Non sempre è possibile verificare sul posto la profondità e la fondatezza
di un report. A me è capitato in una notte buia a Gaza. Una notte fatta di
silenzio spettrale, di case al buio, di una esistenza che riduce, nella
quotidianità, anche il suo spazio vitale. Dopo i riflettori internazionali,
nella Striscia si spegne anche la luce. L'oscurità è la dimensione del presente
che si perpetua all'infinito. Gaza sta morendo, nel disinteresse generale.
Semplicemente, non fa più notizia. Eppure, questa immensa prigione a cielo
aperto, isolata dal mondo e messa in ginocchio dall'embargo imposto dodici anni
fa da Israele e mai cessato, è un condensato di rabbia e frustrazione che
potrebbe riesplodere da un momento all'altro.
La politica, con lo scontro interno al campo palestinese tra Hamas e
l'Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen, per una volta lascia il passo
alla umanità che reclama voce in questa torrida e buia estate. Gaza è macerie e
risentimento, dignità e resistenza. La presenza armata di Hamas si è fatta più
stringente, oppressiva: è una dimostrazione di forza che serve per ammonire la
popolazione da possibili rivolte e al tempo stesso è un messaggio lanciato ai
gruppi salafiti che guardano ancora all'Isis come al "veicolo" di una
Jihad globale impiantata in Palestina. A volte, e questa è una di quelle,
l'occhio aiuta a percepire l'essenza del momento più di tante esternazioni di
leader politici in cerca di consenso. E l'occhio annota una Gaza oscurata,
piegata, che chiede al mondo conto di un silenzio che si fa complice di
punizioni collettive che non trovano legittimità internazionale nella
rivendicazione d'Israele del suo diritto di difesa. Gli unici bagliori che
squarciano l'oscurità sono i trancianti dell'artiglieria israeliana, che
risponde con il cannoneggiamento nel Nord della Striscia al lancio di razzi da
parte di Hamas contro la città frontaliera di Ashkelon.
In questo frangente, più che analista sento di essere testimone oculare
della fondatezza di quanto contenuto nel rapporto di Oxfam
reso pubblico in questi giorni. La popolazione di Gaza affronta oggi
una crisi energetica peggiore di quella che si è verificata durante la guerra
del 2014. Con la conseguenza che oggi circa 2 milioni di persone non
hanno quasi nessun accesso a servizi essenziali, come acqua corrente e servizi
igienici e moltissimi hanno a disposizione solo 2 ore di
luce elettrica al giorno. È l'allarme che Oxfam ha lanciato a tre anni dalla
fine della guerra che in 50 giorni devastò la Striscia. Una crisi – iniziata
quattro mesi fa - a causa delle tensioni che hanno portato al taglio da parte
di Israele del 40% dell'erogazione di elettricità sulla Striscia, su richiesta
della stessa Autorità Nazionale Palestinese. Una situazione che sommata alla
scarsità di carburante, alla crisi sanitaria e salariale rende impossibile la
vita della popolazione di Gaza.
"La crisi energetica a Gaza costringe centinaia di migliaia di persone
al limite della sopravvivenza, dovute alle tensioni tra le autorità israeliane
e palestinesi – rimarca Paolo Pezzati,
policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia –. Questa emergenza deve essere risolta al più
presto, perché a farne le spese è la popolazione "intrappolata"
all'interno della Striscia, che adesso è seriamente minacciata dalla diffusione
di malattie causate dalla quasi totale carenza di servizi igienici e sanitari.
Dopo la guerra nel 2014, il 50% dei centri di trattamento delle acque reflue
non funzionava più. Oggi non funziona più nessun impianto. Ad agosto del 2014,
900 mila persone necessitavano di acqua e servizi igienici, oggi questo numero
è salito a 2 milioni. Dopo l'ultima guerra, l'80 %
della popolazione viveva solo con 4 ore di elettricità al giorno, oggi la maggioranza
della popolazione solo con 2".
È così. E a chi pontifica e dà voti dal suo salotto rinfrescato e iper
accessoriato, farebbe bene condividere anche per un solo giorno l'esperienza di
dover vivere con 2 ore di elettricità su 24. Sarebbe una esperienza formativa.
Tutto si arresta. Nulla più funziona. La vita si ferma. Quella di oggi non è
che l'ultima fase di un'escalation, iniziata già nel 2006, con il bombardamento
dell'unica centrale elettrica di Gaza, che aveva costretto famiglie e imprese a
poter usare l'elettricità solo per otto ore al giorno. La situazione infatti è
il risultato di 12 anni di blocco su Gaza, che sta mettendo a repentaglio anche
la capacità delle organizzazioni umanitarie come Oxfam di soccorrere la
popolazione.
