martedì 17 ottobre 2017

Fame di giustizia in Turchia - Gianni Sartori

Perché bisogna raccontare a tutte e a tutti la storia di Nuriye Gulmen e Semih Ozakca (e il 20 ottobre è prevista la terza udienza del processo)

Parlare di scioperi della fame, oltre che drammatico, è sempre fonte di grande, insondabile tristezza. Torna fatalmente alla mente lo stillicidio dei giorni di agonia di Bobby Sands, Patsy O’Hara, Micki Devine… e di tutti gli altri repubblicani irlandesi del 1981. E poi la morte atroce di un centinaio di militanti della sinistra rivoluzionaria turca (e di loro familiari) nell’assordante silenzio planetario dei media. E ancora il martirio solitario dell’anarchico Barry Horne nell’Inghilterra socialdemocratica di Blair…
Eppure periodicamente questa scelta, spesso irreversibile, destinata a concludersi con la morte o comunque con danni irreparabili per chi magari viene sottoposto alla tortura della alimentazione forzata, si compie ancora. Ancora vittime ribelli al potere alle quali non rimane altra via per esprimere la propria radicale opposizione allo stato di cose presente.
In Turchia Nuriye Gulmen e Semih Ozakca sono in sciopero della fame del 9 marzo (*). Come è stato scritto: «hanno fame di giustizia da oltre 200 giorni».
La testimonianza di Nuriye e Semih contro lo stato di emergenza che li aveva condannati, assieme a migliaia di altri lavoratori, alla morte sociale dopo essere stati espulsi dal loro posto di lavoro, è senza soluzione di continuità. Una lotta sostenuta e difesa da altri che sfidano divieti, repressione, arresti, stati di fermo, tortura…
Il governo dell’AKP – non tollerando l’estendersi della solidarietà, sia interna che internazionale – ha accentuato la pressione sui due insegnanti proibendo qualsiasi forma di manifestazione, canti, balli e ogni sorta di invocazione (sia scritta che verbale) dei nomi di Nuriye e Semih ad Ankara.
Del resto è chiaro da tempo: Recep Tayyip Erdogan è seriamente intenzionato a inasprire ulteriormente lo stato di emergenza sottoponendo ogni espressione di dissenso al duro attacco della repressione, facendo largo uso di quelle che non impropriamente sono state definite autentiche purghe.
Di fronte all’arroganza di Erdogan e soci si ergono, fragili ma immense, queste due figure di resistenti: un’accademica universitaria, Nuriye Gulmen e un maestro di scuola primaria, Semih Ozakca.
Nuryie è una dei circa 150mila funzionari pubblici – di cui 51mila accademici (da 180 università) – licenziati, espulsi dal posto di lavoro in quanto arbitrariamente accusati di essere coinvolti nel golpe dell’anno scorso. A loro inoltre è stato tolto il passaporto condannandoli in sostanza alla morte civile.
Circa un anno fa, nel novembre 2016, Nuriye e Semih avevano deciso di costituire come forma di protesta un presidio civile permanente. Da allora sono stati sottoposti ad almeno 27 “custodie preventive” (l’equivalente dello stato di fermo) e infine arrestati. Tornati in libertà, il 9 marzo hanno iniziato lo sciopero della fame. A loro si sono uniti altri in solidarietà, una decina per ora. La moglie di Semih è in sciopero della fame da oltre 150 giorni.
Scontato precisare che le accuse nei loro confronti sono completamente infondate e poggiano sul nulla: con Fethullah Gulen non avevano mai avuto niente a che fare, così come la stragrande maggioranza delle persone licenziate. Un pretesto per togliere dalla circolazione ogni possibile dissenso al governo di AKP.
Nel frattempo Nuriye Gulmen e Semih Ozakca sono stati definitivamente arrestati il 23 maggio per «appartenenza ad associazione terrorista» utilizzando le “confessioni” di due militanti di sinistra, dichiarazioni estorte con torture e minacce di stupro (**).
