lunedì 25 gennaio 2016

Il silenzio dei dirigenti davanti alla distruzione della scuola pubblica - Marina Boscaino

Sono anni che la scuola statale subisce attacchi nobilitati dalla formula “razionalizzazione e semplificazione” e dalla retorica dell’innovazione.
Istanze che sono coincise – grosso modo – la prima con una periodica ed implacabile stretta alla borsa, che ha realizzato sulle spalle della scuola uno dei più strabilianti risparmi di bilancio che si siano mai verificati: diritto allo studio e diritto all’apprendimento, gli ultimi dei problemi; l’altra, con l’infiltrazione subdola, di matrice neoliberista, come la prima, di parole d’ordine che hanno plasmato menti, approcci, procedure, ma che non hanno apportato alcun significativo beneficio alle pratiche concrete, né – ancora – agli apprendimenti degli studenti. Bensì, ammantando di un’aura di modernità il funzionamento delle scuole, hanno foraggiato amici degli amici e stornato l’attenzione dall’incoerenza che il restyling presentava rispetto all’intenzionale disinvestimento in settori ben più strategici per la realizzazione della Scuola della Repubblica.
Un perverso progetto culturale che ha allontanato, senza che i più se ne accorgessero, la scuola statale dalla funzione di viatico di uguaglianza e pensiero divergente e laico che la Costituzione le affidò.
Le ondate di resistenza a queste condizioni coerentemente portate avanti da governi di ogni colore politico sono state intermittenti e significative, e hanno visto – a parte la costante pressione di un movimento che, più o meno tenacemente, non smette mai di esprimere le proprie ragioni e di elaborare proposte alternative – le punte di diamante più recenti nell’autunno del 2008 (Gelmini), del 2012 (Profumo), nella primavera del 2015 (l’attacco più infido e pericoloso: Giannini e la Buona Scuola). Non dimenticando le battaglie contro il “Concorsaccio” e l’autonomia scolastica di Berlinguer e, nel 2003, la controriforma Moratti.
Una domanda sorge spontanea: dove erano i dirigenti scolastici? A parte sparutissime avanguardie, che si contano letteralmente sulle punte delle dita di una mano (Simonetta Salacone e Renata Puleo, ad esempio, di cui mi onoro di essere amica), non pervenuti. La loro assente partecipazione alle battaglie per la difesa della scuola della Costituzione, la loro incapacità di esporsi in prima persona – timorosi, conniventi, inerti, esecutori acritici – davanti alla sopraffazione e all’arbitrio con cui la scuola è stata trattata; la loro pervicacia nel lasciarne la difesa nelle mani di docenti e studenti, tanto ostinata da far pensare ad una volontà inesistente; la loro prontezza nel recepire e far propri i più retrivi provvedimenti di esautoramento della democrazia scolastica e di accentramento nelle proprie mani di poteri che la Costituzione ha pensato come cogestiti attraverso il criterio della collegialità; il loro zelo nel partecipare allo smantellamento dell’unitarietà del sistema scolastico nazionale, assumendo prontamente il ruolo di autopromoter nel mercatino dell’orientamento. Insomma, è ormai fatto acclarato: la voce dei dirigenti – tranne che in casi rarissimi – si è fatta sentire esclusivamente in merito a rivendicazioni salariali.
Per il resto, partecipare a battaglie per la difesa della scuola della Repubblica è stato – salvo in casi rarissimi – affare nostro, di docenti e studenti, soprattutto da quando,con il dlgsl 165/01 è stata istituita la dirigenza scolastica: il vecchio preside – figura didatticamente e pedagogicamente significativa – lasciava il posto, per consentirgli i primi vagiti, al manager, il dirigente, le cui responsabilità, già allora declinate in previsione aziendalistica, sono enunciate dall'art. 25 di quel provvedimento.
