mercoledì 14 giugno 2017

La piazza del Rif berbero - Ilaria de Bonis


L’arresto del leader carismatico del Rif, Nasser Zefzafi, non ferma la protesta dei pescatori berberi in Marocco. Sono poveri e arrabbiati. Determinati a scendere in piazza finché il re non darà risposte concrete.
Sui media francofoni adesso trionfa l’immagine e la storia di una donna: Nawal Ben Aissa, marocchina, trentasei anni e quattro figli (leggi, ad esempio, Nawal Ben Aissa, figure montante de la contestation dans le Rif marocain). Capelli biondi e lisci, niente velo, jeans e t-shirt, è la portavoce ufficiale del movimento sociale spontaneo hirak, che da mesi riempie le piazze con le rivendicazioni del popolo.

«Non appartengo a nessun partito, associazione o sindacato», assicura lei. Anche Nawal come Nasser (accusato di aver «insultato l’imam, seminato odio e pronunciato discorsi provocatori», e perciò in carcere dal 31 maggio scorso) arringa bene il popolo.
«Mi rivolgo ai marocchini: il Rif è dissanguato! Lo Stato ci opprime. Tutti i diritti dei rifains sono calpestati». È molto temeraria perché non ha nulla da perdere e inoltre è sostenuta dalla sua famiglia. «Posso essere arrestata in qualsiasi momento – dice – ma la prigione è per me un onore. Combatto per dei diritti universali: quello all’istruzione e alla sanità».
Le forze dell’ordine al soldo di re Mohammed VI, che pensavano d’aver interrotto il crescendo di contestazioni al nord, si ritrovano per le mani un osso ancora più duro. L’arresto di Nasser Zefzafi doveva servire a smorzare l’effetto domino. Così non è stato. Il testimone passa a Nawal. Che usa i social, sta sul pezzo, rilascia interviste ai quotidiani francesi e spagnoli. Affronta argomenti davvero concreti. Ed inoltre, essendo una donna libera, piace anche ai francesi perché icona della ribellione al femminile.

«Non abbiamo un ospedale in grado di curare le donne malate di cancro al seno – dice lei a le Monde – Ho incontrato donne che non si possono permettere di pagare cento dirham (nove euro) per le analisi». Nawal posta video su facebook, si schiera apertamente dalla parte delle sue coetanee senza voce.
Il re invece in questo braccio di ferro è perdente, quanto meno agli occhi dei media europei. Molto concentrato su mega-progetti urbanistici e commerciali finanziati da cinesi e monarchie del golfo, trascura le rivendicazioni dal basso. I soldi per gli ospedali del Rif non si trovano, quelli per rinnovare il mall più grande d’Africa (settantamila metri quadrati su tre livelli) invece sono stati già spesi.
Presto a Rabat svetterà la torre-grattacielo più alta d’Africa, frutto di una joint-venture con i cinesi.
Sul sito ufficiale del faraonico centro commerciale di Casablanca Golfo-style è partito il countdown: mancano poco più di cinquanta giorni al Morocco Mall shopping festival, alla sua terza edizione. Un’orgia di consumi, concerti, feste, acquisti. Ma non c’è solo questo: i giornali sono pieni di notizie di “grandi opere” che altereranno decisamente lo skyline delle città marocchine. Come il progetto del mega-parco industriale vicino Tangeri, finanziato dai cinesi.
Cosa chiede invece il popolo del nord berbero, escluso dalla mania di grandeur del re? Anzitutto che la principale attività produttiva, la pesca, sia promossa e non boicottata.

La storia di Mouhcine Fikri , il trentunenne pescivendolo ambulante, rimasto ucciso nell’ottobre scorso mentre cercava di recuperare da una discarica la sua merce (pesce spada la cui vendita è vietata in certi mesi dell’anno), è rimasta nel cuore di Al Hoceima. La sua morte brucia ancora. Più passa il tempo e meno la gente dimentica. Mouhcine è adesso un simbolo. Impresso persino in un disegno che lo rappresenta. Gridare il suo nome è ancora una costante in piazza. Il divieto di pesca delle sardine e di altre specie, ostacola non poco i pescatori dei villaggi che vivono di questo e di turismo. Ma si tratta per lo più di turismo interno e molto concentrato in alcuni periodi dell’anno. I marocchini berberi vogliono di più: vogliono potersi curare liberamente, ad esempio. Chiedono poi scuole. Università, strade. Acqua. Le risposte sono lente e le promesse non bastano.
La ricercatrice e sociologa Khadija Mohsen Finan della Sorbonne spiega che «le rivendicazioni sociali ed economiche parlano di un malessere profondo. La gente chiede lavoro e dignità, di avere ospedali e università. Non so se si tratta proprio di un divorzio tra il re e la regione del Rif. Ma c’è sicuramente un distacco dalle grandi città, che invece sono molto sviluppate».

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