Sul loro caso si era pronunciata la Corte europea per i Diritti dell’Uomo (il 2 agosto). Tuttavia, dopo aver considerato i rapporti medici e considerando che nel frattempo i due erano stati trasferiti dalle celle nell’ospedale del carcere di Sincan (dove avrebbero dovuto, in teoria, svolgersi le udienze), la Corte europea ha vergognosamente stabilito che «stanno bene e sono curati». Potevano quindi rimanere in stato di detenzione qualora venisse garantita un’assistenza personalizzata, assegnando cioè ad ognuno di loro una persona a loro scelta in assistenza quotidiana di 24 ore. Questo in effetti era poi avvenuto, anche se con varie settimane di ritardo e i due prigionieri avevano potuto essere seguiti quotidianamente dalla madre di lui e dalla sorella di lei.
La prima udienza risale al 14 settembre. Nel tribunale di Ankara era presente anche una folta delegazione di osservatori internazionali (greci, italiani, bulgari…). Con un tempismo sospetto, solo due giorni prima – il 12 settembre, anniversario del golpe del 1980 – veniva arrestato tutto il collegio difensivo: ben 16 avvocati di cui 14 ancora in carcere e presto saranno anche loro sotto processo. In precedenza, durante la conferenza stampa, erano stati caricati duramente dalla polizia. L’accusa è di essere legati al Fronte rivoluzionario della liberazione popolare (DHKP-C). Ossia, tecnicamente: «appartenenza ad organizzazione terrorista».
Si tratta di appartenenti agli “avvocati del popolo” (Dipartimento per i diritti del popolo #HHB) e agli “avvocati progressisti” #CHD. Agli altri avvocati del popolo viene ora impedito di presenziare e a difesa degli imputati rimangono solo gli avvocati progressisti.
In poche ore erano giunte oltre 2135 deleghe firmate da avvocati da ogni angolo della Turchia a sostegno della difesa, una incredibile dimostrazione di solidarietà.
Più difficile comunque ora il compito della difesa, dato che tutta la documentazione preparata dagli avvocati è stata sequestrata e fatta sparire per mano della polizia.
All’udienza del 14 settembre i due imputati erano assenti per «ragioni di sicurezza». Ufficialmente l’apparato turco di sicurezza non sarebbe in grado di impedire un eventuale tentativo di fuga di Nuriye e Semih (da tempo allettati): una giustificazione paradossale che, se il contesto non fosse tragico, sarebbe risibile.
I due dossier – di 25 e 45 pagine – contro di loro appaiono inconsistenti, una ricostruzione ad hoc realizzata dai corpi di polizia. Le principali accuse sono: aver fatto la «V» di vittoria con le dita, aver scritto sui social media con colori giallo e rosso, essersi vestiti di rosso e giallo, aver scritto «voglio il mio lavoro indietro» con questi colori. Colori che rimandano a quelli del Fronte del Popolo e di riflesso possono evocare i colori del DHKP-C. Inoltre sono accusati di aver partecipato ad assemblee pubbliche in cui denunciavano le purghe e di aver linkato articoli che parlavano della loro situazione sul giornale del Fronte Popolare dedicato ai lavoratori pubblici.
Comunque l’udienza del 14 settembre veniva sospesa per la mancanza di una documentazione (in grado, secondo il giudice, di consentire forse il reintegro dei due imputati) e aggiornata al 28 settembre. Due giorni prima, alle due di notte, Nuriye era stata trasferita dall’ospedale del carcere all’ospedale pubblico di Numune ad Ankara (perdendo quindi l’assistenza personalizzata: ora può incontrare solo un familiare per cinque minuti al giorno). Nel frattempo, inevitabilmente, le sue condizioni di salute sono andate peggiorando, con danni probabili al sistema nervoso e cardiovascolare. Al momento si trova in un reparto di terapia intensiva e rischia seriamente di essere sottoposta all’alimentazione forzata se solo dovesse perdere conoscenza (anche se un medico si è già rifiutato di praticarla in quanto, come sostiene anche Amnesty International, si tratta di «una forma di tortura»).