Da quel momento la scuola ha lentamente ma inesorabilmente assunto una organizzazione aziendalista e dirigista, nonostante le condizioni intrinseche alla democrazia scolastica dettate nei due articoli della Carta che la riguardano, che si configurano soprattutto nel principio della libertà dell'insegnamento.
Come è noto qualche tempo fa ANP, la più potente lobby dei dirigenti scolastici, in grado di suonare la grancassa senza colpo ferire ad ognuna delle brutture individuate nella Buona Scuola, pur di aumentare il “potere” (sic!) nelle mani dei dirigenti scolastici, ha fatto sapere – urbi et orbi – cosa pensa della democrazia scolastica, quale opinione ha dei docenti italiani, come ritiene di attuare le prescrizioni di quella odiosa e pedestre norma, ribadendo – persino in quella che riteneva una “spiegazione” rispetto agli attacchi subiti di conseguenza – di credere e sostenere senza esitazione la logica dell'uomo solo al comando.
Questi trasformisti di ogni stagione, che solo poco tempo fa fingevano di fare la voce grossa con il governo Berlusconi e consentono oggi a Renzi di produrre un danno ben peggiore alla scuola pubblica, non stanno facendo altro che confermare la loro antica vocazione autoritaria, impartendo alle modeste figure di dirigente scolastico che sono riusciti a far reclutare grazie alla propria “capacità contrattuale” indicazioni che addirittura enfatizzano il conflitto che la legge già di per sé ha istituzionalizzato nelle scuole.
Quello che stupisce, piuttosto (ma fino ad un certo punto), è che le organizzazioni sindacali che hanno al proprio interno – a questo punto in maniera evidentemente contraddittoria – sia dirigenti scolastici sia docenti e personale Ata, non siano state nemmeno in grado di balbettare un minimo di stigma agli attacchi ripetuti che i docenti italiani hanno subito verbalmente e stanno subendo concretamente da questa zelante schiera di esecutori della 107.
E – ancora di più – (ma questa notazione è pura retorica) che il ministro dell'Istruzione non abbia ritenuto necessario dover spendere una parola rispetto al trattamento che ANP intende riservare ai “docenti contrastivi” e alla democrazia scolastica.
La stragrande maggioranza dei dirigenti scolastici italiani che operano quotidianamente sul campo ha per altro ritenuto prudente anche in questa occasione tacere sulla questione e conveniente disinteressarsi delle sue possibili implicazioni.
In questo desolante panorama di mancato presidio di spazi di democrazia e di omessa denuncia degli attacchi alla serenità della vita scolastica condotti da chi ha come interesse prioritario l'esercizio del proprio potere e soprattutto del proprio sottopotere, fa per fortuna eccezione la voce di una pattuglia di dissidenti, che ha avuto il coraggio di dissociarsi apertamente da ANP mediante una lettera aperta.
Tale presa di distanza è stata ripetutamente ripresa e citata in rete e soprattutto interpretata da molti come esempio di nobile resistenza culturale e professionale alla deriva imposta dai tempi, mentre a mio giudizio essa non fa altro che confermare – me ne daranno atto gli stessi firmatari della lettera, alcuni dei quali conosco personalmente – il fatto che nel nostro strano Paese ciò che altrove rappresenterebbe una ovvia legittima indignazione contro una evidente, violenta e intollerabile violazione di un principio costituzionale basilare – la libertà di insegnamento, garanzia culturale e didattica dell'interesse generale – si configura invece come atto isolato, e pertanto straordinario, di un manipolo di coraggiosi.
A fronte di questo le firme apposto al documento sono soltanto 24, a sottolineare ancora una volta in maniera inequivocabile quale sia l'autentico spessore umano, politico, democratico di coloro che hanno la responsabilità di dirigere le istituzioni scolastiche della Repubblica.
Del resto, ogni tempo ha i suoi eroi. E ogni eroe ha il suo tempo.
 (18 gennaio 2016)