"Non c'è progetto, tra i tanti realizzati da Oxfam a Gaza per portare
alla popolazione acqua, servizi sanitari e sostenere i piccoli agricoltori e lo
sviluppo economico, che non sia stato condizionato dalla mancanza di energia
elettrica – continua Pezzati – Senza elettricità impossibile qualunque
tentativo di ripresa: non si possono riattivare le centrali di
desalinizzazione, i pescatori non possono conservare la propria merce e gli
agricoltori non possono irrigare. Chi è impegnato in progetti informatici non
può lavorare e le aziende sono costrette a operare tagli del personale. I costi
economici e umanitari di questa crisi sono altissimi".
Il tutto nel contesto di una delle aree più densamente popolate del
pianeta, dove si registra il più alto tasso disoccupazione al mondo: oltre il
43%.
"Anche senza la guerra, i palestinesi a Gaza subiscono un'emergenza
umanitaria che non dà tregua. - conclude Pezzati – È vergognoso non aver agito
e aver consentito che si arrivasse a questo punto, mettendo ancora di più alla
prova 2 milioni di persone, che già soffrono gli effetti di un blocco illegale.
Una crisi che si inserisce in quella – pure gravissima a cinquant'anni
dall'inizio dell'occupazione israeliana – che colpisce tutto il Territorio
Occupato Palestinese: qui 2,3 milioni di uomini, donne e bambini dipendono
ormai dagli aiuti umanitari per sopravvivere e 1,6 milioni non hanno cibo a
sufficienza".
Nei territori palestinesi, il 27% della popolazione è disoccupato, in gran
parte donne e 1 persona su 4 vive in povertà. Solo a Gerusalemme Est il 75,4%
dei residenti vive con meno di 2 dollari al giorno. Gli occhi sono collegati al
cuore: e verificare sul campo le parole di Oxfam produce emozioni forti,
incancellabili. Perché quei due milioni sono persone, non numeri, sono storie,
volti, speranze, dolore, i sentimenti che permeano una popolazione che al 54% è
sotto i 18 anni. Ai Khaled, Mahmoud, Leilah, Hassam, ai tanti bambini di Gaza
ai quali dopo aver rubato l'infanzia stanno ipotecando anche il futuro.Mahmoud ha dieci anni e, nell'ultima guerra di Gaza,
ha visto morire tra le sue braccia la sorellina Hanan, quattro anni, durante un
bombardamento aereo israeliano. Un trauma insanabile è anche quello vissuto da
Feisal, 8 anni, ultimo di sei fratelli, che in un altro bombardamento, stavolta
terrestre, di Tsahal ha perso i genitori.
Negli occhi dei bambini di Gaza si legge paura, sgomento: quegli occhi,
bellissimi e affranti, sono una denuncia che lascia il segno. I nuovi tagli
limitano l'elettricità colpiscono soprattutto le persone ricoverate in ospedale
e chi ha bisogno di una macchina per vivere. Durante le ore di blackout i
residenti utilizzano generatori privati, pannelli solari e altre sorgenti a
batteria. Ma solo chi se lo può permettere. Attualmente si stima che l'80%
della popolazione che vive a Gaza dipenda dagli aiuti umanitari. A metà luglio le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto sul
peggioramento della situazione umanitaria nella Striscia. Si dice che le falde
acquifere di Gaza potrebbe diventare inutilizzabili entro la fine dell'anno, si
parla delle continue crisi energetiche e sanitarie e del fatto che più della
metà dei due milioni di abitanti ha problemi a trovare del cibo. Il taglio
dell'elettricità a Gaza, sottolinea Oxfam, rappresenta una misura illegale e
punitiva contro un'intera popolazione, per questo motivo Oxfam chiede che cessi
immediatamente e che tutte le parti coinvolte in questa crisi, garantiscano
agli abitanti il ripristino del normale approvvigionamento di elettricità e
carburante. Per questo motivo Oxfam ha lanciato in questi giorni in partnership
con le agenzie digitali palestinesi - la campagna #LightsOnGaza, chiedendo di garantire energia
elettrica alla popolazione della Striscia. Di fronte a un'emergenza umanitaria
di questa portata l'Autorità Nazionale Palestinese, le autorità che de facto controllano Gaza e Israele, devono prima
di tutto garantire la sopravvivenza a Gaza, smettendo di usare la popolazione
come merce di scambio per la risoluzione di dispute politiche.
