domenica 28 giugno 2020

Il Quarto stato non convocato - Gianfranco Laccone


L’epidemia di Covid-19 ha sconvolto società, economia, abitudini, costumi. I governanti della gran parte degli Stati hanno cercato di rassicurare la popolazione assumendo alcune misure, in taluni casi perfino fingendo indifferenza. Da noi, dopo il blocco delle attività socio-economiche, sono stati indetti gli “Stati generali dell’economia”.  
Se si consulta Wikipedia alla voce “Stati generali”, si trova questa definizione: “Con Stati generali si indica un organo di rappresentanza dei tre ceti sociali esistenti nello Stato francese prima della Rivoluzione francese del 1789. L’assemblea, di origine feudale, disponeva della funzione di limitare il potere monarchico”. Fare parallelismi storici di tal genere può essere scorretto e fuorviante, ma talvolta può servire a mostrare, anche ironicamente, i “non detti” e/o i paradossi delle situazioni attuali. 
Chi convocò gli Stati generali in Francia nel 1788 (gli eletti si riunirono l’anno dopo) utilizzò una vecchia istituzione della monarchia, sperando in cuor suo di bloccare e al tempo stesso d’ingabbiare le richieste di cambiamento che provenivano dai “tre ceti sociali”. Non immaginava, neanche lontanamente, cosa sarebbe successo con il meccanismo che aveva messo in moto; altrimenti, forse, avrebbe scelto altre strade.
A tal riguardo, propongo un’analogia, sia pur assai ardita, con l’iniziativa di Giuseppe Conte, stretto tra le risposte da dare al Paese e la necessità di tamponare le richieste dei “tre ceti sociali esistenti” prima del Covid-19 (imprenditori, lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi), ognuno con le proprie richieste, alcuni con i loro privilegi, tutti timorosi del futuro, come lo erano anche in Francia un paio di secoli fa. I fatti di allora avrebbero poi dimostrato che v’era una parte degli Stati generali, convocata dalla Corona, che aveva capacità e volontà di cambiamento: era la borghesia francese, che avrebbe elaborato una nuova idea di Stato e di società, racchiusa nel motto “liberté, egalité, fraternité”: quello che ancor oggi è considerato il fondamento delle nostre democrazie, sia pur spesso con poca convinzione, quando non è  messo apertamente in discussione. La convocazione degli Stati generali è, pertanto, un atto dal significato profondo, che allude a grandi cambiamenti. Da qui il dubbio: ci sarà oggi un “Terzo stato” in grado di cambiare il nostro Paese? E quale “ceto sociale” sarebbe in grado di rispondere alle esigenze rese evidenti dalla pandemia?
La storia degli Stati generali mise subito in primo piano l’incongrua divisione in tre stati e portò alla luce ciò che fu definito il “Quarto stato”. Anche attualmente, come da copione, esiste un Quarto stato non convocato: quello degli esclusi, degli invisibili, dei non garantiti, dei non-cittadini, dei supersfruttati; quelle e quelli che Serge Latouche definirebbe i “naufraghi del pianeta”. Peraltro, dal 1798 a oggi molti dei momenti significativi della storia sociale, avviatasi in Francia con la convocazione degli Stati generali, furono realizzati proprio dal Quarto stato, che nei secoli successivi avrebbe rappresentato l’asse portante della lotta per ottenere cambiamenti sociali. Di tali cambiamenti restano ancora tracce (le otto ore, la pensione, l’assistenza sanitaria…), anche se progressivamente erose da quelle classi sociali privilegiate che nel corso del tempo avrebbero accumulato potere e benefici di cui ora non intendono affatto privarsi.
Benché al giorno d’oggi sia perlopiù dotato di cellulare, in non pochi casi perfino di automobile, il Quarto stato è per alcuni versi tuttora identificabile con quello rappresentato nel grande dipinto che Giuseppe Pellizza da Volpedo, pittore italiano, realizzò dal 1898 al 1901. Senza volare troppo in alto, e non sappiamo se memore di quel che avvenne dopo il 1789, Conte si è affrettato a ricevere il sindacalista della USB, Aboubakar Soumahoro,  la cui personalità e biografia sono esemplari di alcune delle peculiarità del Quarto stato odierno: estraneo com’egli è a schemi nazionali e nazionalistici, nonché portatore di dignità, professionalità, cultura, caratteristiche solitamente sottovalutate nella società attuale.
