lunedì 14 ottobre 2019

Ma chi cazzo è quel Nobel? - Cosimo Filigheddu



Fra un po’ comunicheranno il nome (anzi, pare i nomi) del nuovo Nobel per la Letteratura e io mi ricordo di questa cosa, quando al giornale ero capo delle pagine culturali, che ti capitava tra capo e collo. Il fatto è che a un certo punto ci fu un’infilata di premiati che non sapevamo chi cazzo fossero. E non lo sapeva nessuno, anche se tutti facevano finta di saperlo. E non c’era verso. Tra l’altro Google non l’avevano inventato o forse a Sassari non era ancora arrivato, boh.
Arrivava il primo lancio d’Ansa con il nome e la data di nascita. Che me ne potevo fottere alla grande della data di nascita, se non per il fatto che magari constatavo che era già vecchio e mi dicevo
-Bastardo, e non poteva crepare prima di rompere i coglioni a me?
Poi dovevi aspettare almeno mezz’ora in cui ti immaginavi i redattori dell’Ansa disperati che aspettavano le agenzie estere, ma anche queste erano in difficoltà. E alla fine, immaginavo, i corrispondenti delle agenzie della nazione del premiato, che lo rintracciavano probabilmente dagli elenchi del telefono e lo intervistavano
-Scusi, ma lei chi cazzo è?
E avute le prime scarne informazioni potevano rilanciarle via via sino alla mia redazione dove finalmente potevamo lavorarci sopra.
Poca roba. Allora che la carta costava di meno, sul Nobel si sarebbero dovute fare paginate, invece tiravamo fuori poco. E il direttore, immensa faccia da culo, veniva al mio tavolo a fare le smorfie.
-Ma come, danno il Nobel a Sempronio Lumumba e tu mi fai soltanto mezza paginetta?
Proprio lui che prima di fare questa sceneggiata si era ripassato otto volte il nome per non dimenticarselo nel tragitto dal suo ufficio.
Insomma, allora telefonavo a certi nostri collaboratori che erano il meglio della cultura sarda e cominciavo alla lontana.
-Sai, poco fa hanno assegnato il Nobel per la Letteratura.
-Ah, bene. E a chi?
-Sempronio Lumumba.
Silenzio.
-Naturalmente lo conosci.
-E… beh… naturalmente…
-Ti sembra una buona scelta?
Silenzio.
-Mi faresti un pezzo?
-Quando?
-Ora, subito.
Gli uomini e le donne di cultura ancora non avevano il telefonino e quindi non potevano rispondere “pronto, pronto, non c’è segnale…”. Però erano cagionevoli di salute e in queste circostanze erano sempre malati.
Quando i colleghi mi vedevano concludere la telefonata con la faccia scura, mi chiedevano comprensivi
-Non lo fa?
-No, sta male.
-E cosa c’ha?
-Le piaghe da decubito ci avrà, maledetto fannullone mangiapane a tradimento.
E aggiungevo scrutando intorno con sguardo inquisitorio
-E poi scommetto che neppure sa chi è Sempronio Lumumba.
E i bastardi, scandalizzati
-Ma no, figurati, un intellettuale come lui non può ignorare chi è Sempronio Lumumba.
Che poi mi venivano i complessi di colpa per la mia ignoranza che cercavo di reprimere convincendomi che fosse ampiamente condivisa. E immaginavo le difficoltà dei giornalisti antichi, quelli che non c’avevano neppure il telefono su ogni scrivania, quando avevano dato il Nobel a Grazia Deledda. Chissà quanto gliene hanno detto, povera donna.
Oh, però una volta ho avuto un giorno di gloria.
Fu nel 1988, quando arrivò l’Ansa con la notizia del Nobel a Nagib Mahfouz. Per caso avevo letto da poco “Vicolo del mortaio” e mi era preso questo fascino straniante perché mi immaginavo un Vasco Pratolini fuori da spazio e tempo paracadutato in Egitto. Tanto che cominciai a interessarmi a lui.
Sollevai gli occhi dal foglietto d’agenzia e mi guardai intorno.
-Ah, avete visto? Il Nobel a Mahfouz.
I colleghi non si esposero. Solo uno, il più sincero, mi chiese.
-Cosa c’era oggi, il Nobel per la Fisica?
Poi, vedendo il mio cipiglio nobile e severo, fece una risatina nervosa, come a dire che scherzava.
Manco per i coglioni che stava scherzando.
Comunque mi misi a scrivere grandi pezzi sul vincitore sulla base delle scarne notizie dell’Ansa e sono convinto che i miei colleghi pensino tuttora che gli abbia giocato uno scherzo con la complicità degli accademici di Svezia che mi avevano detto in anticipo il nome del vincitore per darmi modo di prepararmi.
Un altro trionfo, ma il giornale qui non c’entra, lo ebbi nel 2006 con il Nobel a Orhan Pamuk.
Ma qui occorre una premessa. Io vado alla libreria Koinè di Aldo Addis, che non è solo un negozio dove si vendono libri ma anche un circolo spontaneo dove librai e clienti hanno il piacere di incontrarsi e di chiacchierare mentre si fruga sui banconi.
Una volta, durante un Festival di Sanremo, chiesi ad Aldo
-Hai visto ieri gli Avion Travel?
-“Sentimento”, fantastica- rispose.
Aggiunsi
-Meriterebbe di vincere Sanremo, ma figuriamoci se fanno vincere una cosa così bella.
Dopo che gli Avion inusitatamente avevano vinto Sanremo, ricapitai in libreria e Aldo mi guardò con faccia strana.
Poi mi prese l’innamoramento per Pamuk, che ancora non era propriamente uno scrittore di fama popolare, e quando infine lessi “Istanbul” dissi ad Aldo.
-Questo è uno scrittore da Nobel, ma figurati se danno il Nobel a Pamuk.
Qualche giorno dopo, alla notizia del Nobel assegnato a Pamuk, Aldo mi fece una singolare telefonata.
-Senti, so che di calcio non te ne frega niente, ma dovresti farmi un favore.
-Se posso…
-Sai che io sono tifoso della ***?
-Non lo sapevo, me ne compiaccio.
-Grazie. E’ che…
-Dimmi, Aldo.
-Senti… dovresti venire qui in libreria e dire a voce alta: “E’ una grande squadra ma figuriamoci se le fanno vincere il campionato”.

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