Racconta padre Raed Abushalia, già direttore della Caritas di Gerusalemme
che opera nella Striscia di Gaza:
"Dal 2006 la gente di Gaza è chiusa all'interno della Striscia di 360 km quadrati, la più grande prigione del mondo a cielo aperto! Da allora non hanno che quattro o sei ore di elettricità al giorno. Durante l'estate fa caldissimo! Immaginate due milioni di persone senza elettricità; a Gaza c'è una sola stazione elettrica che non è sufficiente al fornimento di elettricità per tutta la Striscia. Dunque ricevono tre linee da parte dell'Egitto e sei linee di elettricità da parte di Israele. Adesso questa nuova misura di "punizione collettiva" ha ridotto la quantità di elettricità fornita da parte israeliana con la scusa che le autorità palestinesi non pagano la fattura. Ma a soffrire sono i civili che sono già poveri e devono vivere in questa situazione che potrebbe veramente distruggere, mettere in ginocchio, tutto il sistema sanitario. Voi dovete sapere - prosegue il responsabile della Caritas - che non c'è cibo; dovete sapere che a Gaza secondo l'ultimo rapporto dell'Onu, l'80% delle famiglie vive sotto la soglia di povertà. Il 46% della popolazione di Gaza è disoccupata e malgrado tutta questa situazione drammatica continuano a mettere al mondo bambini. Quasi cinquemila bambini nascono ogni mese! Questo vuol dire più di 55 mila bambini all'anno. Una resistenza che io chiamo "demografica". Allora immaginate tutta questa popolazione che deve vivere in questa situazione, chiusa nella più grande prigione del mondo. La situazione è drammatica e a pagarne il prezzo è questa povera gente.
"Dal 2006 la gente di Gaza è chiusa all'interno della Striscia di 360 km quadrati, la più grande prigione del mondo a cielo aperto! Da allora non hanno che quattro o sei ore di elettricità al giorno. Durante l'estate fa caldissimo! Immaginate due milioni di persone senza elettricità; a Gaza c'è una sola stazione elettrica che non è sufficiente al fornimento di elettricità per tutta la Striscia. Dunque ricevono tre linee da parte dell'Egitto e sei linee di elettricità da parte di Israele. Adesso questa nuova misura di "punizione collettiva" ha ridotto la quantità di elettricità fornita da parte israeliana con la scusa che le autorità palestinesi non pagano la fattura. Ma a soffrire sono i civili che sono già poveri e devono vivere in questa situazione che potrebbe veramente distruggere, mettere in ginocchio, tutto il sistema sanitario. Voi dovete sapere - prosegue il responsabile della Caritas - che non c'è cibo; dovete sapere che a Gaza secondo l'ultimo rapporto dell'Onu, l'80% delle famiglie vive sotto la soglia di povertà. Il 46% della popolazione di Gaza è disoccupata e malgrado tutta questa situazione drammatica continuano a mettere al mondo bambini. Quasi cinquemila bambini nascono ogni mese! Questo vuol dire più di 55 mila bambini all'anno. Una resistenza che io chiamo "demografica". Allora immaginate tutta questa popolazione che deve vivere in questa situazione, chiusa nella più grande prigione del mondo. La situazione è drammatica e a pagarne il prezzo è questa povera gente.
Le guerre, tre negli ultimi nove anni, oltre a lasciare morti, macerie e
distruzione hanno segnato profondamente la parte più vulnerabile della
popolazione gazawa, donne, anziani e soprattutto bambini. Statistiche rilasciate da agenzie umanitarie internazionalialtro
hanno stimato in oltre 350mila i bambini traumatizzati dalla sola guerra del
2014; 250mila quelli che vivono in condizioni abitative non idonee. La quasi totalità dei 950.000 bambini gazawi soffre di
sintomi psicologici e comportamentali propri del disturbo da stress post-traumatico
(PTSD), tra cui aggressività, depressione, enuresi, flashback e un attaccamento
psicotico alla madre o ad un familiare.
Ayesh Samour, direttore dell'unico ospedale psichiatrico presente nella
Striscia, spiega: "Ai bambini di Gaza è stata negata un'infanzia normale a
causa dell'insicurezza e instabilità del loro ambiente. E non temporaneamente.
Una cultura di violenza e di morte pervade nella loro mente, rendendoli più
aggressivi e arrabbiati". "La mancanza di medicinali a Gaza – afferma
Jehad Hessi, docente universitario e consulente dell'ospedale 'Ahli Arab' – è
un altro dei gravi problemi che affliggono Gaza. Non disponiamo del 45% dei
cosiddetti medicinali di base. Non esiste radioterapia, spesso i malati
oncologici cominciano un protocollo di cure che poi devono abbandonare per
l'esaurimento dei medicinali".
Il responsabile dell'Onu per gli Affari umanitari, Robert Piper, ha dichiarato che Gaza è
"invivibile". Piper non ha esagerato, ha fotografato la
realtà. Una realtà voluta dagli uomini e non imposta da una calamità naturale.
Gaza si spegne. Nel silenzio del mondo...
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