Alessia Candito è una giornalista che non sta sulla bocca di tutti
ma scrive e osserva come i giornalisti-giornalisti. Ed è lei a raccontare come
Reggio Calabria rischi di diventare la miccia di una guerra che si
propagherebbe in brevissimo tempo anche lì nelle regioni dove la ‘Ndrangheta
non esiste. E poi faranno finta di non sapere. Leggetela, vi farà bene:
GUERRA AD ARCHI «Chisti sunnu pacci, non sentunu a nuddu» si dice con
preoccupazione nei bar dei ben informati. E ad Archi, Gallico, Santa Caterina,
San Brunello, Tremulini, tutti cantano la stessa impaurita canzone. Perché la
bomba – mormorano – sta deflagrando all’interno di due clan che da tempo
sono una cosa sola. Fra i De Stefano e i Tegano da qualche tempo sembra
esserci più di un problema.
VUOTI DI POTERE Quelli
che gli inquirenti considerano gli strateghi e i riservati del clan che fu di
don Paolino negli ultimi anni sono rimasti impigliati, uno dopo l’altro, nelle
maglie delle inchieste. E arresti, processi e condanne hanno da tempo fatto
piazza pulita dei capi operativi in grado di far mordere il freno a giovani e
scalpitanti nuove leve. Ecco perché c’è chi parla di un nuovo 2008, quando la
crescente tensione fra le due storiche famiglie di ‘ndrangheta, costata
omicidi, gambizzazioni e danneggiamenti, si è placata solo dopo la “scomparsa”
del rampante Paolo Schimizzi. Troppo rampante secondo alcuni. E forse troppo
vicino ai De Stefano.
GLI ASPIRANTI BOSS Oggi – dicono i ben informati – sulla piazza non ci sono
uomini della sua caratura criminale. Tanto meno soggetti che abbiano la
medesima visione strategica. Ma ci sono una serie di “giovanotti”. Affamati di
gloria e potere. Anzi – dicono in molti – uno in particolare. E con Giovanni De
Stefano, Paolo Rosario De Stefano e soprattutto Vincenzino Zappia, il delegato
unico del capocrimine Giuseppe De Stefano, dietro le sbarre, il “ragazzino” ha
iniziato a pretendere spazio e ruolo. Magari, in nome di un casato mafioso di
cui porta orgogliosamente il nome. E in forza di un gruppo di giovani e feroci
accoliti, magari galvanizzati da due “botte di bianca”, che non hanno timore a
pretenderlo. Anche con le bombe.
ESCALATION Ne ha parlato
il pentito Mario Gennaro nel corso di un interrogatorio, durante il quale ha
ricordato come quel giovane figlio di boss non abbia esitato a far saltare un
centro scommesse di fronte a un bar frequentatissimo e in un orario in cui
poteva provocare una strage. Ne hanno parlato i lavoratori e gli habitué della
movida notturna estiva, che due anni fa hanno assistito e subito più volte i
raid nei locali portati a termine dal branco capeggiato dal piccolo boss,
faccia pulita, mente feroce. Per quell’estate di terrore, in carcere sono
finiti i buttafuori clandestini che sui lidi imponevano la guardiania del clan
Condello, ma i blitz dei Tegano – che con i Condello, dalla fine della guerra
sono sempre andati a braccetto – sembrano al momento estranei dal contesto di
indagine. «Sono tutti in giro – dice chi lavora di notte e chi frequenta i
locali – e continuano a fare danni».
TRACCE E FIRME Nessuno
parla, nessuno si esprime. Ma se si fa attenzione ai sussurri, Reggio sa e
mormora. E sono in molti ad avere il sospetto che vada cercato fra gli “arcoti”
il misterioso uomo col volto nascosto dal passamontagna, che a due giorni
dall’operazione Eracle ha seminato il terrore nella nota cremeria Sottozero,
sparando contro il bancone, solo per distruggere tutte le bottiglie. Anche la
tensione che si registra da tempo in zona Tremulini non è passata inosservata
ai più. In quel quartiere termometro, negli ultimi mesi un negozio di
alimentari è saltato in aria, le fiamme hanno divorato la veranda esterna di un
bar e un’auto è stata fatta saltare in pieno giorno accanto alla sede operativa
dei carabinieri forestali. Se si tratti di episodi isolati o rispondano ad
un’unica strategia, non è dato sapere. Tanto meno si sa a chi attribuirli.
Almeno per adesso. Anche perchè ci sono altri dettagli che alla città non
sfuggono.