ecco la lettera di cui si parla nel testomdi Marina Boscaino:

I presidi non vanno alla guerra - Francesco Borciani

 Ai primi di dicembre l’ANP aveva pubblicato sul suo sito una presentazione sul Piano Triennale dell’Offerta Formativa che conteneva alcune considerazioni sul potere di indirizzo conferito al Dirigente.
Diverse affermazioni non ci avevano convinto. Ci erano sembrate l’espressione, un po’ preoccupante, di un modo di intendere i rapporti all’interno della scuola decisamente distante dal nostro.
Vediamo in questi giorni che quelle considerazioni vengono lette come la posizione ufficiale di tutti i Dirigenti scolastici. Ne riportiamo alcune.
Secondo l’interpretazione proposta dall’ANP, il nuovo modello di titolarità dei docenti, oltre alla possibilità di sceglierli in funzione del piano dell’offerta formativa predisposto in ogni scuola e alla maggiore probabilità di fare squadra, presenterebbe per il Dirigente il vantaggio di “non ‘avere le mani legate’ rispetto a docenti contrastivi”.
Ancora, rispetto al ruolo di elaborazione del CdD (dove la legge 107/15 chiarisce “Il piano è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal dirigente scolastico. Il piano è approvato dal consiglio d'istituto.”) si suggerisce di affidarsi ad un gruppo di lavoro, con la raccomandazione di acquisire per prudenza qualche parere “mirato” preliminare, senza formalizzare la consultazione, e di portare il testo in collegio docenti, per una discussione “da contenere quanto possibile”, sottolineando che il Collegio “si può esprimere solo con un voto”.
Infine, per quanto riguarda l’approvazione definitiva in Consiglio di istituto, il documento ANP sottolinea che la possibilità che il CdI intervenga a modificare il testo in fase di approvazione è “un evento da evitare con ogni cura”, preparando “accuratamente la delibera, che sostanzialmente dovrà essere una ratifica”.
Vogliamo ribadire che non tutti i Dirigenti scolastici si riconoscono in queste posizioni, che riteniamo lesive della dignità dei docenti, del ruolo del Collegio e del Consiglio di Istituto e che disegnano uno scenario di conflitto permanente all’interno delle scuole, cercato con determinazione.
L’ANP non rappresenta l’insieme dei Dirigenti scolastici, parla esclusivamente a nome dei propri iscritti, in particolare quando si esprime su temi così critici, con letture e interpretazioni assolutamente di parte.
Noi non ci riconosciamo in una visione di scuola in cui gli Organi Collegiali sono assemblee da controllare, evitando che possano avere voce in capitolo, riducendole al ruolo di chi ratifica le decisioni del Dirigente; o in cui gli insegnanti sono elementi “contrastivi” da ridurre all’obbedienza grazie a nuovi poteri di comando.
Non concordiamo con il suggerimento, sempre contenuto nello stesso documento, di non sollecitare proposte, secondo “il principio dei marines: don’t ask, don’t tell…”.
È una posizione che, siamo certi, non condividono neppure molti iscritti all’ANP e che, in definitiva, produce e alimenta proprio lo scontro che si dice di temere.
Al di là delle posizioni culturali, politiche o sindacali, ci riconosciamo in un’idea di scuola come opera collettiva, realizzata da tante istanze, organi, persone, che lavorano insieme attraverso la via del confronto, in una prospettiva pluralista che non ammette scorciatoie, tantomeno autoritarie. Ognuno di noi, secondo la propria sensibilità, le proprie scelte, le condizioni locali in cui opera, declinerà diversamente il proprio ruolo; ma sempre nell’ottica del dialogo, non certo dell’imposizione o peggio della manipolazione.
Se ANP si prepara alla battaglia, convinta che la L. 107/2015 affidi ai Dirigenti il compito di sconfiggere tutte le altre componenti della scuola, ha letto una legge diversa da quella su cui noi, nella quotidianità dei nostri istituti, stiamo lavorando.
Questa visione non ci rappresenta e non crediamo rappresenti un futuro auspicabile per la nostra scuola.
Ferrara, 3/1/2016

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