Settanta migranti etiopi sono annegati
nel naufragio di un’imbarcazione al largo delle coste dello Yemen, all’ingresso
del Mar Rosso. La barca che trasportava i “clandestini” del Corno d’Africa pare
si sia capovolta al largo di Al Makha, città portuale: gli scafisti, raccontano
i superstiti, hanno gettato in mare la “merce” temendo di essere intercettati.
Cosa
volete che siano 70 vite di etiopi.
Noi,
quando c’era Lui, eravamo capaci di ben altro.
Pochi
sono coloro che uscendo dagli slogan di “feissbuch” sapranno rispolverare la
memoria breve sollecitata invano sui banchi di scuola. Qualcuno forse ricorderà
di aver studiato di quel tempo in cui, fra il 9 e l’ 11 aprile 1939, lo Stato
maggiore dell’Esercito italiano, attraverso un manoscritto privo di
credenziali, si occupava della zona di Debra Brehan, circa 100 km a Nord di
Addis Abeba, nell’alto Scioa. L’ordine: reprimere i partigiani di Abebè Aregai,
capo del movimento di liberazione etiope, il quale rifiutava di arrendersi
nonostante la “magnifica” preponderanza delle forze di occupazione italiane. La
resistenza etiope fatta di vecchi, donne e bambini diede il suo bel daffare al
supponente esercito italiano. Ma noi avevamo Lui, LUI sì, che con la sua
roboante retorica intimava ai suoi sottoposti di stroncare la ribellione su
quelle montagne che restavano inespugnate a tre anni dall’ ingresso di Badoglio
ad Addis Abeba. Arduo, se non impossibile appariva il compito e quindi si
risolsero quegli “italiani in divisa, brava gente” a servirsi delle bombe
a gas d’ arsina e iprite, armi letali, vietate dalle convenzioni
internazionali. Troppi i cadaveri: esseri umani che morirono avvelenati.
All’alba dell’11 aprile quasi 800 ribelli etiopi finirono fucilati su «ordine
del Governo Generale», operazione facile per i lanciafiamme che sfecero uomini,
donne e animali – tanto tutti uguali erano – poi ne furono eliminati
altri 62, di cui due donne; così ricorda Matteo Dominioni in “Lo sfascio dell’impero. Gli italiani in Etiopia
(1936-1941)“.
Oggi
i mass media ci parlano di questi 70 migranti che il mare si è inghiottito.
Cosa potranno mai contare, rapportati a questo gioco bastardo che mette sulla
bilancia vite privilegiate come la mia, come le nostre, rispetto all’eroica
umanità che incurante dei marosi, dei mafiosi, della calura, di Lucifero, della
politica, dell’Europa, è capace di sfidare il destino per concedersi
l’opportunità di un domani? Fatico a dirlo: NON MOLTO. E mi vergogno,
osservando dall’oblò protetto del mio misero giardino quello che siamo stati e
che siamo. Si provo molta vergogna. Mi sento il peso dell’infamia che non è mai
stata cancellata dal nostro recente passato. Che passato non è, se i
Salvini e i piddini si somigliano tanto nel blandire l’Europa e la pancia
dell’italiota.
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