sabato 7 ottobre 2017

Violenza, fiction e cavatappi - Ascanio Celestini


Vale la pena rileggere alcuni frammenti di un testo del 1972. Uno dei pochi studi seri storico antropologici sull’istituzione della polizia: La Polizia di Angelo D’Orsi. Al paragrafo ‘La filosofia dell’ordine’ ci ricorda che “la polizia è l’istituzione cui è affidato, dalle classi detentrici del potere, il compito della gestione della violenza per proteggere l’assetto sociale dato, per difendere – o realizzare – l’ordine politico voluto. Ma, proprio ai fini della sua stessa autoconservazione, la polizia ha l’esigenza di ricoprirsi con una specie di nube protettiva di tipo pubblicitario (…) Si tratta cioè di persuadere la pubblica opinione che la polizia è necessaria, è al servizio di tutti, è imparziale, è democratica, è controllata, funziona ottimamente”.
Non ci dobbiamo mai dimenticare di questo strumento che le forze dell’ordine utilizzano: la violenza. L’uomo in divisa ha manganello, pistola e manette. Le usa con due finalità correlate: mantenere l’ordine politico e difendere se stesso.
Temo che il poliziotto non arresti un ladro per difendere la proprietà del derubato, ma per difendere il sistema, per dichiarare che il sistema non permette che ci siano furti. Arresta l’assassino non per impedire che compia altri crimini o perché venga punito per quelli che ha compiuto, bensì per tutelare un sistema che altresì risulterebbe indebolito.
E lo fa con la violenza. La violenza non è l’extrema ratio, ma il principale strumento che gli viene messo a disposizione. L’uomo in divisa è l’unico che può usarla. È come il cavatappi per il sommelier.
Mi si dirà: e che cambia? Se una guardia impedisce che ti rubino il motorino… che te ne frega se lo fa per te, per sé o per il sistema? E se può sparare è anche meglio. Risulta più efficiente.
Mi importa perché è tutto un altro gioco. Per la salvaguardia del sistema le stesse guardie lasciano i migranti nei campi in nord Africa in balia di guardie ancor più violente. Per la salvaguardia del sistema può morire un sedicenne di Traiano (Davide Bifolco), ma non un suo coetaneo del Vomero (la morte di un sedicenne del Vomero sarebbe contro il sistema). Per la salvaguardia del sistema e degli uomini in divisa che lo difendono il processo sulla morte di un diciottenne di Ferrara (Federico Aldrovandi) si chiude con una pena ridicola.
Ma è difficile affrontare questo discorso oggi. Un po’ per il giustizialismo che porta consensi e voti più o meno a tutti i partiti. Un po’ per una terribile propaganda che in questi anni è stata fatta a favore delle forze dell’ordine. Decine di film e soprattutto fiction che ci mostrano uomini e donne in divisa che scoppiano di umanità. Persone eticamente perfette, sensibili e persino simpatiche fino alla comicità.
Mi ricordo un brutto film sull’eccidio alle fosse Ardeatine, Rappresaglia, con Marcello Mastroianni e Richard Burton. L’attore americano interpretava Kappler, l’ufficiale tedesco responsabile di rastrellamenti e stragi. Il partigiano Pasquale Balsamo disse “quando fai fare la parte di Kappler a Richard Burton… hai detto tutto”.
Non ce la fai a immaginarti ragazzi e ragazze massacrati di botte da Gigi Proietti a Bolzaneto. Non ce la fai a immaginarti Nino Frassica che spacca la faccia a Cucchi o ammazza di botte Aldrovandi.

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