«Quel colpo pose fine alla guerra… non
voglio usare l’esempio di Hiroshima e Nagasaki, ma fu la stessa cosa…». Così
parlava Trump applaudendo il «lavoro fenomenale» svolto dalle sue superbombe
contro gli impianti nucleari iraniani.
Il presidente Usa pubblicava poi un
messaggio dell’ambasciatore israeliano che gli tributava il ruolo di scelto da
Dio, paragonandolo al presidente Truman nel 1945. Alla fine di quell’anno, in
Giappone si contarono circa 140mila morti; altre decine di migliaia si
aggiunsero a causa degli effetti a lungo termine di un bombardamento atomico
per il quale i giapponesi non hanno mai ricevuto le scuse.
Dai campi di battaglia ucraini – sui quali
continua la mobilitazione e il corrispondente accumulo di cadaveri – alla
devastazione genocida di Gaza – che offre all’occhio uno scenario post-atomico
– le guerre di oggi ci riportano alla dimensione della massa e dei grandi
numeri.
I nove stati dotati di atomica spendono
miliardi di dollari per modernizzare e ampliare gli arsenali. In Ucraina, la
Russia ha dato sfoggio ai propri missili ipersonici. Più volte Putin ha cercato
di trasmettere la minaccia atomica, per far temere che, se la guerra prende una
piega sfavorevole, potrebbe arrivare, nonostante i moniti cinesi, a rompere il
tabù vigente dal 1945. Giorni fa, in risposta a una velata minaccia nucleare da
parte dell’ex presidente Medvedev, Trump ha dato ordine di avvicinare due
sottomarini nucleari alla Russia. Medvedev ha risposto con il seguente
messaggio: «Trump non dovrebbe pensare che l’archivio video delle sue
immoralità passate sia solo nelle mani del Mossad».
Come scrive il Guardian, siamo minacciati
da leader che sono «versioni ambulanti della triade nera – narcisismo,
psicopatia e machiavellismo – in un mondo minacciato da crisi climatica, armi
nucleari, intelligenza artificiale e robot killer». Il contesto vede la spesa
globale per la difesa raggiungere nel 2024 i 2,46 trilioni di dollari, con un
aumento del 7,4% in termini reali, ben superiore agli incrementi del 6,5% e del
3,5% già registrati nel 2023 e nel 2022. Per significativa coincidenza, del
7,4% è anche l’aumento del budget militare cinese, mentre in Europa si registra
un 11,7% (con picco del 23,2% in Germania) e in Russia un 41,9%. Si tratta di
stime dell’Iiss di Londra, che esprime seri dubbi sulla sostenibilità
economica, sociale e climatica di questo trend.
Qualcuno ricorda il presidente Obama a
Praga nel 2009 parlare di un mondo libero dalle armi atomiche? La logica
paradossale che reggeva la Guerra Fredda, secondo la quale essere pronti a
scatenare l’apocalisse nucleare serve a prevenirla, sembrava un ricordo
sbiadito. E invece abbiamo assistito al deterioramento, fino al collasso, dei
meccanismi di controllo degli armamenti. Torniamo a parlare di guerra nucleare
e di guerra come grandi numeri. Il New Start, l’ultimo trattato che limita le
armi nucleari, scadrà il prossimo febbraio, senza che sia in vista un
sostituto: Usa e Russia non saranno più vincolati dal limite di 1.550 testate
strategiche, mentre gli sviluppi tecnologici (comunicazioni, satelliti, vettori
ipersonici) e il protagonismo nucleare cinese (proiettato verso le mille
testate) destabilizzano i calcoli della deterrenza.
Negli Usa si discute dei costi
spropositati degli scudi missilistici e dell’utilità della capacità nucleare
terrestre. I silos di lancio dei missili intercontinentali, essendo noti,
diventano un obiettivo prioritario. Davanti a un attacco ipersonico, il
presidente avrebbe pochissimi minuti per decidere se usare i propri missili per
rispondere o rischiare di perderli. Il risultato sono maggiori rischi di errore
di calcolo e di escalation.
La regione Indo-pacifica, su cui si
concentra il tatuatissimo segretario alla difesa Usa, offre scenari di guerra
con la Cina solcati da navi e punteggiati da basi aeree su piccole isole.
Qualcuno pensa possibile, qui, una «guerra nucleare combattuta» con atomiche a
basso potenziale. Ma non si tratta solo di speculazioni. I bombardieri
strategici russi, tenuti esposti in ottemperanza ai trattati, sono già stati
raggiunti e colpiti dai droni ucraini. Nel momento in cui questi attacchi sono
visti come un proxy del nemico atlantico, lo scontro è già innescato. I recenti
scontri tra Pakistan e India hanno fatto temere il rischio di un’escalation a
360 gradi (dal terrorismo all’atomica) in una regione ad alta densità di
popolazione. Nell’Europa delle potenze nucleari francesi e britanniche, il
dibattito prende la piega dell’autonomia strategica e dell’ombrello nucleare.
Per dirla senza mezzi termini: se l’Ucraina perde la guerra, con convergenze
tra Mosca e Washington e crescita ulteriore delle destre sovraniste, i problemi
che l’Europa dovrà affrontare saranno molto seri anche sul versante nucleare.
Trump ha espresso il desiderio di
dimezzare le spese militari tramite colloqui con la Cina e la Russia, ma si è
trattato di una boutade: né Pechino né Mosca hanno preso sul serio l’offerta,
mentre l’establishment repubblicano ritiene che ci sia bisogno di più armi
nucleari e – in linea con la revisione della postura voluta da Trump nel 2018 –
di più flessibilità nel pensare anche a scenari regionali. Biden non ha
invertito la rotta, lasciando in eredità una forte espansione degli arsenali
atomici.
Anche sul versante civile siamo in piena
era di rinascita nucleare, che l’industria presenta come guidata dalla spinta
verso l’azzeramento delle emissioni di carbonio, proiettandola verso il Sud del
mondo, come dimostrano gli investimenti annunciati in Paraguay e in Uganda.
A ottant’anni dai bombardamenti atomici su
Hiroshima e Nagasaki, la Croce Rossa internazionale dichiara che le armi
nucleari non devono mai più essere utilizzate e vanno eliminate prima che la
storia si ripeta. Sono in pochi a parlare di controllo degli armamenti e in
molti a sparare sulla croce rossa.
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