martedì 9 luglio 2013

La globalizzazione dell'umanità - Emiliano Deiana

La visita del Papa a Lampedusa
Ci voleva un Papa, evidentemente.
Ci voleva un Papa per dire quello che la politica non dice, per affermare un nuovo umanesimo attraverso la parola e il corpo, nella solitudine di un abito bianco in mezzo a quei corpi sfuggiti da guerre, fame e carestie. In mezzo ai visi sporchi, cotti dal sole e dalla salsedine che solo per il calcolo delle probabilità sono sbarcati su quell'isola e non sono, invece, affogati come altre migliaia: sconosciuti, dimenticati.
Non credo che ci sia calcolo nelle cose di questo Papa, c'è molto istinto, molto rischio, molto caos interiore. C'è intuizione nello scegliere le parole, nella semplicità del discorso, nella profondità del pozzo dove le pesca le parole.
Ma più di tutto c'è il corpo che si fa messaggio e passaggio, incontro, accoglienza, abbraccio, carezza.
E c'è quel discorso sugli ultimi, quell'incontro ricercato, perduto e ritrovato dalla Chiesa secolarizzata, dalla Chiesa del potere, degli agi, degli ori, dei vizi.
E non c'è un posto, nell'Europa mediterranea che significhi più e meglio di Lampedusa le contraddizioni del mondo, un luogo dove si incontrano le miserie: degli stranieri, degli autoctoni che tutto sopportano, degli apolidi, dei clandestini, di chi solca il mare perchè speranza non ne ha più.
Un luogo che è incrocio di mille altri luoghi, di onde che si attorcigliano alle gambe del naufrago per ghermirlo ed affogarlo, un luogo che si fa destino, che si fa galera e prigione secondo i dettami fascisti della legislazione italiana.
E va lì questo Papa senza il codazzo dei politici in fila per una foto, ci va da solo senza curia, senza gli approfittatori e parla con parole leggere, parole d'amore, di tenerezza, di conforto…

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