mercoledì 24 luglio 2013

Se la stabilità si trasforma in idolatria - Barbara Spinelli

...La stabilità assurge a valore supremo, non negoziabile, e se vogliamo custodirla dobbiamo disgiungerla da princìpi democratici essenziali come l'imperio della legge, la responsabilità del governante, la sua imputabilità: tutte cose che turbano. Viviamo nel regno della necessità e del sonno, non della libertà e del divenire. Non c'è alternativa alle larghe intese, da cui ci si attende nientemeno che la pace, o meglio la pacificazione. Cos'è stata ed è l'opposizione a Berlusconi? Guerra. Le critiche a Alfano? Guerra. L'Italia ha già vissuto epoche simili, a bassa intensità democratica: sin da quando fu necessario, nella Liberazione, far patti con la mafia. O nella guerra fredda, escludere i comunisti dal governo. Stesso clima negli anni della solidarietà nazionale contro il terrorismo, dell'emarginazione di Falcone e Borsellino durante le stragi di mafia. La storia dell'Italia postbellica è cronicamente all'insegna della stabilità idolatrata.

Il mito delle larghe intese è figlio di questa idolatria. Dalla convinzione, diffusa nei vari partiti, che i mali del Paese siano curabili solo se lo scontro politico s'attenua, fra destra e sinistra: se i contrari si fondono, ut unum sint. Si glorifica il compromesso storico, e sulla sua scia le grandi coalizioni, le strane maggioranze. È un mito che urge sfatare, e non solo perché il Pdl di Berlusconi non è comparabile alle destre europee. Più fondamentalmente, il mito è un inganno...

...Come nella guerra la prima vittima è la verità, così nelle grandi coalizioni la prima vittima è il principio, autocorrettore, della responsabilità dei ministri, collettiva e individuale (art. 95 della Costituzione). Prioritario è durare: la sacrata stabilità è a questo prezzo. Il prezzo di una responsabilità triturata dai sofismi (è politica? o oggettiva?), di una Costituzione disattesa, o di una moratoria chiesta dalla destra sulle questioni etiche (leggi su omofobia o coppie gay: una promessa elettorale della sinistra). Difficile chiamare stabilità questo non strano, più che ovvio guazzabuglio...
...Le unioni nazionali funzionano sempre male, ma se funzionano è perché ciascuno riconosce e rispetta i limiti che il partner non può valicare senza rinnegarsi. La grande coalizione di Weimar naufragò perché Hindenburg l'aveva suscitata col preciso intento di consumare i socialdemocratici. La morte della democrazia parlamentare era programmata dall'inizio; il governo presidenziale di Brüning, ultimo Cancelliere della Repubblica, era già da tempo concordato tra Centro cattolico e destre popolari.

I guai succedono quando l'abitudine alla non-responsabilità diventa tassello principale della stabilità, o governabilità. Enorme è il chiasso, ma ogni cosa stagna: è la stasi. Nessuno si avventuri a staccare spine, ammonisce Napolitano. Tantomeno si provi a irritare i mercati e le banche d'affari, che già l'hanno fatto sapere: non si fidano di Stati con Costituzioni nate nella Resistenza (rapporto di JP Morgan del 28-5-13). Per questo è interessante sapere quel che intenda la Banca d'Italia, quando nell'instabilità vede un freno alla crescita. Quale stabilità?

Ci sono momenti in cui si ha l'impressione che l'Italia abbia vissuto nel Regno della Necessità quasi sempre, tranne nel momento magico del Comitato di liberazione nazionale, della Costituzione repubblicana. I governanti che sono venuti dopo sono stati potenti stabilizzatori, più che responsabili. Quando parla al popolo, lo stabilizzatore gli dà poco rispettosamente del tu e d'istinto cade nel frasario del gangster: "Ti faccio un'offerta che non potrai rifiutare".

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