IL RAMPOLLO DEL NORD «Perché, secondo te, quegli altri stanno a guardare? Sono
“ttaccati”, ma mica tutti» si dice con certezza in un bar di zona Nord. E
secondo fonti investigative è plausibile. Se ad Archi i giovani del clan Tegano
alzano la cresta e pretendono acqua in cui nuotare, i segnali che i De Stefano
si stiano riorganizzando non mancano. «Non hai visto chi c’è?» commenta, con
fare di chi sa, un avventore. In città, da qualche tempo è tornato a farsi
vedere uno dei rampolli del clan, qualche anno fa mandato a svernare al Nord,
perché troppo e troppo presto si era fatto notare dagli investigatori. E il suo
ritorno non è stato nascosto. Al contrario. Ha accompagnato la moglie di un
boss da tutti riconosciuto alla lettura del dispositivo di una sentenza
fondamentale – e devastante – per i clan reggini. A nessuno la cosa è sembrata
una casualità.
L’OMBRA DI CARMINE Della stessa opinione sembrano essere gli inquirenti, che
con l’operazione Trash e l’arresto di Paolo Rosario e Orazio De Stefano pare
abbiano voluto disinnescare il conflitto al momento strisciante, prima di una
potenziale, devastante, degenerazione. A breve uscirà dal carcere Carmine De
Stefano, figlio di don Paolino, fratello del capocrimine Peppe, ma soprattutto
– dice chi su di lui ha investigato – l’unico capo dotato di lucida follia
criminale sufficiente a scatenare una guerra. E dotato dell’autorità criminale
per farlo. Le armi – hanno dimostrato gli ultimi sequestri – non mancano.
ARRESTO FORTUNATO Non più tardi di qualche settimana fa, quattro persone
considerate a vario titolo legate all’entourage destefaniano – Gianfranco
Musarella, Antonio Marra, Giovanni Marra e Alessandro Marra – sono state
fermate per l’estorsione continuata ai danni di una pizzeria. Nel corso delle
perquisizioni seguite all’arresto, gli investigatori hanno trovato un vero e
proprio arsenale.
L’ARSENALE Un fucile
mitragliatore kalashnikov Ak 47, una mitragliatrice modello Uzi cal. 9×19,
privo di matricola, una pistola semiautomatica marca Beretta cal. 9 parabellum,
con matricola obliterata, un revolver cal.32, con matricola obliterata, una
pistola semiautomatica marca Beretta cal. 9 corto; una pistola a salve cal. 8,
priva di tappo rosso, con evidenti segni di manomissione; quattro fucili cal.
12, di cui 3 con matricola abrasa; due carabine, più un’altra ad aria
compressa, varie parti di arma per uso da caccia, quattro 4 silenziatori, varie
cartucce cal. 9 parabellum, calibro 12, 7,65 e 7.62×39, varie divise di una
ditta di vigilanza, passamontagna, guanti, caschi ed attrezzi da scasso. «Non
sono armi che servono per fare una rapina – dice un investigatore di lungo
corso – con le mitragliette si ammazza». Dopo settimane di silenzio, uno
degli indagati nel corso di un interrogatorio, ha provato a sostenere di averle
trovate casualmente, seguendo uno sconosciuto che le avrebbe depositate e
abbandonate, giusto un paio di giorni prima dell’arresto.
ARMI E ANCORA ARMI Altre armi sembra fossero nella disponibilità di Cocò
Morelli, uomo della comunità rom di Arghillà “battezzato” ‘ndranghetista dal
boss Rugolino in persona, arrestato solo qualche settimana fa. Dalle carte
dell’inchiesta che lo ha portato in carcere, emergono decine di conversazioni
che riguardano pistole e fucili da prestare o smerciare. E più volte,
carabinieri e polizia hanno trovato armi e proiettili nascosti ad Arghillà o in
zone limitrofe. Solo sei giorni fa invece, altre armi – un fucile
semiautomatico con canna mozzata e matricola abrasa e un revolver cal.352
magnum con 6 bossoli nel tamburo – sono state trovate in un rudere abbandonato
a San Cristoforo, insieme a un ciclomotore privo di targa, che dagli
accertamenti effettuati è risultato rubato nel giugno del 2015, ed una targa di
ciclomotore rubata lo scorso mese di aprile.
INCOGNITA LIBRI «Zona dei
Libri» si sentenzia nei soliti bar. E proprio i Libri rimangono la grande
incognita del prossimo periodo. Lo storico casato di ‘ndrangheta che la seconda
guerra ha incoronato “custode delle regole”, con la morte degli anziani
capobastone ha visto offuscata la propria stella. Ma non ha mai rinunciato alle
antiche pretese di gloria. Magari da avanzare, come in passato, per interposta
persona.
Nessun commento:
Posta un commento