giovedì 3 agosto 2023

Il Sahel che esplode e il tragico errore Nato con la Libia di Gheddafi - Ennio Remondino

 

Assalto all’ambasciata francese in Niger dopo il colpo di Stato, ma eravamo stati avvertiti – Il 26 maggio 2011 il presidente nigerino Mahamadou Issofou ora deposto, è stato l’unico a dire ai leader occidentali che l’intervento in Libia avrebbe trasformato il Paese in un’altra Somalia offrendola al caos e  all’islamismo radicale. Aveva ragione lui e torto Stati Uniti, Nato ed Europa, anche se con responsabilità diverse.


Il nigeriano preveggente

Mohamed Bazoum, il presidente del Niger rimosso il 27 luglio da un golpe militare, in una intervista con Analisi Difesa nel 2014. «Noi valutiamo la guerra libica una minaccia per il nostro Paese e per la regione che si prolungherà negli anni a venire… Avevamo messo in guardia l’Occidente dal distruggere lo Stato libico… L’Unione Africana aveva proposto una soluzione che facesse uscire di scena Gheddafi preservando lo Stato e l’unità nazionale ma non siamo stati ascoltati anche se l’Italia ci è sembrata più sensibile a questa proposta».
«Nove anni dopo anche Bazoum è stato travolto dall’ondata di destabilizzazione, in gran parte di matrice islamista, generata da quella sciagurata guerra con cui Occidente e NATO hanno gettato l’intero Sahel nel caos minando anche gli interessi dell’Italia e dell’Europa».

Il Sahel ora anti occidentale

«L’errore compiuto nel 2011 e la successiva incapacità occidentale di sanare i guai combinati e nel stroncare le insurrezioni islamiste –denuncia Gianandrea Gaiani, ci viene fatto pagare oggi con la progressiva instaurazione in Africa sub sahariana di governi e giunte militari che guardano con sospetto e ostilità all’Occidente, orientate a puntare sui BRICS, in particolare su Russia e Cina, per garantirsi sviluppo e sicurezza».
Uno scenario simile a quello che si registra nel mondo arabo, soprattutto tra le monarchie del Golfo, con il distacco dagli USA protagonisti del fallito sostegno alle cosiddette ‘primavere arabe’ contro i regimi arabi sempre fortemente autoritari ma allora amici dell’Occidente.

Il generale Tchiani e Salifou Mody

Il 28 luglio il generale Abdourahamane Tchiani, capo della Guardia Presidenziale, è stato proclamato nuovo leader del Niger. Contro Bazoum, l’accusa sul fronte sicurezza e della cattiva gestione economica e sociale: «un mucchio di morti, sfollati, umiliazioni e frustrazioni senza risultati». E subito l’appello d’aiuto alle forze straniere presenti in Niger (1.500 militari francesi, 1.100 statunitensi e oltre 300 italiani).
Ai vertici del comitato golpista, Salifou Mody, ex capo di stato maggiore della Difesa rimosso dal presidente Bazoum nell’aprile scorso dopo una visita nel marzo scorso in Mali, retto da una giunta militare che ha allontanato dal paese le forze francesi, della Ue e dell’ONU ottenendo aiuti militari dalla Russia (armi, consiglieri militari e contractors del Gruppo Wagner) per combattere l’insurrezione jihadista.

Burkina Faso, Mali, Niger e la minaccia islamista

Il Niger condivide col Burkina Faso, e Mali le difficoltà nella repressione degli jihadisti legati ad al-Qaeda (Gruppo per il Sostegno dell’Islam e dei Musulmani), e quelli fedeli allo Stato Islamico nel Grande Sahara. Il Niger è stato finora il bastione della presenza militare occidentale nel Sahel a contrasto dei movimenti jihadisti ricevendo forniture militari italiane, europee, francesi, statunitensi, egiziane e turche. Ma anni di presenza militare occidentale non hanno sconfitto il jihadismo e non è un caso che siano state le élite militari a rovesciare i governi in Mali, Burkina Faso e Niger.

Reazioni internazionali

La Francia ha annunciato la sospensione degli aiuti allo sviluppo al Niger: 120 milioni di euro lo scorso anno. L’Unione Europea insegue con l’immediata sospensione del budget per gli aiuti e la cooperazione nella sicurezza. L’Unione Africana ha dato 15 giorni di tempo ai golpisti perché ripristinino l’ordine costituzionale nel paese.
«Qualsiasi intervento militare esterno, di qualsiasi provenienza, rischierebbe di avere conseguenze disastrose e incontrollabili per le nostre popolazioni e di seminare il caos nel nostro Paese», avverte lo Stato maggiore. «Il nostro Paese è ancora afflitto dall’insicurezza imposta dai gruppi armati terroristici e da altri gruppi di criminalità organizzata e invita tutte le Forze di difesa e sicurezza a rimanere concentrate sulle loro missioni».

Flop dell’intelligence, ennesima sconfitta francese

L’aspetto più incredibile del golpe è l’ignavia dei servizi segreti occidentali con stretti rapporti con i comandi militari che non abbiano previsto né avuto sentore del ‘pronunciamiento’. Neppure la DGSE e l’intelligence militare francese che a Niamey sono di casa.
Per la Francia la perdita del controllo sul Niger segue l’espulsione dei propri militari e dei propri interessi da MaliBurkina Faso e Repubblica Centrafricana (a vantaggio della Russia). Molto peggio, il Niger fornisce a Parigi a prezzi contenutissimi circa il 30 per cento dell’uranio utilizzato per alimentare le centrali nucleari. Uranio che fino al 2014 la Francia ha prelevato gratuitamente.

La mano di Mosca?

A Niamey, dallo scorso settembre, è apparso il Movimento62, che si propone di cacciare i francesi e le altre truppe straniere dal paese. In piazza bandiera russe e cartelli con scritto «abbasso la Francia» -le scene di ieri e oggi-, riportava Biloslavo sul Giornale. Ma per il momento non ci sono elementi a sostegno del ruolo di Mosca, sostiene il Washington Post. Solo le dichiarazioni del capo della Wagner, Prigozhin. «Quello che è successo in Niger è una lotta del popolo contro i colonizzatori che hanno imposto le loro regole di vita, e li tengono in una condizione che era nell’Africa di centinaia di anni fa».

La presenza italiana

L’Italia ha 300 militari in Niger ufficialmente impegnati nell’addestramento, oltre a non specificate attenzioni ai flussi migratori illegali diretti in Libia e poi in Italia. In tutta la cosiddetta ‘Françafrique’ sottolinea Gaiani, «l’Italia ha avuto molte occasioni di affermarsi come partner di riferimento per molte nazioni africane, ma dovrebbe presentarsi come alternativa alla Francia, e non come partner subordinato a Parigi o alla Ue». Ma non sarà così, ed ora è Remocontro che si azzarda a prevedere.

Perché la risposta dell’Europa e dell’Italia ai cambiamenti in Africa sarà ancora una volta quella di sanzioni e blocco degli aiuti economici e militari, il risultato sarà di far crescere la voglia di smarcarsi dall’occidente di memoria coloniale e lasciare campo libero alla penetrazione russa, turca e cinese.

da qui

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