Probabilmente con questa operazione di polizia si vuole impedire che Nuriye venga in aula, possa mostrarsi in pubblico, difendersi al processo.
Stando a quanto dichiarava chi l’ha vista recentemente (non è stato possibile fotografarla se non da lontano, di profilo) il suo aspetto, dopo aver perso oltre 40 chili, sarebbe spettrale. Invece Semih (che ha perso “solo” 34 chili) è ancora in grado di presenziare, sorridere, salutare…
Quasi contemporaneamente dalla Procura di Istanbul veniva emessa una lista di 110 nominativi di militanti del Fronte del Popolo (Halk Cephesi) e quindi, secondo gli inquirenti, in qualche modo collegabili ad «una organizzazione terrorista». In tutta la Turchia è aperta la stagione “di caccia” e al momento un’ottantina di persone sono già state arrestate. Fra di loro molti avvocati, un medico, militanti ben conosciuti e anche la famosa «zia di Gezi Park».
Fra chi purtroppo le ha conosciute entrambe, si sostiene che questa repressione non ha niente da invidiare a quella del 1980. Se non addirittura peggiore: gli arresti sono selettivi e si registrano esecuzioni extragiudiziali.
Fra gli ultimi arrestati, un altro avvocato del popolo, Naim (il quindicesimo per ora) e Ayse Lerzan Caner conosciuta anche in Italia per il suo impegno a fianco delle famiglie dei prigionieri politici.
Intanto, com’era prevedibile, il 28 settembre il famoso documento (la cui mancanza aveva giustificato la sospensione della prima udienza) non è mai stato recapitato. In compenso, per mano della pubblica accusa arrivava la “dichiarazione” di due testimoni tutt’ora in carcere che identificano Nuriye e Semih come membri del DHKP-C. Da questa organizzazione avrebbero ricevuto l’ordine di dichiarare lo sciopero della fame con fini “eversivi”. Confessione molto presumibilmente estorta con la tortura e le minacce.
Per quanto fortemente militarizzata, quella del 28 – racconta chi vi ha partecipato – è stata una udienza relativamente tranquilla: qualche minaccia, qualche carica, 2-3 fermi…
La precedente era stata sicuramente più dura, in particolare per l’ampio uso di spray a base di agente orange (quello, cancerogeno, usato prima in Vietnam e poi in Colombia per deforestare le aree occupate dai guerriglieri).
Per il 20 ottobre è prevista la terza udienza, con la probabile presenza dei due che avrebbero fornito le “prove” a carico di Nuriye e Semih.
In ogni caso, in Turchia la resistenza continua. Non è possibile, nemmeno instaurando lo stato di emergenza, annullare e ingabbiare 80 milioni di persone.
(*) una precisazione sulla durata dello sciopero della fame dei militanti turchi. Se nel caso dell’Irlanda, 1981, lo sciopero dei repubblicani si concludeva comunque con la morte (in genere nel giro di un paio di mesi) la maggior durata di questi scioperi condotti da militanti turchi si spiega con l’utilizzo di acqua salata, succo di limone, vitamina B 1 che prolungano la resistenza fisica. Questo non rende meno drammatica la situazione: le conseguenze spesso sono devastanti per l’organismo e psicologicamente diventa forse ancora più duro resistere così a lungo.
(**) il 28 settembre il Fronte del Popolo “commissione relazioni internazionali” ha emesso un comunicato in cui denunciava come la militante Fadime Yigit recatasi alla stazione di polizia, in quanto sottoposta a obbligo di firma, sia stata sequestrata, minacciata e torturata con la richiesta di fare nomi. Immediata la reazione governativa con l’ennesima serie di arresti. Successivamente anche Mustafa Kocak ha rivelato di essere stato stato interpellato per testimoniare contro Nuriye e Semih. Qualora si fosse rifiutato – lo minacciarono – gli avrebbero stuprato le sorelle. Immediatamente dopo tali dichiarazioni anche per lui si sono aperte le porte del carcere.

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