Senza andare ai bastioni di Orione,
in pochi mesi abbiamo visto cose che noi umani non potevamo immaginare:
un’America che si trasforma in un paese chiuso dietro le mura dei suoi vasti
confini, destinato all’arretratezza. Da Cupertino al carbone: una Sparta che ha
deciso d’ignorare il suo luminoso lato ateniese, distruttrice di quel sistema
internazionale politico ed economico che lei stessa aveva creato.
Quasi un’involuzione Nord-coreana.
Di più: la trasformazione degli Stati Uniti in una gigantesca comunità Amish
che si scalderà e s’illuminerà col carbone anziché i pannelli solari; che per
reagire all’invadenza delle auto tedesche – migliori, ecologiche, tecnologiche
e meno care – tornerà a cavalli e carrozze; che deperirà a uno stato di terzo
mondo psicologico, idolatrando armi, inquinamento e obesità.
Il virus trumpista è contagioso. Il
repubblicano Bob Corker del Tennessee, presidente della Commissione senatoriale
per le relazioni estere, sosteneva che il primo viaggio presidenziale fuori dai
confini americani aveva avuto un successo “vicino alla perfezione”. Rivediamone
le tappe. A Riad Trump ha deciso di rendere gregaria la politica Usa in Medio Oriente
a quella dell’Arabia Saudita: il paese più reazionario del mondo che odia
chiunque non sia musulmano sunnita, ex grande finanziatore di al Qaeda ma che
tutt’ora diffonde nel mondo il wahabismo, punto di partenza dogmatico del
terrorismo islamico.
Dopo essere stato scambiato per il
messia dagli israeliani per le promesse in campagna elettorale, a Gerusalemme
Trump ha detto che si era sbagliato: non si può e l’ambasciata americana
da Tel Aviv. L’avesse fatto, i sauditi avrebbero comprato dai russi le armi per
100 miliardi di dollari che avranno da Washington. Divertente e surreale la
scoperta di Trump: “Mi avevano detto che era uno degli accordi più duri da
raggiungere (la pace fra israeliani e palestinesi, n.d.r.). Ma sento che alla
fine ci riusciremo. Spero”. Ed è partito.
A Bruxelles e Taormina ha
delegittimato e insultato Nato, UE e G7 come a fatica avrebbe fatto Vladimir
Putin che quelle tre istituzioni odia e vorrebbe morte. In effetti Trump sembra
psicologicamente e non solo al servizio dei russi. Nemmeno la Talpa di John le
Carré infiltrata da Karla nell’MI6, era riuscita a fare tanti danni
all’Occidente. Sarà il caso, ma è interessante notare che nello tsunami
mondiale di dichiarazioni sbigottite e atterrite, l’unico a non criticare il
ripudio americano dell’accordo sul clima, è stato Putin: “Se lasciano gli
americani, l’accordo non può funzionare”. Un altro regalo all’amico russo la
cui economia vive solo d’idrocarburi e armi. Soldi per investire nelle
rinnovabili – come perfino i sauditi stanno facendo – a Mosca non ce ne sono.
Ammettiamolo. Per quanto sconcerti,
l’America di Donald Trump fa ridere. C’è sempre qualcosa di burlesco
nell’apparire e nel dire del presidente della più potente fra le nazioni. E di
triste come nelle comiche di Charlot. Eppure lo Sceriffo di Nottingham
travestito da Robin Hood, continua ad avere consenso fra i suoi elettori
“naturali” che il presidente-miliardario Trump continua a ingannare e vessare:
dalle riforme fiscali alla sanità, all’illusione che le miniere di carbone
della Pennsylvania torneranno a dare lavoro come un tempo.
E’ Joan Williams che insegna alla
University of California Hastings College of Law, ad aver dato la più chiara
spiegazione di questo consenso: “I progressisti americani hanno mostrato
rispetto per minoranze etniche e sessuali, non per i White Working Class. E i
WWC hanno fatto presidente Trump”. Il breve saggio online di Williams aveva
avuto 3,2 milioni di clic: mai la Harvard Business Review ne aveva ottenuuti
così tanti. Visto il successo, “White Working Class – Overcoming Class
Cluelessness in America” è diventato un libro. I lavoratori bianchi che prende
in considerazione Williams sono il 53% delle famiglie americane che non sono
ricche ma nemmeno povere: più o meno sono degli Homer Simpson, come ha scritto
il Financial Times. Nel 2015 il loro reddito familiare era fra 41.005 e 131.962
dollari: guadagnano più del terzo più povero degli americani e meno del 20% più
affluente. In genere non hanno un diploma di college, non hanno specializzazioni
tecniche e la crisi economica ha colpito il loro modello di vita più di
qualsiasi altro. Secondo Joan Williams che è una liberal, se nel 2020 i
democratici candideranno ancora una donna, un latino o un afro americano,
perderanno di nuovo. Senza gli Homer Simpson non si vince in America.
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