sabato 21 ottobre 2017

Santiago Maldonado è morto? - Raùl Zecca Castel

L’avevamo capito sulla pelle di Salsedo e Pinelli che gli anarchici non sanno volare. Ora abbiamo anche scoperto che i Mapuche non sanno nuotare. Quantomeno ci resta una conferma: che la creatività degli stati, a qualsiasi latitudine e tempo, è davvero inesauribile.
Tra malori attivi, improvvise perdite d’equilibrio, suicidi e congetture politico-mediatiche di ogni sorta, non sarebbe quindi azzardato pensare a un’inedita forma di governo: lo stato dell’arte.
A 77 giorni dalla scomparsa di Santiago Maldonado, avvenuta lo scorso 1 agosto 2017, in occasione di una protesta organizzata dalla comunità indigena Mapuche Pu Lof di Cushamen, nella provincia di Chubut in Argentina, e duramente repressa dall’intervento violento di un contingente armato della Gendarmeria Nazionale, il corpo di un uomo è stato trovato galleggiare proprio sulle acque del fiume Chubut, tra le radici di un salice in lacrime, come un’improbabile Ofelia patagonica.
Nessuna conferma ancora sull’identità del cadavere, e per prima la famiglia del giovane ragazzo scomparso chiede prudenza e soprattutto rispetto per il dolore che sta vivendo in questi momenti così delicati.
Diversi indizi, tuttavia, lasciano intendere che si tratti proprio della salma di Santiago Maldonado: anzitutto il luogo del ritrovamento, su cui ancora non esiste una versione ufficiale precisa, ma che sarebbe a poche centinaia di metri dalla comunità Mapuche dove per l’ultima volta è stato avvistato Maldonado; poi gli abiti, una felpa azzurra, come quella che il giovane attivista indossava il giorno della protesta; e soprattutto, una carta d’identità, con le generalità di Santiago Maldonado.
Sarà l’autopsia prevista per oggi a Buenos Aires, tuttavia, a cercare di stabilire “l’identità, la data, la causa e la dinamica del decesso del corpo umano ritrovato”, così come esplicitamente richiesto dal giudice Gustavo Lleral, a capo delle indagini del caso di “sparizione forzata” relativo al giovane argentino.
Dopo l’apertura del fascicolo Maldonado in seguito alla sua improvvisa scomparsa, la Procura di Esquel (Chubut) aveva infatti deciso di riclassificare il caso sotto la dicitura “sparizione forzata”, in ragione di molteplici elementi sospetti.
Secondo le dichiarazioni di alcuni testimoni oculari, infatti, il ragazzo era stato fermato e caricato su un mezzo della Gendarmeria nel corso degli scontri avvenuti quel primo agosto, anche se la stessa Arma e le autorità politiche hanno sempre negato tale detenzione e, più in generale, qualsiasi coinvolgimento nella vicenda della scomparsa.
Le versioni ipotizzate dai media vicini al governo, così come quelle ventilate dallo stesso presidente Macri o dalla ministra per la sicurezza Bullrich, sono state sin dall’inizio estremamente sospette quando non sfacciatamente menzognere, con l’evidente proposito di depistare le indagini e, soprattutto, l’opinione pubblica, screditando in modo vergognoso la figura di Santiago Maldonado.
Inizialmente si cercò di sostenere che l’attivista pro-Mapuche non si trovasse alla manifestazione di protesta insieme agli altri membri della comunità Pu Lof; poi, quando alcune immagini video mostrarono il contrario, la stessa ministra Bullrich difese l’operato della Gendarmeria definendo i militari come “persone rispettate e molto benvolute” e sostenendo dunque la totale estraneità dell’Arma alla scomparsa di Santiago Maldonado, dal momento che nessun arresto era stato effettuato in quell’occasione.
Successivamente, il quotidiano La Nación mise sul tavolo la possibilità che effettivamente Maldonado potesse essere stato ucciso, ma le responsabilità dell’omicidio venivano incredibilmente fatte ricadere sugli stessi Mapuche. O ancora, si riferì che Santiago Maldonado fosse fuggito in Cile, o che proprio lì fosse stato ritrovato il suo cadavere. Infine si arrivò a sostenere la sua appartenenza all’esercito delle FARC, le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane, e che per questo si era dato alla clandestinità.
Solo a metà settembre si ipotizzò l’eventualità che Santiago Maldonado potesse essere affogato cadendo nel fiume Chubut; un’eventualità, tuttavia, che gli stessi esperti impiegati nelle ricerche avevano prontamente scartato.
Le caratteristiche delle acque del rio Chubut, nel tratto limitrofo al luogo dove presumibilmente potrebbe essere accidentalmente caduto Santiago Maldonado, sono tali che il corpo non avrebbe potuto discendere la corrente per più di 200 metri, restando inevitabilmente impigliato nei rami o nelle radici degli alberi che ne costeggiano la riva.
Eppure, secondo le fonti a disposizione, il ritrovamento del cadavere è avvenuto a 300 metri a monte di Pu Lof, risalendo la corrente. Ma, soprattutto, è avvenuto in zone perlustrate più volte nel corso di questi 77 giorni, tanto dai sommozzatori della Prefettura Navale quanto dai membri della comunità Mapuche che assicurano come quel corpo, appena tre giorni fa, non si trovasse lì.
“L’impressione – afferma Ariel Garzi, amico di Maldonado e teste nella causa – è che se sfortunatamente quel corpo appartiene a Santiago, ciò significa che ce l’hanno portato loro”.
Anche Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la Pace argentino, è scettico a tal proposito, ed esprime forte preoccupazione per un ritrovamento sospetto che fa seguito a quasi tre mesi di montaggi, distrazioni e depistaggi messi in atto in maniera rocambolesca dal governo Macri.
Un ritrovamento, inoltre, che fa seguito anche, e forse soprattutto, a una serie di mobilitazioni e pressioni internazionali da parte della società civile, oltre che di vari organismi per i diritti umani, divenute sempre più scomode e difficili da gestire per un paese con alle spalle una dittatura militare che ha contato almeno 30mila desaparecidos tra il 1976 e il 1983, riaprendo così una cicatrice forse mai del tutto chiusa.
Impossibile qui in Italia non pensare allora al caso del nostro Giulio Regeni, il cui corpo martoriato, segnato da torture atroci, fu trovato lungo una strada deserta alle periferie del Cairo. “Incidente stradale”, si disse prima. “Regolamento di conti” per questioni di sesso o droga, si corressero poi. I maestri dello Stato dell’arte, occorre riconoscerlo, sono sempre al lavoro.
da qui

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