L’altra notte
un filmato arriva sul mio cellulare. Da Raqqa a Napoli in un secondo. È il
video appena girato di una donna ferita giunta in fin di vita in uno dei centri
medici allestiti fuori dalla città siriana di Raqqa da Un ponte per… con la Mezzaluna Rossa Curda. In un minuto la donna è assistita,
curata, riportata in vita. Grazie a medici e ai defibrillatori che
abbiamo acquistato insieme a 15 ambulanze. Ambulanze che corrono senza sosta da
Raqqa ai centri medici messi su in palazzi abbandonati e pieni di buchi di
proiettili.
Oggi siamo
di fronte a nuovi e – se mai possibile – peggiori rischi. Perché è diffuso il timore che Daesh
possa sferrare attacchi chimici. Diversi sono i
sospetti che a Raqqa siano conservate armi chimiche e varie organizzazioni
dell’Onu si stanno organizzando per fare formazioni a chi opera sul campo su
come affrontare un’emergenza
sanitaria causata da agenti chimici. E su come lavorare sulla
decontaminazione in un contesto dove gli ospedali sono pochi e non attrezzati.
La battaglia di Raqqa va avanti ormai da alcuni mesi senza
sosta. Le forze curdo-arabe del SDF,
con l’appoggio della Coalizione internazionale, e in particolare degli Stati
Uniti, conquistano ogni giorno pezzi di territorio a Daesh. Raqqa sarà liberata nei prossimi mesi,
ma intorno rimangono solo macerie e persone terrorizzate. Anche gli
operatori umanitari sono spesso target di attacchi e molti presidi sanitari
sono stati bombardati negli ultimi anni.
Nonostante
gli incerti successi, vite salvate, persone accolte mentre fuggono, questi sono
giorni molto tristi. Sono giorni in cui
da un lato osserviamo sul campo gli effetti della guerra e cerchiamo di
lenirli, con i nostri limitati mezzi e limitate forze; dall’altro
ogni giorno leggiamo uno sproporzionato attacco alle Ong, che mina il senso del
nostro impegno.
Un attacco
condotto soprattutto in Italia e non in altri paesi dell’Unione Europea. Un attacco contro quel tessuto sano di
solidarietà della società civile che ancora ci difende e ci protegge dalla
barbarie che osserviamo in luoghi come la Siria. Chi ha orchestrato
questo attacco e i suoi sostenitori di tante forze politiche dovrebbero esserne
consapevoli. Perché ogni passo indietro contro la barbarie è un passo indietro
per tutti. Come accettare i
centri di detenzione in Libia la cui essenza di lager è nota da un decennio.
In Siria,
come al largo della Libia, il problema è lo stesso. In che misura riusciremo ad arginare gli
effetti nefasti delle guerre, della violenza cieca di questi anni? Facendo
guerra ai più disperati? Respingendoli contro il Diritto Internazionale in alto
mare? Lasciandoli soli fuori da Raqqa dopo anni alla mercé di Daesh?
Infrangendo tutti e sistematicamente – non solo i brutti e cattivi – quel
sistema di fragili regole di convivenza che il mondo si è faticosamente dato
dopo la seconda guerra mondiale?
Questo attacco alle Ong ci rende tutti più deboli. Sia chi sta soccorrendo le vittime
di Daesh, sia chi sta in mare. Tre Ong si sono già ritirate dalle acque a largo della
Libia. Domani il nostro impegno darà fastidio
anche altrove. E rimarranno un giorno tante persone bisognose sole. E ci
sarà sempre più rabbia delle vittime e dei persecutori.
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