venerdì 25 agosto 2017

L'uomo che voleva essere colpevole - Henrik Stangerup

ambientato in un futuro non troppo lontano, qualsiasi cosa si faccia verrà perdonata, chi vuole soffrire lo faccia, ma la società ti perdona, riscrive, ridefinisce, riclassifica quello che hai fatto, le parole sono potenti.
ma tu sai che hai fatto qualcosa che non dovevi, vuoi espiare, vuoi pagare, non vuoi passarla liscia, ma la società buona, un grande fratello accogliente, che invita all'oblio, ha le sue regole, non si può scappare.
libro che non lascia scampo, da non dimenticare (dopo averlo letto, naturalmente).







Copenaghen, una sera qualunque, un appartamento come tanti in un condominio come tanti: bonsai sul tavolino, finestra con vista su un albero morente. Un uomo, dopo una lite violenta, uccide sua moglie. Una storia come tante. Ma l’azione si svolge in un prossimo futuro, appena posteriore al nostro, e in una società che molto somiglia all’ideale modello della socialdemocrazia scandinava, deformata quel che basta a renderla più universale. Inquietante realizzazione di un’utopia, con l’amara constatazione che “ogni passo nella direzione giusta ne determina sempre troppi in quella sbagliata”. Il mitico stato che si prende cura del “bene comune dalla culla alla tomba”, si è trasformato in una gabbia di conformismo, regno del consenso e dell’eufemismo, in cui tutto è pianificato e obbligatorio, compresa la felicità. Poiché l’omicidio non è che insufficiente adattamento sociale, Torben, l’assassino, viene sottoposto a cure psichiatriche e rimesso in libertà. Ma, contro le regole di un sistema che nega la responsabilità individuale, Torben si ostina a voler essere giudicato e punito per quel che ha fatto. L’uomo che voleva essere colpevole è in realtà la storia di un kafkiano “processo” alla rovescia: l’inutile e sempre più assurdo tentativo del protagonista di dimostrare la propria colpa, l’angosciante senso di isolamento, la spirale di dubbi e incertezze, lo sfaldarsi dell’identità e della realtà stessa, diventano sinonimi della condizione umana in un mondo che rifiuta la dimensione etica e che si illude di delegare alla scienza la soluzione dei problemi morali. Solitari destinati a perdere in un’impari lotta contro il loro tempo, malati di trascendenza, i personaggi di Stangerup, figli di Kierkegaard, preferiscono sempre e comunque prendere il rischio della loro verità e provare a essere “Quel singolo” che il filosofo danese voleva scrivere sulla sua tomba.

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