venerdì 3 maggio 2013

A chi giova la sofferenza? - Guglielmo Pepe


Il video di Piera Franchini, nel quale racconta la sua decisione di porre fine alla malattia scegliendo l’eutanasia, è molto toccante. Non c’è recitazione. Soltanto lei e la sua testimonianza, razionale eppure emozionante. Le parole trasmettono un desiderio intenso di vivere consapevolmente e coraggiosamente le ore che le restano. Chi dice che non c’è coraggio nel suicidio, prima dovrebbe avere la forza di confrontarsi con il racconto di Piera. Soprattutto quando parla di «sofferenza fine a se stessa, che non giova a nessuno. A chi giova la sofferenza mia e di tanti altri? A che serve? Per quale motivo io devo soffrire fino a morire? Perché si soffre fino a che si muore! Chi può arrogarsi il diritto di dire e di fare questo? Se non io, io, io…».
La domanda più intensa, forte, di Piera è «a chi giova la sofferenza?». Con questa dovremmo misurarci, per poter poi ragionare su accanimento terapeutico, testamento biologico, eutanasia legale…
Una domanda che in teoria coinvolge ogni anno decine e decine di migliaia di persone, tutte quelle colpite da tumore senza speranza, senza possibilità di guarigione, eppure condannate a patire perché la legge, quando viene applicata, ti dà soltanto cure palliative, antidolorifici. E poi, quanto devono soffrire i parenti, gli amici della persona malata? E’ egoismo scegliere consapevolmente di porre fine alla malattia, oppure inchiodare i familiari ad un percorso di dolore estremo, profondo, psicologicamente distruttivo?
Se ci fosse davvero il libero arbitrio, dovremmo essere messi tutti nella possibilità di scegliere come vivere. E come morire.

Nessun commento:

Posta un commento