notizia, il video e le intercettazioni delle vicende in cui la Procura di
Palermo ha deciso di “impallinarmi”, assieme a nove mafiosi di Borgetto
che con me non c’entravano niente, a nessuno di voi è venuto il minimo dubbio
che ci fosse qualcosa che non quadrava. Conosco il vostro rapporto con i
magistrati: sono loro che vi passano le notizie e il materiale per
integrarle, quindi nessuno di voi oserebbe mettere in discussione l’operato di
chi, alla tirata delle somme, offre gli elementi per mandare avanti il proprio
lavoro, di chi vi fa campare. Tutti avete emesso, in partenza la sentenza di
condanna, sia perché quello che dice la Procura non si discute, sia perché
rispetto a voi io non sono un giornalista, non merito questa etichetta e,
addirittura, diffamo la vostra categoria. Ad alcuni non è parso vero di potere
dilatare la macchina del fango messa in moto nei miei confronti. Altri hanno sottilmente
distinto l’aspetto penale, per la verità molto fragile, da quello “morale” o
etico, arrivando alla conclusione che se i risvolti penali di ciò di cui ero
accusato erano irrilevanti, dal punto di vista morale io ero condannato e
condannabile perché le intercettazioni che abilmente erano state confezionate e
vi erano state date in pasto, mettevano in evidenza una persona senza scrupoli
e senza rispetto per i valori minimi della convivenza e della morale comune:
come potevo io fare la predica agli altri, quando non avevo rispetto per le
istituzioni, per la magistratura e la legalità da essa rappresentata, per i
politici, per il Presidente della Repubblica e persino per la mia famiglia?
Anche adesso che, dopo essere stato finalmente ascoltato,
alcune cose sono state chiarite, molti di voi sono rimasti fermi alla prima
devastante impressione che vi è stata offerta e che escludeva addirittura
qualsiasi personale rivalsa da parte di quei settori del tribunale di cui avevo
messo in luce la vergognosa gestione.
Sono stati ignorati, da parte vostra, che pur li
conoscevate bene, anni d’impegno, di denunce, di servizi a rischio, di
documentazione di attività sociali, culturali, religiose. È stato ignorato
il ruolo di una redazione in costante rinnovo, ignorata la presenza di
scolaresche, associazioni, volontariato, sincera collaborazione, il tutto senza
un minimo di risvolto o di vantaggio economico.
Cosa aggiungere? Che nessuno di voi, diversamente da quanto
posso io fare, ha la piena libertà di scrivere ed esprimere i propri giudizi,
dal momento che questi si uniformano a quelli di chi vi paga o vi da le
informazioni?
La libertà di stampa non è acqua fresca e lo si nota
giornalmente dal modo in cui vengono confezionati giornali e telegiornali e
dalla scarsa capacità di chi vede e ascolta, di maturare un proprio giudizio e
di notare subito dove sta il trucco o lo stravolgimento della notizia.
Che aggiungere? Il regime non è finito, anzi sta cercando
di rafforzarsi sia con lo stravolgimento dei principi costituzionali su cui
andremo a votare, sia con le minacce di coloro che da sempre hanno agito
indisturbati, sia con gli avvertimenti mafiosi, sia con il reato di
diffamazione a mezzo stampa, che non si ha nessuna voglia di cambiare per
agevolare il nostro lavoro. La titolare della Distilleria Bertolino una volta
lo disse con chiarezza: “Una volta c’era la pistola, adesso basta la denuncia”. Oppure un buon servizio giornalistico.
Una volta che la pietra è stata buttata ritirarla diventa difficile, anzi
impossibile.
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