martedì 1 ottobre 2019

Ciao Piero Scaramucci, caro collega, grande persona - Ennio Remondino




Amici e compagni nella lontananza
Anni, almeno un decennio che non vedevo o sentivo Piero Scaramucci. Ma quando mi capitava di pensarlo, una notizia, una memoria, lui era lì, amico fresco, sorridente e ironico di ieri e di sempre. Leggo sul Manifesto della sua scomparsa ed è groppo alla gola. Troppe cose da dire, troppi ricordi che affiorano. Meglio affidarsi alla memoria altrui.
Beppe Giulietti, presidente della Federazione della Stampa ce lo ricorda nella sua multiforme attività e impegno costante: fondatore di Radio Popolare e del Gruppo di Fiesole, dirigente della Federazione della Stampa e dell’Usigrai, autore di straordinarie inchieste sulla “Strage di Stato”, inviato della Rai, sempre dalla parte degli ultimi, degli oscurati, degli invisibili.
«Antifascista da sempre, nemico di ogni prepotenza, aveva nel cuore la Costituzione e il suo articolo 21, anche a lui si deve la nascita della nostra associazione. Sino alla fine ha portato il suo contributo alle istituzioni dei giornalisti, partecipando come delegato eletto a Milano nelle liste di Nuova Informazione e, anche in quella occasione, ci ha invitato a procedere sulla strada della tutela della Costituzione antifascista e antirazzista, senza nulla concedere al pessimo “spirito dei tempi” e al silenzio complice degli opportunisti di ogni natura e colore».
Toccante il ricordo di chi gli ha lavorato accanto sopratutto nell’impegno professionale e della militanza a Radio Popolare, col suo rientro nel 1992 dopo esserne stato fondatore nel 1976. «Sono molte le generazioni che hanno potuto apprezzare il “Diretur”, standogli a contatto e ricevendo telefonate inaspettate per anticipare, arricchire o rincorrere la notizia cui lui spesso dava priorità, anche a costo di mantenersi fuori dal coro», ricorda Mario Agostinelli
Le notizie giornaliere sulla Siria, la necessità di «risarcire» Pinelli e Valpreda, la minuta ricostruzione della continuità delle stragi fasciste, la guerra del Golfo e l’attacco aereo a Belgrado, ripetutamente commentati in antitesi con la retorica della «guerra giusta».
Adriano Sofri lo ricorda come esempio di capacità, onestà e indipendenza. «Un giornalista prestigioso e libero – una volta gli arrivò la proposta di un incarico di gran rilievo nazionale alla Rai, e preferì dire no. Poteva succedere che quel connotato, “giornalista”, gli venisse affettuosamente rinfacciato, da suoi compagni per i quali il giornalismo era soprattutto agitazione politica».
«Ho trovato – la cosa che mi ha colpito di più, e mi ha colpito di non averne saputo – che lo scorso 25 aprile Piero, invitato dal Comune di Pavia a ricordare la Liberazione, ne era stato all’ultimo momento escluso, censurato, da un presidente di provincia che aveva proclamato: “O lui o io!”. In un certo senso, nel senso raddrizzato, aveva ragione. Piero disse il suo discorso, all’ora in cui l’avrebbe tenuto in piazza, alla Radio Popolare, la sua creatura più cara, e là lo si può riascoltare».

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