Perché i cahiers de doléance  dell’odierno Quarto stato, femministe comprese, siano presi sul serio e i soggetti che li rappresentano ottengano almeno alcuni dei diritti giustamente rivendicati, basterà una semplice presa d’atto? Direi di no, poiché le loro rivendicazioni meritano ben altre risposte di quelle arrivate finora e necessitano di ben altre mobilitazioni che non quelle viste in questo periodo in Italia. Coinvolgere e riconoscere il ruolo decisivo di tale Quarto stato sarà il grande problema del futuro. Esso, pur non invitato, si è presentato agli Stati generali di Villa Doria Pamphilj, avanzando critiche e rivendicazioni, e attendendo risposte: per ora educatamente. Perciò Conte non si è allarmato, sebbene la storia passata avrebbe dovuto procurargli qualche inquietudine.
Chi, invece, sembra aver visto oltre la metafora e aver gridato allarmata è stata la destra reazionaria (oggi si dice sovranista), che ha ravvisato in quella convocazione degli Stati generali addirittura una delegittimazione del Parlamento e delle istituzioni. Verrebbe da sorridere: è stata giusto quella destra a contribuire decisamente alla delegittimazione del Parlamento; quanto alle “doglianze” e rivendicazioni del Quarto stato, essa ne è stata la causa principale, con i suoi programmi economico-sociali  ultraliberisti, oltre che reazionari e razzisti. In realtà, la strategia di superamento delle istituzioni, iniziata con la crisi di governo proclamata nell’estate del 2019 da Salvini, somiglia (volendo usare un’altra metafora) alle guerre-lampo: non può durare a lungo e conduce al logoramento di chi le ha proclamate nonché al disastro di chi vi partecipa. In più, la pretesa della destra di sostituire all’Unione Europea un altro prestatore (che siano gli Usa, la Russia, la Cina o “i mercati”) è gravida di minacce: sgretolerebbe un sistema di certo imperfetto, faticosamente costruito, ma per ora privo di realistiche alternative immediate. 
Come accadde al momento della convocazione degli Stati generali in Francia, i principi su cui si fonda il sistema sono cambiati. Alla fine del Settecento, dopo il grande lavoro dei filosofi dell’Illuminismo, furono messi in discussione i cardini delle monarchie assolute: la “discendenza divina” del sovrano, la sua intoccabilità, la possibilità di decidere e governare senza controllo. Oggi sono caduti i miti della mano invisibile del mercato e dello sviluppo a tutti i costi; e sono emersi i limiti del sistema denunciati dal “club di Roma” all’inizio degli anni Settanta. Più recentemente, è andata affermandosi la necessità del rispetto della natura e del mondo animale, insieme con le istanze propugnate dai teorici della decrescita.
Ormai le formule economia circolare, sviluppo sostenibile, rispetto dell’ambiente sono usate a mo’ d’introduzione ad ogni proposta realistica e progressiva: sono istanze che potrebbero contribuire a risollevare il Paese ben più dell’ “andrà tutto bene” o degli applausi dai balconi e delle bandiere nazionali esposte alle finestre…
Forse ci sarà spazio anche per il nuovo, forse la rivolta attuale dei Black Lives Matter non si perderà nei caldi estivi, come è avvenuto in molte altre occasioni. Forse la pur fugace apparizione di  Aboubakar  Soumahoro sul palco della grande kermesse, nonché quella delle ONG e del movimento Friday for Future è comunque un segnale positivo, per quanto minimo.
La pandemia ha rafforzato alcune certezze a proposito di cosa sia imperativo contrastare: lo sfruttamento, il razzismo e il sessismo imperanti, l’inquinamento del pianeta, la mercificazione e il massacro seriali dei non-umani. E ciò mentre l’economia decresce, inesorabilmente ed infelicemente, a causa della finitezza delle risorse. Il tema della decrescita felice in quanto governata − che fu sbeffeggiata da molti economisti quale ritorno all’età della pietra− andrà assolutamente ripreso ed elaborato.

Nessun commento:

Posta un commento